Una legge regionale, in via di approvazione, prevede che i giovani possano svolgere formazione nelle aziende del settore.
di Fabio Florindi
AGI – I giovani che vogliono avvicinarsi al mondo del pastoralismo, potranno svolgere dei tirocini formativi nelle aziende lombarde del settore e imparare a diventare pastori. Lo prevede una legge regionale, approvata all’unanimità in commissione, e che approderà in Consiglio il prossimo 12 luglio. Si tratta di un provvedimento che intende valorizzare il pastoralismo, i suoi aspetti culturali, promuovendo convegni, ricerche, e dando la possibilità di svolgere tirocini con specifici programmi di formazione. E’ prevista anche la creazione della giornata regionale del pastoralismo e della transumanza che si terrà a settembre in base al rientro dagli alpeggi.
Invece, “gli ovini erano 51 mila e i caprini 15 mila. Questi si sono sostanzialmente mantenuti grazie per lo più ai transumanti. Questi ultimi, che allevano 60-70 mila pecore, devono anche recarsi in estate in altre regioni per l’alpeggio (Trentino, Piemonte)”.
Gli addetti all’alpeggio “nel 2001 erano 1.800 (423 donne), con età media di 47 anni. Sono nettamente diminuiti in base al fatto che per la custodia di animali da carne serve molto meno personale”. La superficie pascolata, aggiunge Corti, “era nel 2001 di 86 mila ettari mentre gli alpeggi (che comprendono anche boschi, ghiaioni, nevai, cespuglieti) si estendevano su 226.000 ettari che rappresentano oltre il 20% della superficie territoriale della montagna lombarda. Le superfici pascolate, con la corsa ai contributi si sono, sulla carta, mantenute quando non aumentate ma la qualità del pascolamento e quindi della risorsa si è deteriorata”.
L’alpeggio, nel 2001, “coinvolgeva molte piccole aziende, oltre le 1.000 direttamente coinvolte nella conduzione. Erano in totale 3.500 le aziende zootecniche della montagna”, spiega il professore. “L’ulteriore crisi dell’alpeggio priverebbe la montagna lombarda di produzioni come il bitto, il formai de mut, le formaggelle d’alpeggio che consentono all’offerta locale di presentare al turista prodotti non standardizzati, legati alla tradizione dei luoghi e ben distinguibili da quelli industriali”.