Grano in continuo aumento, Divella avvisa: “Pasta più cara del 38%”

Per la distribuzione il prezzo al chilo di pasta sale di 0,30 € in 3 mesi e l’impennata non sembra voler rallentare a breve

Agroalimentare & Enogastronomia

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Con in prospettiva il valore pro chilo di 1,52 euro per fine mese, la pasta comprata al dettaglio nei supermercati potrebbe subire un incremento di ca. il 38%, stando a quanto dichiara la grande distribuzione. I pareri di chi è nel settore da anni sembrano convergere sulla scarso intervento amministrativo messo in atto sinora e sulla necessità di una filiera “fatta in casa” che contenga le eccessive dipendenze di mercato future.

La parola a Divella

L’apprensione si legge direttamente dalle parole di Vincenzo Divella, l’AD dell’omonimo pastificio pugliese nato a Rutigliano (BA) nel 1890, oggi divenuto da tempo una società per azioni. Nel corso di un’intervista rilasciata ad Il Sole 24 ore l’imprenditore non ha voluto utilizzare mezzi termini nel descrivere, dati alla mano, i rincari succedutisi da pochi mesi a questa parte: “I primi 30 centesimi li abbiamo dovuti chiedere dopo l’estate per far fronte all’aumento vertiginoso del costo della nostra principale materia prima, cioè il grano. Tra giugno ed oggi il prezzo del grano alla borsa di Foggia è cresciuto del 90%: un rincaro che non avremmo mai potuto ammortizzare da soli, basta pensare che per noi la semola rappresenta il 60% di tutto il costo di produzione della pasta”.

Le ragioni degli aumenti dei prezzi

Sui motivi che ci possono essere dietro questi incrementi Divella ha osservato: “Con l’arrivo dell’autunno ci si sono messi tutti gli altri rincari: il costo del cellophane è aumentato del 25%, il gas del 300%, l’elettricità anche. Per questo a gennaio abbiamo chiesto alla grande distribuzione altri 12 centesimi al chilo. Un aumento, questo, che dovrebbe diventare effettivo con il rinnovo degli ordini alla fine di questo mese”.

L’imprenditore pare aver concordato sul fatto che una delle motivazioni che hanno spinto i costi del grano al rialzo potrebbe essere stata il dimezzamento delle produzioni oltreoceano: i raccolti dei principali paesi produttori nel mondo, Canada ed Usa, hanno infatti subìto un tracollo del 50% recentemente – non solo per via di problemi produttivi e logistici dovuti alla pandemia globale ma anche a causa della scarsità di manodopera a disposizione per il raccolto, un effetto collaterale creatosi più o meno volutamente mediante sfrenati sussidi ed incentivi a restare a casa da parte dell’Amministrazione centrale -, crollo che ha costretto le maestranze di settore italiane a comprare la necessaria quota di grano non coperta dalla produzione nostrana a prezzi sempre più esorbitanti, con conseguenti ripercussioni sulle tavole.

Chi sono i colpevoli (se ci sono)

“I prezzi potrebbero aumentare di nuovo”, ha aggiunto Divella. “A dicembre gli stabilimenti produttivi si sono fermati per 15 giorni e nessuno ha comprato grano. Ma già ieri, alla borsa merci di Bari – la prima che si è riunita dopo il capodanno – c’è stato un aumento del 6%. I pastifici riaccendono i motori e, subito, il prezzo del grano risale. E poi c’è un’altra cosa che mi preoccupa: basterà il grano nazionale fino a giugno? Noi oggi usiamo grano nazionale per il 70-80%, ma per quanto in Italia l’ultima produzione sia andata bene, non siamo mai stati un Paese autosufficiente. Quindi dovrò comprare più grano estero, che oggi è più caro”, ha concluso l’imprenditore di Noicattaro.

Una linea che si ricollega a quella espressa minuti prima dal presidente della Coldiretti Ettore Prandini, secondo il quale «con la pandemia da Co.Vi.D.-19 si è aperto uno scenario di accaparramenti, speculazioni ed incertezza che deve spingere il Paese a difendere la propria sovranità alimentare». Pur essendo l’Italia il secondo produttore mondiale di grano – con 3,8 milioni di tonnellate prodotte – «è anche il principale importatore perché molte industrie anziché garantirsi gli approvvigionamenti con prodotto nazionale – ha spiegato Prandini – hanno preferito acquistare sul mercato internazionale approfittando delle basse quotazioni dell’ultimo decennio».

Cosa c’è da mangiare?

Divella ha infine menzionato il ruolo della GDO in questa vicenda, che di fronte a questi aumenti «all’inizio ha fatto resistenza, poi ha compreso. L’unica cosa che ci ha chiesto è stata di spalmare gli aumenti con gradualità: i primi dieci centesimi in più a ottobre, i secondi a novembre, i terzi a dicembre. Ed ora la nuova quota».

Tra timori per il clima a venire che minaccia nevicate, gelate e piogge inaspettate – previsioni più o meno fondate -, il raddoppio dei costi di semina legato ai rincari del diesel e dell’energia impiegati nelle lavorazioni (terreni e macchinari), l’aumento del prezzo di fitosanitari e fertilizzanti e la concorrenza “sleale” di chi oltreoceano li usa (e li può usare tranquillamente, a differenza delle provvidenziali limitazioni europee che comunque garantiscono un prodotto migliore ma più caro) tutta la filiera pare essere messa in crisi, legata di sicuro a palesi dipendenze in un vincolo strutturale che alla fine si ripresenta cotto nel piatto in tavola.
E buon appetito…

Antonio Quarta

Redazione Il Corriere Nazionale

Corriere di Puglia e Lucania

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