Anche se la piattaforma è nota soprattutto per la mobilità delle persone, più della metà del fatturato arriva spostando cose.
di Paolo Fiore
AGI – Uber è arrivato in Italia nel 2013, incontrando non pochi ostacoli. Ha dovuto correggere la rotta, orientandosi verso servizi che potessero essere accolti nella normativa italiana. Se nei primi anni la società ha fatto da ariete, provando ad aprirsi il mercato a furia di testate, negli ultimi ha adottato una tattica più conciliante. L’anno di svolta è il 2017, quando la guida della società passa dal discusso fondatore, Travis Kalanick, all’attuale ceo Dara Khosrowshahi. Durante lo stesso periodo, anche i vertici italiani sono cambiati: da Benedetta Arese Lucini, che aveva guidato Uber nei momenti di massima tensione a Carlo Tursi (nel 2015) e poi a Lorenzo Pireddu (al comando dal 2019).
Strade e tribunali: la cronistoria
L’esordio è legato al servizio che, ancora oggi, è il più diffuso in Italia: arriva a Roma e a Milano UberBlack, un Ncc (servizio di noleggio con conducente) su berline, governato via app. Gli autisti sono obbligati a possedere una licenza, ma il servizio si muove sul confine della liceità. Secondo le norme italiane, infatti, gli Ncc – anche da liberi professionisti – devono avere una base di partenza, che per UberBlack non è necessaria.
In Italia arriva anche UberPop: è la bomba che fa deflagrare l’ostilità nei confronti della compagnia. Il servizio permette infatti a chiunque, con la propria auto e senza licenza, di offrire corse agli utenti dell’app. Dura poco: nel 2015 il Tribunale di Milano lo blocca per concorrenza sleale. Presto lo abbandona anche Uber, ormai convinta che il servizio più discusso, oltre a non essere applicabile, stesse nuocendo all’immagine della società.
Nel 2015 un’altra sentenza – sempre del tribunale di Milano – boccia UberBlack. Questa volta però la battaglia legale prosegue. Tra blocchi, sospensive e inviti dell’Antitrust ad accogliere nuove forme di mobilità, nel 2017 un tribunale di Roma restituisce piena liceità a UberBlack. La compagnia si è tuffata in altri due settori: il food delivery (con UberEats) e la micromobilità (con i monopattini e le bici targate Jump).
La mappa di Uber in Italia
Oggi UberBlack è attiva in sette città italiane. Dopo Milano e Roma (quelle nelle quali ha esordito), è arrivata a Bologna (nel 2020), a Torino e Firenze (nel 2021), a Catania e Palermo (nel 2022).
In quattro città (Milano, Roma, Torino e Napoli) è operativo UberTaxi, il servizio che connette autisti con licenza ma con auto di livello inferiore rispetto a UberBlack. Lo scorso maggio la società ha stretto un accordo con ItTaxi, un consorzio cui fanno capo oltre 12mila tassisti in novanta città. Potranno offrire corse sull’app di Uber, oltre che su quella di ItTaxi. In occasione dell’intesa, il ceo Khosrowshahi ha definito Uber “un partner per il settore dei taxi”. Un’inversione a U rispetto all’approccio di sette anni fa.
UberEats, il servizio di consegna di cibo a domicilio, è sempre più capillare. Tocca 17 regioni su 20, coprendo – oltre alle grandi città – anche località di provincia. Il percorso della micromobilità è stato più tortuoso. Uber ha venduto il proprio servizio di monopattini e bici in condivisione Jump, entrando però nel capitale dell’acquirente, Lime. In questo modo, ha tenuto un piede nel settore, integrando il servizio nella propria applicazione. In Italia Lime è presente in sette città: Milano, Napoli, Palermo, Rimini, Roma, Torino e Verona.
Uber non condivide informazioni sul giro d’affari nazionale. Secondo dati forniti dalla società all’Agi, le sessioni (cioè il numero di volte che gli utenti hanno aperto la app Uber in Italia per richiedere una corsa) sono state 4,3 milioni nei primi cinque mesi del 2022, in crescita del 158% rispetto alle 2,7 milioni del 2019.
Come guadagna Uber
Per capire qualcosa in più sugli equilibri finanziari della compagnia, si deve fare riferimento al bilancio globale. Nel primo trimestre 2022, Uber ha registrato 24,4 miliardi di dollari in “gross bookings” (cioè quanti soldi vengono transati dall’app), in crescita del 35% anno su anno. I viaggi sono stati 1,7 miliardi (+18%), circa 19 milioni al giorno. Il fatturato è stato di 6,9 miliardi (+136%), ma il risultato netto è in rosso, con una perdita di 5,9 miliardi. Due terzi del fatturato arrivano ancora dal Nord America, mentre l’area Emea (che include Europa, Medio Oriente e Asia) vale circa il 16% del giro d’affari.
Anche se Uber è nota soprattutto per la mobilità delle persone, più della metà del fatturato arriva spostando cose. Nel primo trimestre, i servizi di mobilità hanno incassato 2,5 miliardi di dollari, la stessa cifra per il delivery (UberEats), cui si aggiungono 1,8 miliardi di Freight (che collega aziende e corrieri). Le consegne a domicilio hanno però avuto un margine operativo lordo di appena 30 milioni, mentre i servizi per la mobilità ne hanno registrato uno di 618 milioni. In altre parole: al di là degli incassi, spostare persone rende molto di più che spostare cose.