USA, altre condanne in tribunale per Bayer

Ancora difficoltà per Monsanto e il suo Glifosato, marchi recentemente figli del colosso farmaceutico tedesco. Quando media e organizzazioni “amiche” non bastano a negare l’ovvio, Giustizia e Verità arrivano inesorabili

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La divisione Monsanto, appartenente a Bayer dal 2018, è stata nuovamente sconfitta in tribunale insieme ad uno dei sui ritrovati di punta, il celebre erbicida RoundUp (Glifosato salificato). La Corte Suprema statunitense ha infatti deciso di non riesaminare la sentenza di un tribunale inferiore emessa nel 2021, che aveva stabilito come l’azienda dovesse pagare un risarcimento di 25 milioni di dollari a Edwin Hardeman in seguito allo sviluppo di un linfoma non Hodgkin, causato proprio dell’uso prolungato del diserbante.

La storia di Johnson e del giardino che non seccherà mai

Ma la spirale discendente dell’azienda tedesca non inizia ora, visto che il signor Hardeman non è stato il primo a stabilire un legame causale tra l’uso della sostanza e la comparsa della malattia. La saga risale invece al 2018 quando, a causa di ingenti perdite economiche da risarcimenti, Monsanto venne acquisita da Bayer.

In quegli anni Dewayne Johnson, ex giardiniere comunale a San Francisco, aveva utilizzato a lungo il RoundUp per tenere lontane le erbacce dai suoi amati giardini fioriti. È stato il primo individuo a sfidare il gigante aziendale in tribunale, dove è emerso come primo coraggioso vincitore contro Monsanto. Già gravemente malato per via (anch’egli) di un linfoma non Hodgkin, scelse di prendere posizione pubblicamente per evidenziare l’enorme pericolo di cui molti erano stati sempre all’oscuro. E la sua preoccupazione andava oltre la propria vita che si spegneva, come quella di alcuni suoi colleghi: Johnson sottolineò il fatto che aveva spruzzato a lungo RoundUp su terreni scolastici, mettendo inconsapevolmente e inevitabilmente bambini a rischio di esposizione alla sostanza. Inoltre dichiarò che avrebbe voluto essere “solo il primo di una lista di persone che, in seguito al processo, potranno mostrare come si sono ammalati a causa del glifosato”.

Come risultato del processo, Monsanto fu obbligata a pagare un’enorme cifra di 289 milioni di dollari, con la giuria che assegnò 39,2 milioni di dollari a Johnson come risarcimento e il resto come sanzione per non aver divulgato apertamente le proprietà cancerogene dell’erbicida ai consumatori. Come si può facilmente dedurre, una volta stabilito il primo nesso causa-effetto tra l’uso del diserbante e il manifestarsi di tumori, divenne progressivamente più facile dimostrare le colpe delle morti sospette, fino ad arrivare a giorni più recenti. L’avvocato di Mr. Hardeman ad esempio, Brent Wisner, durante la causa ha dichiarato: “Siamo stati finalmente capaci di mostrare documenti segreti della Monsanto che provano senza ombra di dubbio ciò che la compagnia già sa da decenni, ovvero che il RoundUp causa il cancro”. Ha concluso poi dicendo: “Il messaggio che il verdetto ha mandato alla Monsanto é chiaro: sappiamo che hanno messo i profitti davanti alla salute dei consumatori”.

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Scudi mediatici ed istituzionali

Ma prima di essere coinvolta nelle dispute legali – dove ha preso vari duri colpi – Monsanto aveva tentato in differenti modi di distanziare i suoi prodotti da malattie gravi e fatali, senza però lasciare mai condurre a organi indipendenti un’analisi approfondita del RoundUp (fino al 2018, anzi, le valutazioni di rischio del diserbante erano state effettuate solo da scienziati interni all’azienda, seguendo un approccio ben noto come “Tobacco Science“).

Si ricordano la partecipazione di chimici e biologi della Monsanto a programmi televisivi statunitensi come “The Doctors“, in quello che molti hanno visto come un tentativo tanto disperato quanto controverso di proteggere la casa madre dalle lunghe e persistenti accuse circa le proprietà cancerogene dei suoi prodotti, con prove che pare circolassero tra la comunità scientifica indipendente da tempo immemorabile. Si annovera anche il significativo contributo di sensibilizzazione del giornalista scientifico Del Matthew Bigtree e del suo popolare spettacolo “The HighWire“, ancora in onda ogni giovedì.

Tuttavia, fino ad oggi, ci sono stati anche coloro che continuano a negare quella che per molti è una palese connessione causale. Ad esempio, l’Agenzia europea delle sostanze chimiche (ECHA) ha da poco dichiarato che il glifosato non è cancerogeno, confermando essenzialmente la posizione presa cinque anni prima in seguito ai risultati di uno sondaggio, da essi stessi condotto. Un’affermazione che sembrerebbe più dettata da un’approssimativa analisi di mercato anziché da evidenze scientifiche nel campo. Infatti, da anni, la chimica forense sembra che abbia indicato legami chiari tra gli erbicidi e lo sviluppo di alcune forme di tumore.

Rifiutare l’eziologia del cancro a questo punto significherebbe rifiutare anni di ricerche indipendenti e testimonianze dirette. Hélène Duguy, avvocato specializzato in sostanze chimiche di ClientEarth, ha osservato come Monsanto e il RoundUp – in generale – godano ancora di un “trattamento speciale” che consentirebbe loro, quando possibile, di insinuare il dubbio sul legame ormai altrove indiscutibile tra glifosato e linfomi. Il passo successivo, di conseguenza, sembrerebbe essere quello di assicurarsi che nessuno e niente riceva mai più un “occhio di riguardo” del genere, soprattutto ora che, dopo numerose vittorie nelle aule di tribunale e nei laboratori indipendenti, combattere l’ovvio è diventato davvero tempo perso.

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Fonti online:

Visione TV (testata giornalistica nazionale; articolo di Martina Giuntoli del 28 giugno 2022), sito della Bayer, Crop Science Italia, sito dell’AIRC, Wikipedia (enciclopedia libera con sito web), Wisner Baum, The Free Dictionary by Farlex, IMDb, Europa Today, ClientEarth.
Canali YouTube: Wisner Baum, The Doctors e Carey Gillam.

Antonio Quarta

Redazione Il Corriere Nazionale

Corriere di Puglia e Lucania

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