Quando la vanità uccide

Attualità & Cronaca

Di

Di Daniela Piesco 

Non esiste vanità intelligente.

Louis-Ferdinand Céline

La parola vanità deriva dal latino vanus, cioè vuoto, ed è così che il vanitoso si sente in generale e addirittura inconsapevolmente.

Come reazione all’inconsistenza, si dedica in modo esasperato alla cura dell’immagine e si mette in mostra evidenziando (o esagerando) i propri lati positivi, in cui rientrano non solo le doti fisiche ma anche quelle intellettuali, i meriti professionali, sportivi, sociali e gli status symbol.

A lungo andare, il riconoscimento, l’ammirazione e le lodi ricercate e ottenute dal vanitoso per riempire il vuoto interiore lo portano a convincersi che “piace, quindi è”. Questo ragionamento, con il passare del tempo, diviene  disfunzionale perché non si può dipendere dal giudizio altrui per sapere chi siamo.

Il nome delle cose importanti

C’è qualcosa che accomuna gli scienziati ai politici, o meglio le loro reciproche ambizioni: è la sete di gloria. Non facile da
gestire, perché la gloria e la fama coronano solo pochi capaci d’imprimere un senso nuovo al loro presente, ognuno cerca di
cavarsela come può per accaparrarsi un pezzettino di notorietà.

La gloria viene riconosciuta o presunta sulla base della fama,della notorietà, che in un’epoca sempre più determinata da mezzi di comunicazione di massa come la televisione e i social network significa essere nominati o apparire pubblicamente.

Questo perché la notorietà viene implicitamente identificata con una delle forme dell’immortalità.

La vanità personale,che spinge a far parlare di sé e restare il più possibile al centro dell’attenzione, é una forza inarrestabile che impone la ferrea e spietata legge dell’egocentrismo.

Ferrea e spietata, perché l’apparire, che sovrasta ormai completamente l’essere, è sempre inevitabilmente di breve durata, e fa giustizia della vanità dei potenti.

Fra i politici, in particolare fra i parlamentari, questa vanità si rivela in quell’attività che rappresenta il compito specifico che
spetta al Parlamento, che è quello di legiferare.

Ogni legge promulgata, o quasi, è legata al nome di chi la propone. Questo spinge il parlamentare, soprattutto il neofita o quello che sa di restare per una o al massimo due legislature, a inventarsi una legge, una leggina purchessia, e a proporla e a insistere perché venga approvata: è l’unica occasione, lo sa bene, perché il suo nome venga legato indissolubilmente alla legge e resti per sempre (o quasi)nella memoria parlamentare del Paese.

Di qui, naturalmente, un fiorire di leggi incredibilmente varie e straordinariamente inutili,la cui origine e motivazione sta esclusivamente nel vanitoso ego-centrismo del suo autore.

Per questo talvolta i giornali riportano la notizia, altrimenti incomprensibile, di parlamentari che si accapigliano fra loro per
la paternità di questa o quella leggina, e le sfuriate del deputato X quando scopre che il suo gruppo o un gruppo alleato ha modificato il testo cui voleva legare il suo nome ma di cui ha così perso la paternità.

Più raramente, ma non meno appassionatamente, questo accade anche fra gli illustri rappresentanti della scienza occidentale: basta pensare alle dispute sulla paternità delle scoperte e delle invenzioni, come quella celebre fra Newton e Leibniz sull’invenzione del calcolo infinitesimale.

La vanità che uccide

La vanità ci consegna altri due personaggi: la matrigna di Biancaneve, che, pensando solo a se stessa rende, impossibile ogni amore e Narciso, che respinge l’amore della ninfa Eco; lei, struggendosi per il dolore del rifiuto, rimarrà solo la voce, privata di corporeità; per questo la Nemesi punisce Narciso, condannandolo ad innamorarsi della sua immagine riflessa in una pozza d’acqua; e quindi per questa passione irrealizzabile si lascia morire di dolore.

La psicanalisi ci spiega che essere affascinati da se stessi è fatale per le relazioni; spesso i narcisisti hanno dentro una frattura identitaria che impedisce loro di accettarsi per quello che sono, concentrandosi solo sull’immagine ideale di loro stessi.

La novella di Fedro

E come non citare la famosa novella :

Una civetta era solita cercare cibo nelle tenebre e dormire in un ramo cavo, ma una cicala faceva schiamazzi fastidiosi per lei. La civetta disse alla cicala: «Taci, per favore». Tuttavia la cicala cominciò a schiamazzare molto più forte. La civetta pregava di nuovo la cicala, ma essa schiamazzava ancora più forte.

La civetta, come vide nessuna risposta e le sue parole ignorate, aggredì la garrula cicala con l’inganno: «Le tue parole sono divine, sono cantate con il suono della cetra delle Muse e tu sei serva delle Muse. Ora le Muse hanno donato alle civette un’acqua divina e mormorante, vieni e berremo insieme l’acqua delle Muse, infatti ne sei degna».

Allora la vanagloriosa cicala, poiché era assetata e al contempo amava essere lodata, volò con entusiasmo. La civetta spuntò dal nido, afferrò la cicala e le diede la morte. Così da morta concesse alla civetta il dono che da viva aveva negato.

La favola insegna che il vanitoso spesso non conforma il modo di agire agli altri e così incorre nel castigo della sua arroganza.

Il teatrino delle vanità

Nel teatrino delle vanità che sono i mezzi di comunicazione di massa, l’essenziale è che appaia il proprio nome, una propria immagine, purché sia e si possa dire, mostrandola, “io sono questo”, “di me si parla qui”.

Chi non sogna di essere insignito del premio Nobel, o di un suo equivalente più o meno simbolico, più o meno noto? E’ il sogno
della celebrità, che si pensa realizzi la propria personalità e invece spesso la blocca e la uccide.

Si ritiene sempre più che il proprio io sia eccezionale e insostituibile, che la propria dimensione privata sia e debba restare intangibile e vada protetta, che l’individuo sia infrangibile e indiscutibile, centro d’irradiazione del proprio mondo.

Ma la sua esaltazione mediatica fa sì che si pensi che valga la pena di essere se stessi solo se si può emergere in qualche modo, se qualcuno lo nota o lo si può far notare a qualcuno o al contrario ci si deprime per il fatto di essere una nullità e nessuno si accorge di noi.

In realtà in questo modo si rivela soltanto la propria fragilità, quell’io “minimo” che
Ch. Lasch giustificava come ultimo baluardo di difesa contro un mondo sempre più massificato e sempre più simile a quello
descritto da Orwell in 1984.

E le cose poi non sono così lontane da quel quadro allucinante..

È di poche ore fa la notizia di un turista inglese di 22 anni, Jack Fenton, che è morto dopo essere stato decapitato dalle pale dell’elicottero su cui viaggiava con il fratello ed altri amici dopo aver trascorso qualche giorno a Mykonos: era uscito dal velivolo per scattarsi un selfy .

Ogni anno in Italia 50 persone muoiono nel tentativo di fare “selfie estremi” e l’89 per cento di queste vittime sono giovani tra i 10 e i 29 anni. Vite sprecate. Un film dell’orrore senza tregua, con continui aggiornamenti.

È come se lo smartphone fosse diventato la bandiera della nostra indifferenza, di una tecnologia che ha rotto qualsiasi linea di confine tra la curiosità e il più bieco cinismo.

C’è qualcosa, in questo atteggiamento suicida, che non sappiamo più governare e io di certo non so più raccontare pur dovendone scrivere.

Daniela Piesco Co Direttore Radici 

Redazione Corriere Nazionale

Redazione Stampa Parlamento

pH Micha Franke 

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