Goodbye my pets!

Fisco, Giustizia & Previdenza

Di

Avv. Giovanna Barca  – Le Avvocate Italiane

In Spagna, dal 5 gennaio, una norma ha stabilito che gli animali domestici non sono più considerati oggetti con un proprietario, ma esseri senzienti: nei casi di divorzio, i giudici dovranno, quindi, valutarne il benessere, come già avviene in Francia e Portogallo.

Il proprietario deve dimostrare ai giudici che è in grado di garantire il benessere del proprio animale e che se un membro della coppia ha avuto problemi di maltrattamenti ne perderà automaticamente la custodia. Il giudice, insomma, dovrà stabilire con chi l’animale potrà vivere meglio, basandosi soprattutto sulle sue necessità: si valuterà chi ha una posizione economica più favorevole oppure chi ha ottenuto la custodia dei figli.

Già nel 2016, un articolo del Pas notava che i tribunali spagnoli si trovavano sempre più spesso alle prese con battaglie legali sulla custodia degli animali, dagli esiti traumatici,  proprio come quelli  che coinvolgono i figli. “Gli animali sono parte della famiglia, e, quando c’è una separazione, il loro destino va regolato come quello degli altri membri”, così concludeva l’avvocatessa Lola Garcia, che con il suo studio ha ottenuto una sentenza storica in Madrid lo scorso anno, secondo la quale, il cane si sarebbe dovuto alternare ogni mese a casa degli ex compagni, i quali ne sarebbero stati entrambi legalmente responsabili.

In Spagna, dunque, prima di questa riforma del codice civile, i giudici erano soliti  assegnare, quasi automaticamente, la custodia a chi aveva registrato l’animale, senza considerare i legami affettivi nè le necessità familiari: il codice civile spagnolo definiva gli animali proprietà personali e un avvocato che voleva ottenere l’affidamento doveva soltanto dimostrare che il proprio cliente ne era proprietario, dando così un vantaggio a chi aveva registrato il proprio cane o un gatto. 

Ma, cosa accade nei Tribunali italiani quando durante una separazione oggetto della contesa è un animale domestico?

Nel nostro ordinamento manca una norma specifica che regoli il destino dell’animale domestico in caso di separazione o divorzio.

Negli ultimi anni, i giudici italiani sono stati sollecitati ad occuparsi della questione e l’hanno affrontata o assimilandola alla disciplina stabilita per l’affidamento dei figli minori, oppure (seguendo uno schema più rigoroso) dichiarando la domanda relativa allaffidamento dell’animale da compagni inammissibile, rimanendo un tantino indietro rispetto alle problematiche sociali e all’evoluzione dei costumi.

Sono anni che in Parlamento giace una proposta di modifica del codice civile finalizzata a regolamentare l’affido degli animali presenti in famiglia: la previsione riguarda l’art. 455-ter c.c. del disegno di legge n. 3231 della XVI legislatura (Berlusconi-Monti), attualmente superato da quello n. 795 della XVII legislatura (Letta-Renzi-Gentiloni),  che stabilirebbe  “In caso di separazione di coniugi proprietari di un animale di affezione, il tribunale, in mancanza di un accordo tra le parti, a prescindere dal regime di separazione o comunione e a quanto risultante dai documenti anagrafici dell’animale, sentiti i coniugi, la prole, se presente, e, se del caso, esperti del comportamento animale, attribuisce l’affido esclusivo o condiviso dell’animale alla parte in grado di garantirne il maggior benessere”. In caso di affido condiviso, prosegue il testo, “salvi diversi accordi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei detentori provvede al mantenimento dell’animale da compagnia in misura proporzionale al proprio reddito. In caso di affido esclusivo il mantenimento è a carico del detentore affidatario”.

In linea con questo indirizzo, si richiama il contenuto di un’ordinanza  dell’anno 2008 del Presidente del Tribunale di Foggia, secondo cui: “Il giudice della separazione può ben disporre, in sede di provvedimenti interinali, che l’animale di affezione, già convivente con la coppia, sia affidato ad uno dei coniugi con l’obbligo di averne cura, e statuire a favore dell’altro coniuge il diritto di prenderlo e tenerlo con sé per alcune ore nel corso di ogni giorno”. Nella fattispecie, l’animale era stato affidato al coniuge che aveva manifestato una maggiore idoneità all’accudimento, ed, in particolare, al “coniuge ritenuto maggiormente idoneo ad assicurare il maggior sviluppo possibile dell’identità dell’animale”.
Anche il Tribunale di Cremona, con una sentenza del 11 giugno 2008, ha assicurato ad entrambi i coniugi la gestione condivisa dell’animale, dividendo al 50% le spese di mantenimento.

Molto interessante il provvedimento del Tribunale di Como del 3 febbraio 2016, che, in fattispecie riguardante una separazione consensuale tra coniugi, ha omologato l’accordo degli stessi sulla suddivisione delle spese relative al mantenimento e alla cura del cane le quali, secondo il giudicante: “rivestono un indubbio contenuto economico, al pari di qualunque altra spesa relativa a beni o servizi di interesse familiare, né contrastano con alcuna norma cogente, talché nulla quaestio circa il loro inserimento nella presente sede e conseguente omologa”.

La giurisprudenza di merito, quindi, si è divisa tra chi ritiene che il giudice della separazione, in mancanza di accordi tra i coniugi, possa disporre l’assegnazione dell’animale domestico, in via esclusiva, alla parte che assicuri il miglior sviluppo possibile dell’identità del cane o del gatto, oppure in via alternata a entrambe i coniugi, a prescindere dall’eventuale intestazione risultante dal microchip, tenendo conto del benessere dell’animale stesso e regolamentare gli stessi aspetti economici (spese veterinarie e straordinarie) legati alla sua cura e al suo mantenimento; e chi, come il Tribunale di Milano di Milano, con l’ordinanza del 2 marzo 2011, in linea con i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità, ha dichiarato inammissibile, in sede di separazione giudiziale, la domanda volta all’assegnazione di animali di affezione all’uno o all’altro dei coniugi, per il fatto che l’ordinamento italiano non prevede ancora nulla circa la possibilità di affidare gli animali domestici “né essendo compito del giudice della separazione quello di regolare i diritti delle parti sugli animali di casa”.

In realtà, è opportuno precisare che l’orientamento prevalente dei giudici di merito ritiene che la domanda di affidamento dell’animale domestico sia inammissibile poiché il riconoscimento di un vero e proprio “diritto soggettivo dell’animale da compagnia” non giustifica l’istituzione di diritti d’azione inediti, non sorretti da una specifica previsione normativa. In sostanza, non è possibile giungere ad equiparare i figli minori agli animali domestici “posto che i primi solo (e non i secondi) sono persone fisiche, sia nella trama codicistica di diritto interno che nella legislazione sovranazionale”.

In questo confuso quadro, spicca per modernità la pronuncia del Tribunale di Sciacca che, con decreto 19 febbraio 2019, ha stabilito che “In mancanza di accordo tra i coniugi, il giudice della separazione può disporre l’assegnazione dell’animale domestico in via esclusiva alla parte che assicuri il miglior sviluppo possibile dell’identità del cane o del gatto, oppure in via alternata a entrambi i coniugi, a prescindere dall’eventuale intestazione risultante dal microchip, nonché regolamentare gli aspetti economici (spese veterinarie e straordinarie) legati alla sua cura e al suo mantenimento.”

Sulla base dei principi elaborati da un indirizzo della giurisprudenza sopra citata, è emerso che, nell’ipotesi in cui i coniugi, nel contesto separati, non riescano ad accordarsi sulla gestione degli animali domestici, in assenza di una normativa ad hoc, il Tribunale potrebbe certamente decidere in ordine al loro affidamento sui tempi di permanenza presso l’uno e l’altro, nonché sulla suddivisione delle spese da sostenere nell’interesse dell’animale.

L’ordinanza del Tribunale di Sciacca si colloca, dunque, nella scia di quelle pronunce emesse dalla giurisprudenza di merito con cui si è, invece, regolamentata, nell’ambito di giudizi di separazione personale dei coniugi, in mancanza di accordo tra di essi, la gestione dell’animale domestico, sia sotto il profilo relazionale, sia sotto il profilo economico.
La differenza con le pronunce precedenti è la sostanziale presa di distanze dall’assimilazione dell’affidamento dell’animale domestico dalla disciplina della regolamentazione dell’affido dei figli. Infatti, il giudice non fa alcun riferimento alla disciplina prevista dagli artt. 316, comma 4, e 337-bis c.c. in materia di affidamento dei figli: l’utilizzo del termine “assegnazione” in luogo di “affidamento” è già un chiaro segnale in questo caso, dando priorità alla tutela del legame affettivo che lega gli adulti all’animale di affezione che appartiene alla coppia.

Infine, il Tribunale di Lucca con sentenza del 24 gennaio 2020, nel vuoto normativo, considerato per un verso l’importanza del legame affettivo fra persone ed animali e il rispetto dovuto a questi ultimi, quali essere senzienti, ha stabilito che “non c’è infatti dubbio che la normativa più vicina alla fattispecie sia quella relativa all’affidamento dei figli”.

Sicuramente, nell’attesa di una normativa ad hoc anche in Italia, non possiamo non pensare che i nostri cari animali diventano parte integrante della famiglia e per questo hanno diritto  ad una tutela del loro ” valore” nel proprio contesto familiare.

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