Lo Sri Lanka è la prima vittima economica della guerra

Economia & Finanza

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Il 12 aprile il Paese è entrato ufficialmente in default, annunciando che avrebbe sospeso i pagamenti sui 35 miliardi di dollari che il governo deve ai creditori stranieri. Ma i problemi del governo di Colombo affondano in un passato più lontano.

© Ishara S. KODIKARA / AFP – Proteste in Sri Lanka

È lo Sri Lanka tra le prime ‘vittime’ delle ricadute economiche dell’invasione russa dell’Ucraina sull’economia globale. Il 12 aprile il Paese è entrato ufficialmente in default, annunciando che avrebbe sospeso i pagamenti sui 35 miliardi di dollari che il governo deve ai creditori stranieri.

In un Paese in cui il turismo rappresenta un’importante fonte di reddito, e quindi già fortemente penalizzato dalla pandemia, l’impennata dei prezzi dei generi alimentari e dell’energia e il risultato della perturbazione dei mercati delle materie prime causati dalla guerra, hanno inferto un altro, gravissimo, colpo decretandone il fallimento.

Peraltro l’economia del paese asiatico era già mal gestita negli ultimi anni al punto che anche gli ex sostenitori del governo hanno dato vita a violente proteste su piazza. E lo Sri Lanka potrebbe non essere l’unico paese ad arenarsi nelle condizioni pericolose che rischiano di far deragliare la ripresa post-pandemica a causa dell’invasione ucraina.

Sicuramente, l’aumento dell’inflazione e dei tassi d’interesse non rappresentano un toccasana per l’economia di nessun paese ma mettono in ginocchio quelle dei più poveri. Nel paese asiatico i prezzi degli alimenti sono aumentati di quasi il 20% quest’anno e un importante distributore di carburante – Lanka IOC, che rappresenta un terzo del mercato – ha aumentato proprio oggi i suoi prezzi di ben il 35%. Sempre oggi, il paese si prepara a cruciali colloqui con il Fondo Monetario Internazionale per tentare un disperato salvataggio.

L’aumento dei prezzi e una profonda crisi

Lo Sri Lanka, nella morsa della sua peggiore crisi economica dall’indipendenza nel 1948, è andato in default sul suo debito estero martedì scorso. La rupia si è svalutata di oltre il 60% nell’ultimo mese. E quanto ai prezzi, l’inflazione complessiva ha raggiunto quasi il 20% ad aprile, e il 30% per il settore alimentare.

Molto più rapido l’aumento per l’energia: basti pensare che dall’inizio dell’anno, il costo della benzina è aumentato del 90% mentre il diesel, usato per il trasporto pubblico, del 138%. Il paese che conta 22 milioni di abitanti soffre da mesi di carenza di beni essenziali (cibo, carburante, medicine), e di lunghe interruzioni quotidiane di energia elettrica.

Con oltre 50 miliardi di dollari (46 miliardi di euro) di debito estero e una carenza di riserve in valuta estera, sta attualmente lottando per pagare le importazioni essenziali. Ciò ha portato a forti aumenti del prezzo di beni essenziali come riso, carburante e latte.

Problemi che arrivano da lontano

Intanto il nuovo ministro delle finanze dello Sri Lanka, Ali Sabry, si è recato a Washington, nel tentativo di assicurarsi un salvataggio di 3-4 miliardi di dollari dal FMI. Pandemia e guerra a parte, i problemi del Paese risalgono a molto più lontano. Dall’inizio degli anni 2000, i governi dello Sri Lanka hanno preso sempre più in prestito dai mercati internazionali dei capitali privati ​​attraverso l’emissione di obbligazioni sovrane, contribuendo seriamente alla precarietà della bilancia dei pagamenti del paese.

Un forte calo dei prezzi di mercato di queste obbligazioni – i titoli sovrani internazionali (ISB) costituiscono una parte importante del debito estero del paese – ha fatto seguito all’annuncio di martedì scorso dello Sri Lanka di un default preventivo.

Il governo del presidente dello Sri Lanka Gotabaya Rajapaksa subito dopo il suo insediamento nel 2019 ha cercato di correre ai ripari riducendo le tasse indirette sui consumi e attuando tutta una serie di tagli fiscali che hanno portato a squilibri macroeconomici su tutti i fronti e hanno esacerbato la crisi economica. Per gli analisti, ci vorranno almeno cinque anni da riprendersi da questo pasticcio.

Proprio oggi che inizia la missione a Washington, – Rajapaksa – peraltro fortemente contestato dalla piazza – ha deciso di fare un rimpasto di governo, confermando cinque ministri e allargandolo a 17 nuovi senza includere membri della sua famiglia che sono stati eliminati proprio a causa delle proteste. Il fratello maggiore del presidente, Mahinda Rajapaksa, rimane comunque primo ministro.

Secondo gli analisti, è l’instabilità politica ora a rappresentare un ostacolo a trovare un modo per uscire dalle turbolenze finanziarie e dai crescenti disordini popolari. Migliaia di cingalesi hanno protestato fuori dall’ufficio del presidente a Colombo per oltre una settimana, chiedendo che lasciasse il governo. Ma per ora hanno assistito solo ad un rimpasto, del modello gattopardesco, e cioé secondo il principio che “tutto cambia perché nulla cambi”

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