Dal carcere Giuseppe Graviano mandava pagine intere di strane barzellette al cugino Salvo che contenevano messaggi in codice, per fare investimenti o recuperare soldi.
AGI – “Dice il maestro: ‘Oggi coniughiamo i verbi. Io mangio, tu mangi, egli mangia, noi mangiamo, voi mangiate, essi mangiano. Pierino, ripeti ciò che ho detto”.
“Mangiano tutti”. Un’altra. “Due amici in auto: “Attento, c’è scritto curva pericolosa”. “Appunto, per questo sto andando dritto'”.
Dal carcere, il boss Giuseppe Graviano mandava pagine intere di strane barzellette al cugino Salvo, barzellette piene di numeri.
Erano messaggi in codice, per fare investimenti o recuperare soldi, svela oggi un libro inchiesta scritto dal giornalista di Repubblica Salvo Palazzolo, che ha potuto accedere a documenti giudiziari riservati e inediti.
Il libro, edito da Laterza, si intitola: “I fratelli Graviano – stragi di mafia, segreti, complicità”. La storia di una famiglia che racchiude i misteri più profondi di Cosa nostra: dagli investimenti al Nord nei primi anni Settanta alle bombe del 1992-1993, alle relazioni con esponenti della nascente Forza Italia.
Una storia attualissima, perché di recente Giuseppe Graviano ha iniziato a fare dichiarazioni al processo ‘Ndrangheta stragista, citando proprio il cugino a cui inviava le barzellette: Graviano non è un collaboratore di giustizia, resta un irriducibile.
Il libro svela tutte le sue bugie: non fu il nonno materno a investire capitali al Nord, ma il padre.
Ecco un’altra strana barzelletta di Giuseppe Graviano: “Al ristorante un uomo dopo aver visto il conto: “Cameriere, ma si rende conto. Un piatto di spaghetti e un’insalata: 120 mila lire. Mi faccia almeno uno sconto”. “No, noi non facciamo sconti”. “Ma come a un collega?”. “Perché lei fa il ristoratore?”. “No, il ladro”. Che messaggio voleva affidare il boss al cugino, curatore degli affari di famiglia?
Nelle lettere dal carcere dei boss Giuseppe e Filippo Graviano, che risalgono al 1996, c’è anche un altro dei segreti più grandi di famiglia: la nascita dei loro figli, concepiti durante la detenzione. “Avete regalato a mia moglie il vaso con i bulbi?”, scriveva Giuseppe alla madre e alla sorella Nunzia. E loro rispondevano: “Ci stiamo pensando perché i fiorai li sconoscono e ci devono dare una risposta, ma non preoccuparti che al più presto il vaso con i bulbi lo avrà tua moglie”.
L’ipotesi è che i boss fossero riusciti a fare uscire una provetta dal carcere. Attraverso un insospettabile complice, che potrebbe essere un prete, come emerge da altre lettere svelate dal libro di Salvo Palazzolo. Madre e sorella chiedevano infatti con insistenza se il sacerdote fosse venuto a celebrare messa. Giuseppe rispondeva: “Domenica scorsa, ho fatto la comunione e ho ascoltato la santa messa”.
Sono i misteri dei Graviano, che ricalcano quelli di Matteo Messina Denaro, il boss di Castelvetrano ricercato dal giugno 1993: insieme costituivano la “Super Cosa” voluta da Riina per lanciare la stagione delle stragi.
In un’altra lettera al cugino Salvo, Giuseppe Graviano scriveva: “In questo mondo, Gesù ci ha dato il corpo per servire, perciò vivere 10 anni, 30 anni, o 100 anni non cambia niente, siamo di passaggio, l’importante è vivere in rettitudine per presentarsi davanti a Dio con l’anima pura”.
Dieci, 30, 100. “Scritte dal padrino delle stragi sembrano rate da riscuotere – dice Palazzolo -. Ma in questo caso, sta dicendo, non gli interessano. Invoca piuttosto l’importanza di “vivere in rettitudine per presentarsi a Dio con l’anima pura”.
Che sembra solo una minaccia da fare a qualcuno che non ha rispettato i patti. Sono davvero tanti i segreti dei Graviano, è importante che restino al 41 bis”.