Dietro la strage in Nigeria c’è un Paese a rischio di implosione

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La mattanza quella che si è consumata ieri nella Chiesa di San Francesco a Owo, nello stato sudoccidentale di Ondo, non trova per ora spiegazioni.

di Angelo Ferrari

AGI – Inaspettato, feroce. Una vera e propria mattanza quella che si è consumata ieri nella Chiesa di San Francesco a Owo, nello stato sudoccidentale di Ondo. Di sicuro – in assenza di una rivendicazione – un attentato terroristico ben pianificato, ma dalle ragioni ignote.

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Lo Stato di Ondo – uno dei 36 stati che compongono la federazione nigeriana – non ha mai visto una ferocia simile, anzi è un territorio abbastanza pacifico e, soprattutto, lontano dalle aree saheliane della Nigeria, il nord-est, dove continuano le scorribande dei Boko Haram, anche se depotenziate dall’intervento dell’esercito nigeriano.

Un attentato – 21 morti secondo fonti ufficiali – in una chiesa cattolica, dunque, per ora del tutto inspiegabile. In molti hanno posto l’accento sulla natura etnica. Senza alcuna prova concreta, la stampa locale ha attribuito, meglio, ha punto il dito, contro i Fulani, un gruppo radicalizzato appartenente a un’etnia nomade dell’Africa occidentale dedita alla pastorizia e al commercio, e in lotta con le popolazioni cristiane o animiste, in particolare contro gli appartenenti all’etnia yoruba, più dedita all’agricoltura.

Non è una novità, infatti, che queste due etnie, nelle loro espressioni più radicali, sono in lotta da sempre e l’oggetto del contendere è la terra. I fulani sono sempre alla ricerca di pascoli per la transumanza e gli yoruba di terra da coltivare. Scontri intercomunitari, anche feroci, che, però, non hanno mai avuto connotazioni religiose e che non ha avuto come teatro luoghi sacri. Per l’una o per l’altra etnia.

Quindi è difficile capire cosa davvero sia successo, al di là della mattanza. E tutto diventa ancora più incomprensibile per il fatto che l’attentato è avvenuto nello stato di Ondo, fino a ieri immune da episodi cosi’ feroci, nel sud della Nigeria che si affaccia sul golfo di Guinea e a qualche centinaio di chilometri dalla capitale economica Lagos. Una regione cristiana lontana dalle scorribande dei jihadisti che infestano il nord del paese, a maggioranza musulmana. Ciò che inquieta, dunque, è che questo attentato potrebbe aprire scenari nuovi, un cambio di strategia dei vari gruppi armati e jihadisti che operano in Nigeria.

In assenza di una rivendicazione tutto resta fumoso e incomprensibile. Boko Haram rimane la formazione jihadista più attiva in Nigeria e in dieci anni di attacchi terroristi ha provocato oltre 50mila vittime e costretto oltre 3 milioni di persone ad abbandonare le loro case, con migrazioni che hanno creato instabilità e insicurezza anche negli stati confinanti, in particolare il Niger.

Nel Nord-Est della Nigeria e nel confinante bacino del lago Ciad – come scrive la rivista Africa – l’attivismo di Boko Haram si affianca a quello dello Stato Islamico nell’Africa occidentale (Iswap), mentre al-Qaeda si materializza attraverso i miliziani di Ansaru. Gruppi jihadisti appartenenti a network terroristici rivali rendono ancora più complesso lo scenario nigeriano.

A ciò si aggiunge il banditismo armato che trova le sue radici in uno stato endemico di insicurezza economica e sociale. La crisi sociale, politica, economica e sanitaria è sempre più acuta.

Sono diverse le cause che hanno fatto deflagrare un disagio sociale senza precedenti: la crisi energetica che, nonostante la Nigeria sia il secondo produttore di petrolio dell’Africa subsahariana, si fa sentire sul prezzo alla pompa della benzina, la crescita del prezzo delle commodities, con aumenti di generi alimentari di prima necessità – negli ultimi tre mesi – che hanno raggiunto il 30-40%, complice la crisi ucraina e che porterà ulteriori aggravi.

La Nigeria, dunque, è un gigante dai piedi di argilla. Non solo. Secondo il premio Nobel per la letteratura il nigeriano Wole Soyinka, il paese è a rischio implosione.

Secondo il premio Nobel il paese dovrebbe decentralizzarsi altrimenti la Nigeria non può stare insieme. La corruzione, diventata strutturale, è un altro fattore destabilizzante per una popolazione che stenta ad arriva a fine del mese e la politica, totalmente incapace di rispondere ai bisogni economici e di sicurezza, fa il resto.

All’inizio del suo mandato presidenziale, Muhammadu Buhari – al secondo mandato – ha promesso che avrebbe sconfitto Boko Haram, combattuto la corruzione e ridotto la povertà: tutti gli obiettivi sono stati mancati e la povertà, se possibile, è aumentata.

Oltre il 50% dei nigeriani vive sotto la soglia di povertà, cioè con meno di 2 dollari al giorno. Si stima che altri 20 milioni di nigeriani saranno considerati in povertà entro il 2022, andando ad aggiungersi agli 83 milioni registrati nel 2019 dal Nigerian Standards Survey.

La metà della popolazione. La rabbia non può che montare.

Non è un caso che i depositi dove sono stati immagazzinati generi alimentari siano stati saccheggiati da folle di giovani inferociti secondo i quali sarebbero dovuti andari ai poveri e agli affamati, accusando le autorità di incetta di generi alimentari o di avere intenzioni di rivederli. La crescita demografica non aiuta un paese sull’orlo del baratro.

Le Nazioni Unite stimano che nel 2050 la popolazione nigeriana arriverà a 429 milioni di persone, di cui 152 sotto la soglia di povertà, e un bambino su tredici nel mondo sarà nigeriano.

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