“Crowned Idols”, il marmo di 3mila anni ‘oscura’ l’artista star

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Millecinquecento visitatori hanno acquistato un biglietto cumulativo per girare l’intero Museo archeologico di Siracusa, 500 quelli che hanno visitato la mostra.

AGI – A metà del programma di esposizione della mostra “Crowned Idols”, allestita al Museo Orsi di Siracusa fino al 26 luglio, i visitatori sono stati dopo due mesi poco più di cinquecento e circa millecinquecento quanti hanno acquistato un biglietto cumulativo per girare l’intero Museo archeologico.

Nonostante i numeri contenuti, i dirigenti del Paolo Orsi parlano di incremento dell’affluenza dopo il lungo periodo di stallo dovuto alla pandemia e attribuiscono il merito proprio alla figurina cicladica risalente a quasi tremila anni avanti Cristo, un marmo che raffigura una donna probabilmente assimilabile a una divinità.

La sorpresa è nell’interesse superiore dimostrato all’opera d’arte antica rispetto a quella contemporanea, dal momento che insieme all’idolo la mostra ospita una gigantesca installazione dell’artista portoghese Joana Vasconcelos, un nome che è stato capace in una sua personale a Versailles di richiamare un milione e mezzo di visitatori.

La sua arte di tipo moderno, che lei stessa definisce “barocca”, ha dovuto però cedere a Siracusa la scena all’arte cicladica, venuta ben prima di quella greca e coeva di quella minoica e poi micenea.

Ma è soprattutto l’imponente manufatto pluricromatico simile a un maestoso feticcio femminile (concepito dalla Vasconcelos per i sessant’anni del regno di Elisabetta d’Inghilterra e intitolato “The Crown”) e fatto di cordami annodati, stoffe ricamate e payettes, a recedere di fronte alla minuscola scultura alta ottanta centimetri posta ai suoi piedi e come “incoronata”, così rispondendo alle intenzioni dell’artista lusitana e dei promotori aretusei della mostra Demetrio Paparoni e Anita Crispino.

Chiamate forse impropriamente “idoli” per circonfonderle di un significato religioso, le statuine del tipo di quella esposta a Siracusa apparterrebbero alla varietà detta “Spedos”, la più comune nell’antico Egeo e perlopiù costituita da forme femminili erette con le braccia non incrociate ma sovrapposte, il collo molto allungato, le gambe sottili ed erette e il volto appena stilizzato.

La loro funzione nell’età neolitica è ancora oggetto di studi, ciò che accresce il mistero e il fascino sulla loro presenza. Che ha colpito molto l’immaginario dei visitatori siracusani, posti di fronte a uno stridente ma miracoloso e riuscito confronto tra l’estremamente antico e l’estremamente moderno, l’enormemente voluminoso e l’enormemente minuto: uno straniamento della percezione visiva che evoca le leggi della fisica meccanica e quantistica e le vertiginose dimensioni spaziotemporali che congiungono civiltà ed epoche lontanissime.

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