Per quanto vale poco, il peso argentino ormai si vende al chilo

Economia & Finanza

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A trent’anni dal primo conio, la moneta un tempo famosa per l’effige di Evita Peròn verrà presto dimessa: entro la fine di quest’anno il tasso di cambio ufficiale arriverà a 160 pesos per un dollaro

© ebay – Peso argentino
Ha suscitato molti malumori, tra gli argentini, l’annuncio delle nuove banconote che la Banca centrale a partire da ieri sta emettendo sul mercato e che presentano qualche novità: non ci sono più gli animali colorati tipici della regione, ma i volti di eroi nazionali con una preferenza per le donne. Evita Peròn campeggia sulla banconota da 100 pesos, ca vans sa dire. È opinione diffusa infatti che il peso argentino – a trent’anni dal suo primo conio – non ha praticamente più valore, e la gente comune continua ad usarlo più per abitudine che altro.

Per avere un’idea su come sia svalutato, bisogna andare indietro negli anni Novanta quando il peso venne ‘inventato’. All’epoca, con 100 pesos – che erano l’equivalente di 100 dollari – si potevano comprare 30 chili di roast beef, 200 litri di latte e 100 bottiglie di birra. Oggi, con gli stessi 100 pesos si acquistano solo 120 grammi di roast beef, un litro di latte e una lattina di birra.

Per gli uffici cambio, ha dell’incredibile: 118 pesos sono praticamente 1 dollaro, 1.000 pesos che erano il taglio più grande valevano cinque anni fa 55 dollari mentre ora 4,8 dollari (al mercato nero) e 8,4 dollari al cambio ufficiale.

A questo punto, secondo un rapporto di Goldman Sachs, che risale a dicembre scorso, non c’è altro rimedio che far andare il peso in pensione in quanto il divario del tasso di cambio di circa il 100% preannuncia “una considerevole svalutazione” che porterà il tasso di cambio ufficiale ad almeno 160 pesos per 1 dollaro entro la fine del 2022, che tuttavia porterà pochissimo sollievo se altre misure non saranno prese allo stesso tempo.

Secondo la currency watchlist pubblicata settimanalmente dall’economista statunitense Steve Hanke della Johns Hopkins University, il peso argentino, con un deprezzamento del 62,16% dall’inizio del 2020, è la sesta valuta più svalutata al mondo rispetto al dollaro Usa, dietro alle valute di Venezuela, Zimbabwe, Libano, Sudan e Siria.

Galoppa intanto l’inflazione, aumentata del 6% ad aprile in un solo mese con un’impennata di oltre il 58% rispetto allo stesso mese dell’anno scorso. Questo aumento vertiginoso dei prezzi si aggiunge a quello registrato nel 2021, quando l’inflazione si è attestata al 51,4%, e riflette il continuo deprezzamento del potere d’acquisto della moneta argentina.

La sua svalutazione ha raggiunto un livello tale che, al momento, il metallo fuso delle monete vale più della moneta stessa. Così, su vari social network o siti web di seconda mano, si possono trovare annunci in cui, ad esempio, si offre di pagare tre pesos per una moneta da un peso. Altri acquistano monete all’ingrosso, fissando i prezzi al chilo.

Queste transazioni sono diventate anche molto appetibili a causa dell’aumento del costo dei metalli di cui sono composte le monete. Ad esempio, il nichel e il rame sono più che raddoppiati di prezzo in seguito all’attuale crisi inflazionistica e alla guerra in Ucraina.

In questa situazione, c’è anche un altro tipo di problema: le banconote valgono di meno, quella più grande in circolazione vale meno di 5 dollari e ciò comporta che le persone devono portarsi dietro enormi mazzette di contanti, generando così un problema di sicurezza e di logistica per i risparmiatori, le imprese e le banche.

Gli inconvenienti sono poi aggravati dai rigidi controlli sui capitali imposti dal 2019 per prevenire la fuga di valuta e dall’attività del mercato nero. Sebbene i pagamenti elettronici siano aumentati durante la pandemia Covid-19, gran parte delle vendite avviene però ancora in contanti. Senza contare un altro problema, a carico delle banche, dove i caveau sono stra-pieni per il contante fisico. E quello che deprime gli argentini è non intravedere una soluzione.  AGI

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