I militari vennero mandati a mettere in lockdown la Val Seriana senza nessun atto del governo 

Attualità & Cronaca

Di

ESCLUSIVA AGI

A dirlo è il ministero dell’Interno rispondendo alla richiesta del Consiglio di Stato sul perché non voglia rendere pubblici gli atti sulla base dei quali 400 appartenenti alle forze dell’ordine vennero inviati nella Bassa Bergamasca il 15 marzo 2020 e poi ritirati tre giorni dopo determinando la mancata ‘zona rossa’  

 
 

Panoramica della Val Seriana

“Non c’è stato alcun atto governativo specifico di impiego delle forze militari nelle zone di Nembro e Alzano”. Lo scrivono i legali del Ministero dell’Interno rispondendo alla richiesta del Consiglio di Stato di spiegare perché non voglia rendere pubblici gli atti sulla base dei quali 400 uomini e donne, tra carabinieri, polizia, guardia di finanza ed esercito, vennero inviati nella Bassa Bergmasca il 5 marzo 2020 e poi ritirati 3 giorni dopo, determinando la mancata ‘zona rossa’ in anticipo sul lockdown nazionale.  

Non si possono rivelare per tutelare l’ordine pubblico 

Il documento rientra nell’ambito di un complesso iter cominciato un anno e mezzo fa dall’AGI con una richiesta di accesso agli atti al Ministero per avere chiarimenti su un tema che è al centro anche dell’indagine della Procura di Bergamo perché la mancata ‘chiusura’ potrebbe avere aggravato la situazione in uno dei primi focolai del Covid più aggressivi al mondo.

Poco più di un mese fa, i giudici avevano chiesto al Ministero di rendere “documentati chiarimenti entro 30 giorni”  sulle ragioni che giustificavano il ‘no’. 

Svelare questi aspetti, è la spiegazione, costringerebbe l’amministrazione “a ostendere l’intero piano d’impiego del contingente militare sul territorio nazionale, non essendoci stato alcun atto governativo specifico di impiego  delle forze militari nelle zone di Nembro e Alzano. E ove pure ci fosse stato uno specifico atto governativo – si legge nella memoria del Ministero dell’Interno – non certamente tale atto avrebbe potuto disporre dell’impiego operativo dei contingenti militari assegnati, essendo tale impiego rimesso alle complesse procedure delineate per l’adozione del decreto del ministero dell’Interno e del ministero della Difesa”.

Non rendere noti questi documenti viene incontro alla “necessità di evitare un pregiudizio concreto e attuale alla tutela degli interessi pubblici”.  

Tra i riferimenti citati dal Ministero quelli relativi al quadro normativo sull’operazione ‘Strade sicure’ per il “contrasto alla criminalità e al terrorismo attraverso l’impiego di un contingente di personale militare delle forze dell’ordine”. La ‘zona rossa’ in questo territorio venne chiesta dal Cts nella seduta del 3 marzo 2020 ma la proposta non venne accolta dal governo. A quanto risulta all’AGI, esistono dei fonogrammi del Viminale coi quali fu chiesto di organizzare l’invio delle forze dell’ordine.    

Due anni di pronunce contraddittorie della giustizia   

Il primo ‘muro’ del Ministero all’AGI si era alzato il 6 novembre del 2020. Si negavano  “gli atti inerenti l’impiego e il ritiro dei militari nelle zone dei Comuni di Nembro e Alzano” richiamandosi alle “cause di esclusione” previste dalla legge cioè “la sicurezza e l’ordine pubblico”, la “sicurezza nazionale”, “la difesa e le questioni militari”, “la conduzione dei reati e il loro perseguimento”. 
Il Tar, a cui l’AGI si era rivolta attraverso un ricorso firmato dall’avvocato Gianluca Castagnino, aveva stabilito che il ministero dovesse rendere pubblici i documenti sottolineando che l’accesso civico “è finalizzato a favorire forme di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche”.

Secondo i giudici Francesco Arzillo e Daniele Bongiovanni, rendere pubbliche le carte non avrebbe comportato nessun pericolo perché “la richiesta è stata formulata nel settembre 2020 quando la questione della ‘chiusura’ delle aree era superata da tempo”, “si tratta di un’attività di impiego di militari in un ambito toponomastico e temporale circoscritto e non si inquadra in un contesto più ampio finalizzato alle modalità di contrasto al crimine e di tutela della sicurezza pubblica, tanto che una loro divulgazione vanificherebbe la strategia individuata dalle forze di polizia”. Una tesi opposta rispetto a quella sostenuta adesso dal governo che inserisce il ‘no’ in un contesto di generale riservatezza, non riferito a questo singolo caso.  

Il procuratore di Bergamo, Antonio Chiappani, aveva assicurato ai giudici amministrativi che dal suo punto di vista non sono atti coperti da segreto. In seguito, il Consiglio di Stato aveva sospeso la pronuncia del Tar e chiesto i chiarimenti arrivati ora dal Ministero che saranno valutati dai giudici. Resta per adesso il mistero su come andarono le cose in uno degli episodi più controversi nella gestione della pandemia.    

 

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