Al Maxxi “l’occhio” di Berengo Gardin su Venezia

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Dal 4 maggio al 18 settembre in mostra al museo romano gli scatti di quello che è considerato il maestro italiano del reportage sociale in bianco e nero.

AGI – “Ho fotografato per 70 anni e ne ho passati 52 in camera oscura”: non sono in molti a poter vantare un tale primato ma Gianni Berengo Gardin, considerato il maestro italiano del reportage sociale in bianco e nero, lo dice all’inizio del suo commento sonoro alla mostra al Maxxi di Roma, L’occhio come mestiere, visitabile dal 4 maggio al 18 settembre.

Chi è Berengo Gardin

Nato nel 1930 a Santa Margherita Ligure ma “solo perché mia madre dirigeva un Grand hotel”, in realtà Berengo Gardin è veneziano, e molte delle 200 foto esposte a Roma ritraggono con amore la sua città. Dalle scampagnate al Lido negli anni ’50 alle Grandi navi nel Canal Grande degli anni pre-pandemici, Venezia è protagonista del percorso del fotografo. Il titolo della mostra riprende quello di un libro antologico del 1970, uno dei moltissimi pubblicati durante la lunga carriera di Berengo Gardin, tutti esposti su una grandissima parete del Maxxi per l’occasione.

Quello costruito in sette decenni di carriera è, secondo i curatori della mostra, “un patrimonio visivo unico dell’Italia dal dopoguerra a oggi, caratterizzato da una grande coerenza nelle scelte linguistiche e da un approccio “artigianale” alla pratica fotografica”.

Dicono che odio il digitale, ma non è vero – dice Berengo Gardin – quello che odio è Photo shop, e il fatto che il digitale abbia cambiato la mentalità dei fotografi. Ricordo la pubblicità di una macchina fotografica, anni fa, il cui slogan era “non pensare, scatta”: è il contrario di quello che ho sempre detto ai miei studenti. Con la pellicola, necessariamente bisogna pensare bene prima di ogni scatto. E non mi piace neanche quel tic nervoso che consiste nel guardare immediatamente e continuamente il risultato di quanto fatto”.

E ancora “non sono un artista, ma lo dico con presunzione”: perché quella che pratica, è “vera fotografia”, “fotografia-documento”. La mostra, spiega la curatrice Margherita Guccione, mostra questa “visione documentaria, ma mai neutrale e sempre partecipe della realtà”, un racconto che “ripercorre 70 anni di fotografia in modo prevalentemente geografico con alcuni nuclei tematici”.

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