L’Ungheria cala il veto e blocca la tassazione globale minima

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La misura, concordata a livello Ocse e G20,  prevede un’imposta minima del 15% per tutte le società che hanno ricavi annui superiori a 750 milioni di euro. Secondo le stime può fruttare fino a settanta miliardi di euro che in parte finanzierebbero anche il Next Generation Eu.

di Brahim Maarad

AGI – L’Ungheria punta i piedi in Ue e cala il suo veto, di nuovo. E questa volta blocca la direttiva sulla tassazione globale minima. Quella concordata a livello Ocse e G20 di cui erano tanto orgogliosi i Paesi dell’Ue (e non solo) e che prevede un’imposta minima del 15% per tutte le società che hanno ricavi annui superiori a 750 milioni di euro.Andrebbe a colpire quindi i giganti che finora, facendo leva anche sul dumping interno tra gli Stati dell’Unione, sono riusciti a pagare molto meno del dovuto. Qualche volta anche nulla.

Ma dopo mesi di trattative e quando ormai è stato superato l’ostacolo Polonia – che non solo aveva ottenuto le garanzie richieste ma è riuscita a sbloccare anche l’approvazione, avvenuta in via definitiva proprio oggi, del suo Pnrr – è stato innalzato il muro dell’Ungheria.

È una storia curiosa, quella di questa direttiva sulla minimum tax: appena risolviamo un problema, ne viene fuori un altro“, ha ironizzato (esorcizzando tutto il suo disappunto) il ministro dell’Economia francese, Bruno Le Maire, quando ha dovuto prendere atto della volontà del collega ungherese, Mihaly Varga, di non andare avanti e quindi congelare, di nuovo, tutto.

La Francia è presidente di turno dell’Ue per il primo semestre dell’anno e quello che si è tenuto oggi a Lussemburgo era il suo ultimo Ecofin a capotavola. L’obiettivo era proprio di chiudere ‘in bellezza’ approvando la direttiva che per Parigi rappresenta “una misura di giustizia finanziaria” ma anche l’occasione di “portare alle casse dell’Ue risorse proprie nuove” che di questi tempi farebbero comodo a tutti.

Secondo le stime può fruttare fino a settanta miliardi di euro (che in parte finanzierebbero anche il Next Generation Eu) “Le modifiche proposte alla direttiva presentata dalla presidenza nel documento sono un passo avanti importante però non risolvono comunque le preoccupazioni dell’Ungheria. Quindi l’Ungheria non può esprimere il sostegno per l’adozione della tassa globale minima come viene proposta in questa fase. Il lavoro non è completo, dobbiamo continuare a lavorare per trovare una soluzione”, è stato laconico Varga durante la riunione.

I due pilastri dell’accordo globale

Il secondo è quello della tassazione minima ed è stato finalizzato lo scorso fine anno. Il primo pilastro, invece, resta ancora da sigillare a livello di Ocse definendo i dettagli, e riguarda le imposte sui profitti delle grandi aziende indipendentemente dalla loro sede legale. Ciò che chiede l’Ungheria è esattamente ciò che chiedeva la Polonia fino a qualche giorno fa: legare i due pilastri.

Pur di accogliere questa istanza, la Commissione – che in sede Ecofin è rappresentata dal titolare dell’Economia, Paolo Gentiloni – ha presentato una dichiarazione in cui ribadisce la sua “determinazione” ad applicare entrambi i pilastri “il prima possibile” e persino a presentare una proposta legislativa per la tassazione digitale se non ci dovesse essere un accordo globale per tempo.

L’impegno ha soddisfatto la Polonia ma non ha convinto l’Ungheria che ha cambiato idea. Anche perché, secondo la versione di Budapest, in questo momento “l’Ue deve prestare attenzione alle conseguenze della guerra“. “L’introduzione in queste circostanze di una tassa minima per le multinazionali causerebbe gravi danni alle economie europee”, ha spiegato Varga.

Le Maire, mostrandosi comunque fiducioso di riuscire a convincere l’Ungheria entro fine mese a cambiare idea, non hanno mancato di fare notare che Budapest “aveva dato il suo via libera e lo aveva confermato anche dopo l’invasione russa dell’Ucraina”. In effetti, le ultime riserve ungheresi erano state sciolte ad aprile, dopo aver ottenuto una serie di eccezioni alla cosiddetta regola dell’inclusione del reddito, in modo che sia volontaria per un periodo di cinque anni.

Difficile non pensare, anche se a Bruxelles nessuno lo vuole ammettere, che Budapest non voglia barattare il suo veto con l’approvazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, ancora bloccato per criticità di trasparenza nella gestione dei fondi. Dall’altro lato, Le Maire pone un altro problema politico: l’unanimità.

“Se ci fosse stata la maggioranza qualificata per le questioni fiscali, avremmo approvato questo provvedimento tanto tempo fa, rispondendo alle esigenze dei nostri concittadini”, ha dichiarato. E a chi gli fa notare che per cambiare l’unainmità bisogna cambiare i trattati e per cambiare i trattati serve l’unainmità, risponde: “Non c’è ostacolo tecnico che non possa essere sormontato dalla volontà politica”.

 

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