Tangentopoli: il mio incontro con il popolo dei fax

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A Roma, la plebaglia braccava letteralmente gli esponenti dei partiti di governo. E solo quelli, visto che, come si e’ “appreso” in questi giorni, le sorti magnifiche e progressive sarebbero state assicurate da D’Alema, Fini e Berlusconi. (Questo articolo fu pubblicato dieci anni fa in occasione del ventennale di “Mani Pulite”. Dopo dieci anni è ancora piu’ attuale).

Si e’ tornati a scoprire l’acqua calda. Tangentopoli – scrivono oggi i giornali in seguito alle rivelazioni di ambasciatori e consoli americani – fu una cinica, feroce, torbida operazione eterodiretta. Insomma, da fuori e da dentro hanno ciurlato nel manico. C’erano interessi di mezzo. Geopolitici ma anche economici: soldi, volgarissima grana. Dunque, dai limoni il succo che si poteva e’ ormai tutto spremuto. Requiem eternam per la “seconda repubblica”.

Ne sono felice, visto che ne’ le eroiche gesta del pool, ne’ quelle dei Belusconi, D’Alema e Fini promossi “fiduciari” USA per reggere la “provincia” italica dopo lo scempio mediatico-giudiziario, nemmeno per un attimo mi hanno mai incantato.

Peccato che piu’ felici ancora sembrano essere quelli che nella seconda repubblica ci hanno sguazzato ed ora, alla velocita’ della luce l’hanno ripudiata. La tragedia di questo nostro Paese sta tutta qui. Succede puntualmente ad ogni cambio di regime: avvento del fascismo, liberazione dal fascismo, prima repubblica, seconda repubblica. Ma si potrebbe tornare anche piu’ indietro o piu’ avanti. Purche’ ci siano nuovi vincitori, stranieri o indigeni, da salutare con entusiasmo e crocifiggere i perdenti di oggi, ex vincitori di ieri.

Basta, sono stufo di ripetere quanto fosse evidente dall’inizio la bufala manipulitista. Mi annoia ripetere le stesse argomentazioni che manifesto da venti anni e che oggi, guarda un po’, si fa finta che siano rivelazioni. E, invece, sono solo conferme, testimonianze, prove ulteriori.

Meglio affidarsi ai lampi della memoria, episodi e spunti che affiorano alla rinfusa. Da soli permettono a ciascuno, solo che lo voglia, di ricostruire l’ordito della tela.

Pochi giorni dopo quel 17  febbraio 1992, arresto di Mario Chiesa, i giornali ci informavano che sui muri della citta’ erano stati affissi, nottetempo, manifesti inneggianti a Di Pietro. E nessuno lo conosceva. La notorieta’ venne qualche mese dopo e l’attenzione era calamitata dalle imminenti elezioni politiche. Sempre prima della valanga, ricordo pagine e pagine dell’ Espresso con decine di foto di pubblici ministeri che, assicurava il settimanale, avrebbero ripulito dal marcio tutta Italia. E, ancora una volta, si trattava di informazioni di prima mano: tutto doveva ancora succedere!

Era l’apparato mediatico-giudiziario che si era messo in moto per spazzare via il vecchio ceto politico che si scannava per capire chi dovesse andare a Palazzo Chigi e chi al Quirinale. Il cerchio non poteva quadrare perche’ i pretendenti erano tre per due poltrone: Craxi, Andreotti, Forlani. Persero settimane decisive e quando capirono era troppo tardi.

Cominciarono alcuni anni di ferocia inaudita, di cancellazione di ogni regola processuale e delle piu’ elementari garanzie.

A Roma, dove in quegli anni mi trovavo a lavorare, la plebaglia braccava letteralmente le vittime predestinate, cioe’ gli esponenti dei partiti di governo. E solo quelli, visto che, come si e’ “appreso” in questi giorni, le sorti magnifiche e progressive sarebbero state assicurate da D’Alema, Fini e Berlusconi. Piccoli e grandi tradimenti si consumarono, accompagnati da piccole e grandi vilta’.

In via del Corso, nella Capitale, deserta come non mai, mi capitava nell’ inverno ’92-’93, di incrociare Ugo Intini, l’uomo stampa di Craxi. Camminava al centro della strada: orgoglioso e senza timore. Quasi una sfida. Lo stimo da allora. L’ho poi incrociato varie volte ma non glielo ho mai detto. Ne parlo bene solo alle sue spalle.

Nelle redazioni l’eccitazione era insana. Ero, all’ epoca, vicedirettore della Direzione Esteri della RAI (poi RAI International) e mi occupavo del giornale radio della mezzanotte, che faceva grandissimi ascolti. Due redattrici mi vennero a pregare di inviarle a Milano per seguire da vicino le gesta di Di Pietro, che, mi dissero, era, oltretutto, un uomo bellissimo. Un redattore, una sera, arrivo’ trafelato con un foglio. Mi annuncio’ che si era fatto vivo “il popolo dei fax” (in nome del quale molti giornali affermavano di scrivere i loro articoli che altro non erano che bollettini delle procure). Lo gelai chiedendogli come facessero ad inviarci fax ad un numero telefonico che nemmeno io conoscevo. Fu il mio primo ed ultimo incontro con il “popolo dei fax”.

Tornavo a Firenze nel fine settimana e trovavo, sulla scrivania, montagne di notifiche giudiziarie: testimonianze, un paio di avvisi di garanzia. Stavano passando al setaccio tutto, ed io ero stato nella giunta comunale fiorentina per sette anni. Un impazzimento generale: si era svegliata anche la Corte dei Conti, tutti volevano il loro spicchio di celebrita’ mediatica. Dovendo rimborsare le spese legali agli amministratori ingiustamente inquisiti per la ripavimentazione di Piazza della Signoria sia dalla magistratura ordinaria, sia da quella contabile, il Comune di Firenze ha dovuta pagarla almeno quattro volte il suo costo.

Qualche anno dopo, a Pescara, dove ero Direttore di sede della RAI, lessi, nelle cronache locali, che numerosi comuni erano in dissesto per la stessa ragione: gli amministratori erano stati processati e assolti e si erano dovuti pagare i loro difensori.

Oltre ai grandi processi e alle grandi inchieste mai sfociate in processi, Tangentopoli fu anche tutto questo. Un Paese paralizzato, grandi e piccole aziende rovinate, e, sopratutto, l’assalto alle grandi aziende dello Stato che passarono di mano a prezzi irrisori.

Molti, troppi, di coloro che si ammantarono allora della aureola di santi e di eroi, sono passati poi dalla magistratura alla politica: ed e’ una vergogna per l’una e per l’altra.

Dopo venti anni, mentre un po’ di verita’ affiora, ci si prepara, ancora alle elezioni. E, per la seconda volta, l’uomo nuovo, appare a buon diritto Berlusconi. Che e’ in pista da venti anni ma meno di Bersani, Casini, D’Alema, Fini, Vendola, Bossi, Veltroni, etc.!

Nicola Cariglia

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