Morning Bell: cosa si aspettano i mercati

Economia & Finanza

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Oltreché per la guerra in Ucraina, gli investitori sono preoccupati per il rialzo dell’inflazione e il Brent sfiora i 140 dollari al barile, vicino al record di 147,8 dollari del 2008, per poi rintracciare sopra i 130 sulle voci sempre più insistenti di un possibile divieto sulle forniture di greggio russo.

Mercati, Wall Street

AGI – La settimana inizia in modo molto turbolento per i mercati. In Asia le Borse arretrano e lo stesso fanno i future a Wall Street e in Europa, mentre il prezzo dell’oro s’impenna sopra 2.000 dollari l’oncia e volano i prezzi del petrolio. A dominare è sempre il conflitto tra Russia e Ucraina, che sembra destinato a durare a lungo, mentre Vladimir Putin paragona le sanzioni a un atto di guerra.

Gli investitori sono anche preoccupati per il rialzo dell’inflazione e il Brent sfiora i 140 dollari al barile, vicino al record di 147,8 dollari del 2008, per poi rintracciare sopra i 130 sulle voci sempre più insistenti di un possibile divieto sulle forniture di greggio russo. In Asia Tokyo è scesa del 2,94% e Hong Kong del 3,5%.

Giù i future a Wall Street, con quelli sul Nasdaq che perdono l’1,7%, dopo aver chiuso in rosso la settimana precedente. Peggio ancora fanno i future sull’EuroStoxx che affondano quasi del 3%, dopo aver chiuso in profondo rosso l’ottava appena trascorsa.

Gli Stati Uniti e gli alleati europei stanno esplorando la possibilità di vietare le importazioni di petrolio russo, ha riferito ieri il segretario di Stato Usa Antony Blinken e la Casa Bianca si è coordinata con le principali commissioni del Congresso per andare avanti col divieto. Secondo quanto riferiscono fonti Reuters anche l’Europa, che si affida molto alla Russia per le forniture di gas naturale e per quelle di petrolio, nelle ultime 24 ore, sarebbe diventata più aperta all’idea di vietare i prodotti russi.

Oggi c’è attesa per il terzo round di colloqui tra Mosca e Kiev. Sul fronte macro gli occhi sono puntati sugli ordini all’industria e le vendite al dettaglio in Germania. Inoltre parlerà al Congresso del partito comunista cinese il ministro degli Esteri Wang Yi. La Cina, secondo molti osservatori, potrebbe candidarsi come mediatrice per negoziare un cessate il fuoco in Ucraina. Intanto questa settimana i due eventi clou si concentreranno nella giornata di giovedì prossimo, quando è prevista la riunione della Bce e l’uscita dei dati sull’inflazione Usa. Più a lungo termine i riflettori sono puntati sulla riunione della Fed del 15-16 marzo.

Il rischio di una stagflazione pesa sullo scenario economico

La forte volatilità dei mercati è legata al timore è che le vicende belliche e i prossimi rialzi dei tassi possano frenare la crescita senza riuscire a raffreddare l’inflazione. I gestori di fondi che si attendono una situazione di stagflazione (Pil fermo e prezzi che corrono) entro i prossimi 12 mesi sono saliti al 30% dal 22% del mese scorso.

“La stagflazione – sostiene Antonio Cesarano, chief strategist di Intermonte Partners – in questo contesto diventa uno scenario sempre più probabile almeno per l’Europa, anche se successivamente potrebbe interessare anche gli Usa”.

Questa prospettiva ovviamente non piace ai mercati, che però  guardano anche alle opportunità che gli si aprono davanti: la futura ricostruzione che farà da traino agli investimenti in infrastrutture e la diversificazione energetica per accelerare la riduzione della dipendenza dalla Russia.

La stagflazione, a ogni modo, comporterà un cambio di rotta nella politica delle banche centrali, che dovranno pensare di meno alle strette monetarie e di più a far ripartire l’economia. “Per prima comincerà la Bce – dice Cesarano – tra qualche mese potrebbe essere il turno anche della Fed, che prima però potrebbe tentare di avviare una breve fase di rialzo tassi/riduzione del bilancio”.

Giovedì si riunisce la Bce

Cosa farà questo giovedì la Bce? Intanto probabilmente dirà che l’impatto della guerra renderà più soft la normalizzazione monetaria. Per questo potrebbe omettere di dare indicazioni sulla fine del Qe. Finora aveva detto che avrebbe ridotto gli acquisto a 40 miliardi di euro mensili nel secondo trimestre e 30 miliardi mensili nel terzo, per poi proseguire con 20 miliardi di euro mensili da ottobre.

A differenza di quanto sembra emergere come consenso diffuso all’interno della Bce, lo scenario di guerra ora potrebbe cancellare l’ipotesi di uno stop agli acquisti da ottobre. È anche possibile che la Bce vari una manovra per aumentare la liquidità sui mercati, attenuando così l’impatto negativo che le sanzioni e l’estromissione di alcune banche russe dallo Swift stanno determinando sui mercati monetari.

Inoltre giovedì la Bce rivedrà le sue stime di crescita e di inflazione. Finora è trapelato che la crescita del Pil europeo quest’anno potrebbe subire un taglio dello 0,3-0,4% per via della guerra. Sull’inflazione l’Eurotower dovrà dire se i prezzi saliranno intorno al 2% nei prossimi tre anni, o meno. Sui tassi di interesse recentemente la Bce non ha più escluso un rialzo dei tassi a fine anno. Tuttavia ha sempre detto che prima occorre finire il Qe e poi rialzare i tassi. Se però non verrà indicata una data di fine del Qe, allora implicitamente il rialzo dei tassi si allontanerebbe.

Attesa per dati su inflazione Usa, se a febbraio sale oltre 8% sono guai

La settimana scorsa sono usciti i dati sull’inflazione europea, che a febbraio ha toccato un nuovo massimo storico: la crescita media dei prezzi al consumo nell’area euro ha raggiunto il 5,8% annuo. Si tratta del valore più elevato dal lancio della valuta unica. A fare da traino sono stati i prezzi dell’energia, saliti del 31,7%, rispetto al 28,8% di gennaio, ma anche i prezzi dei beni alimentari si stanno surriscaldando. E anche qui c’è lo zampino della Russia, che è un grande esportatore di grano e di fertilizzanti. Questo giovedì usciranno i dati sull’inflazione Usa, che a febbraio è attesa in rialzo dal 7,5% al 7,9% annuale.

‘inflazione ‘core’, quella con l’esclusione dei dati più volatili dei beni energetici e di quelli alimentari, dovrebbe salire dal 6% al 6,4% annuo. “Se uscirà un dato in linea con le attese – spiega Cesarano – la Fed a marzo rialzerà i tassi di un quarto di punto, come auspica Powell, se invece dovesse uscire un dato superiore all’8%, allora i mercati potrebbero entrare i fibrillazione, ipotizzando un rialzo dei tassi di 50 punti base”.

Il 16 marzo tocca alla Fed decidere su tassi e bilancio

Il 16 marzo toccherà alla Fed decidere sui tassi e sul bilancio. Powell questa settimana è stato chiaro: propende per un rialzo dei tassi di un quarto di punto. I mercati prevedono inoltre almeno altri 5 rialzi, 6 in tutto quest’anno e tutti graduali, dello 0,25%. Powell ha anche confermato che la Fed ridurrà il suo maxi bilancio, che attualmente è pari al 40% del Pil Usa.

In altre parole la guerra non ha cambiato il suo atteggiamento. Il numero uno della Fed non esclude che la guerra faccia salire l’inflazione e assicura che la banca centrale ne terrà conto, perché il suo principale obiettivo in questa fase è tagliarla.

I capitali europei prendono il volo verso gli Usa

“Oggi – spiega Cesarano – se Kiev e Mosca trovano un’intesa, potremmo essere un po’ piu’ ottimisti, altrimenti avremo un altro forte ‘flight to quality’, o volo verso la qualità, che poi, in gergo tecnico, significa che gli investitori hanno paura e si coprono dai rischi, comprando gli asset ritenuti più sicuri in questi casi: Treasury, Bund, dollari e oro.

L’hanno già fatto la scorsa settimana mandando di nuovo i Bund tedeschi in territorio negativo e l’oro a 1.961 dollari l’oncia”. In compenso, a parte gli asset russi, che sono scesi sottoterra, facendo lievitare l’aspettativa di un default della Russia, è stata l’Europa a svenarsi.

“Nella settimana al 2 marzo – nota Cesarano – c’è stato il più grosso deflusso settimanale della storia dall’azionario europeo”. Il riferimento è ai dati pubblicati da Epfr, secondo il quale, al 2 di marzo, la fuoriuscita di capitali azionari dall’Europa è stata di 6,7 miliardi di dollari. Che significa? Che gli investitori percepiscono che l’Europa è all’epicentro della crisi ucraina e mandano i loro al sicuro oltreoceano.

“Portano i soldi nei paesi più lontani dalla guerra – spiega Cesarano – Basta guardare l’andamento degli indici azionari. L’invasione russa è cominciata il 24 febbraio. Dunque, dal 23 febbraio a oggi, l’EuroStoxx 600 ha perso il 10%, mentre l’S&P 500, il principale indice di Wall Street, nello stesso periodo ha guadagnato il 2%. Il travaso dall’Europa agli Stati Uniti degli investimenti azionari è evidente”.

“Credo che questo trend per un po’ proseguirà – dice Cesarano – anche perché l’Europa paga in euro le materie prime, denominate invece in dollari. Il deprezzamento dell’euro pertanto comporta maggiore inflazione importata, incidendo a sua volta sulla crescita a causa della conseguente perdita di potere d’acquisto”.

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