A soli 17 anni, testimone di giustizia, è morta a Roma il 26 luglio 1992, ufficialmente per suicido. Il documento visionato da AGI chiede di verificare ciò che successe visto anche il legame tra la ragazza e il giudice Paolo Borsellino.
di Giuseppe Marinaro
AGI – “Rita Atria, a soli 17 anni, testimone di giustizia, è morta a Roma il 26 luglio 1992, ufficialmente per suicido. Morta una settimana esatta dopo la strage di via D’Amelio, dove persero la vita il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta. È noto il legame e l’affetto che legava Rita Atria al giudice Borsellino. Rita era stata costretta a vivere a Roma in quanto c’era il fondato pericolo di vita. Morirà da sola, senza alcun supporto affettivo e psicologico e, dagli atti, che da qui a poco andremo ad evidenziare, senza nessuna scorta e tutela, abbandonata a se stessa“. Inizia cosi’ l’istanza di riapertura indagini sulla morte di Rita Atria, presentato alla procura di Roma dall’Associazione Antimafie Rita Atria e da Anna Maria Rita Atria, sorella della giovane testimone di giustizia, tramite l’avvocato Goffredo D’Antona del foro di Catania.
Tra le richieste contenute nel documento visionato da AGI, quella di valutare l’opportunità di riesumare il cadavere “per verificare se sotto le unghie vi sia materiale utile alle indagini ed ai tempi non ricercato e per ricercare altri elementi che, con le tecniche sofisticate di oggi, potrebbero essere utili”. È opportuno verificare se tutti gli atti compiuti dalla polizia giudiziario “siano stati depositati presso la procura”.
Si tratta, in definitiva, di “acquisire nuovi elementi di prove utili al fine di poter procedere allo stato contro ignoti per il reato di omicidio volontario o istigazione al suicidio aggravata”. La vicenda è al centro di un libro-inchiesta che 30 anni dopo ricostruisce la storia di Rita Atria, pubblicato da Marotta&Cafiero: “Io sono Rita”, scritto da Giovanna Cucè, Nadia Furnari e Graziella Proto.
Dalle indagini, “gravemente incomplete con passaggi e scelte investigative inspiegabili, non emerge mai alcuna figura di riferimento”. Emerge, viene scritto nell’istanza che chiede la riapertura delle indagini, “l’assoluta assenza degli uomini dell’Alto Commissario per la lotta alla mafia (nel documento semplificato con Alto Commissario) al quale una bambina di 17 anni, che aveva deciso di denunciare alla magistratura tutto quello che sapeva sulla mafia di Partanna, era stata affidata dal tribunale dei minori di Palermo, in data 4 marzo 1992”.
Il Tribunale per i minorenni, infatti, disponeva l’allontanamento dal nucleo familiare in quanto pregiudizievole per la minore e la poneva sotto la vigilanza dell’Alto Commissario per la lotta alla mafia. Al tempo era l’ex Prefetto Finocchiaro. Il procedimento venne archiviato su richiesta della Procura in quanto “suicidio dal quale non emergono responsabilità (penali) di terzi”.
Il primo dato che emerge dalle indagini compiute ai tempi è il tasso alcolico nel sangue di Rita 0,38%. Il consulente tossicologico del Pubblico Ministero. L’accertamento per verificare la presenza di alcol e di barbiturici nel corpo di Rita è stato fatto nel settembre del 1992. A distanza di quasi due mesi dalla morte.
“Ora è un fatto notorio – si legge nell’esposto – che l’alcol nel sangue di una persona viva si smaltisce in poche ore. Ma anche post mortem si ha uno smaltimento dell’alcol, sia pur in una misura piu’ lenta, per ossidazione”. Si è detto che Rita doveva avere un tasso elevatissimo di alcol nel sangue, si è detto che non c’era alcol in casa da bere. Nell’appartamento dove Rita era rifugiata, non è stata trovata nessuna bottiglia di alcolici, per come riportano tutti i verbali. Qualcuno ha “fatto ubriacare la povera Rita e poi si sia portato via le bottiglie vuote. Anche argomentando nell’ipotesi del suicidio, va valutata una ipotesi di istigazione. E non vi è prescrizione per istigazione al suicidio di un soggetto incapace di intendere e di volere”.
Il nucleo scientifico dei carabinieri nella relazione generale dichiara che non sono state rivenute tracce biologiche di nessun tipo. Si rileva che, “oggettivamente, è impossibile che in una casa abitata non sia stato trovato un capello o altri elementi utili per le indagini. C’è però un orologio da polso e da uomo fotografato sul frigorifero in cucina. Un orologio è una miniera di dati biologici, peli sudore micro particelle epidermiche. L’orologio è stato fotografato, ma non repertato e non sequestrato. Di chi era quell’orologio posato ordinatamente sul frigorifero, in una casa con uno strano disordine? E perchè non è stato repertato?”.
Rita Atria aveva un tasso alcolemico altissimo, “ma non ci sono bottiglie di alcol in quella casa. Una casa abitata, ma senza alcuna traccia biologica. Per questo si propende per dire che Rita era in compagnia di qualcuno che l’ha fatta bere che ha portato via le bottiglie di alcol e che ha pulito da cima a fondo quell’appartamento”.
Conclude l’istanza presentata alla procura di Roma: “Non siamo qui a voler scrivere la Storia di una ragazzina di 17 anni che si era affidata allo Stato e alla Giustizia. Siamo qui a chiedere giustizia, a chiedere attenzione ad una vicenda umana e processuale che è stata svolta in maniera ingiusta, che sarebbe ingiusta non solo nei confronti di Rita Atria, testimone di giustizia, la ‘picciridda’ come la definiva Borsellino, ma nei confronti di una ragazzina qualunque. Abbiamo posto dei quesiti che riteniamo meritino una riposta”.
I prossimi passi
E il punto di partenza “è capire chi erano le persone fisiche che avevano in cura e la vigilanza di Rita Atria, perchè quando si è sotto scorta e sotto protezione, devono esserci persone adibite a proteggere e verificare, a cominciare dal quel momento quali manchevolezze ed omissioni vi siano state”.
“L’assenza” del Tribunale per i minorenni dopo l’affidamento (il fatto che vivesse in località segreta nonignifica che non potessero chiedere periodiche relazioni sullo stato della minore). Va capito perchè, secondo quanto chiede l’esposto, non sono state fornite le impronte digitali di comparazione; perchè come sembra di capire l’album fotografico (con tutti gli aspetti significativi evidenziati) venne depositato a distanza di anni; l’esame tossicologico è stato disposto a mesi di distanza dalla morte; l’orologio fotografato non è stato repertato ed analizzato; non sono state prese le impronte digitali di Rita a supporto delle indagini.