La ricetta di Letta è la paghetta?

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Cerchiamo di rimanere seri, come la situazione prescrive! Dunque, vestito della sua impeccabile grisaglia, parlando al microfono con il volto funereo, truce così come Igor Belansky lo raffigura, Enrico Letta cerca in questi giorni di fare il suo mestiere, il segretario del PD, in base ai piani segnati nella sua terrificante agenda.

Dalla paura della sconfitta, ormai metabolizzata da gran parte dei suoi esponenti, la sinistra sta traslando rapidamente all’incubo della «vittoria bulgara» degli avversari. Gìà quella Bulgaria degna alleata del Patto di Varsavia, quindi pericolo di cosacchi all’ombra del Cupolone e, forse essendo un ex DC, poco memore delle simpatie antiche del partito da cui proviene tanta tradizione del suo PD, Letta lancia un latrato alla luna: “Inquietanti legami Salvini-Russia, chiederemo conto al Copasir”.

Ma non basta per sfangarsela. Ci vuole la soluzione che catturi il consenso dei più giovani. L’idea geniale è che l’imposta di successione sui patrimoni plurimilionari possa garantire una dote ai diciottenni attanagliati dalla precarietà. Questo è il senso di generazioni che si aiutano. Ecco quindi che, con una trionfale doppia rima in “etta”, la ricetta di Letta è la paghetta o, più eufemisticamente, il bonus giovani con imposta di successione.

Ma al di là di questo grande obiettivo economico, una manciata di coriandoli a pioggia invece che vero lavoro per le fasce d’età più imbrigliate dalla disoccupazione, il nostro prode Letta sa che il nodo alleanze va sciolto rapidamente. Renzi e Calenda sono nel suo cuore e viceversa? Strana congrega di ex fratelli serpenti, presto lo sapremo.

Fanno finta di discutere ma si impongono veti incrociati, mentre la sabbia trafila inesorabilmente attraverso la clessidra. In teoria resta aperta la porta per un accordo con Renzi o Calenda, ma continua a restare chiusa nell’ipotesi di un’alleanza con il M5S. La decisione è stata categorica: non sono possibili rapporti politico-elettorali con forze politiche che hanno fatto cadere il governo quel galantuomo di Draghi.

Grande è l’ansia che guida le mosse del Pd nel percorso di avvicinamento alle elezioni del 25 settembre, sembra una catabasi in piena regola: insieme agli altri sparuti cespuglietti progressisti  il povero Letta, ancora in carne e ossa, viaggia in un mondo ferale, siccome gli umori a sinistra tendono al nero: hanno capito che stavolta il pericolo è serio.

Sul suo cammino incontra demoni, ossia sondaggisti che valutano attorno al 46% la forza dell’alleanza tra Fdi, Lega e Forza Italia. Che vogliono ostacolarlo ricordandogli che in grande misura una sconfitta sarebbe colpa di tutte le divisioni tra il Pd e i partiti con cui   sognava di allearsi. Le sigle che avrebbero dovuto comporre il «campo largo», la sua Santa Alleanza anti-destra.

Per questa ragione, ritenendo inaudito il suo passaggio tra gli spiriti dei segretari trombati, assistito dai numi che lo guidano e lo consigliano sulla strada da intraprendere, lima di qui e lima di là, ha fatto di tutto e di più affinché il leader di Azione terminasse il teatrino gettandosi nell’accozzaglia rossa. Letta è un angelo precipitato in una brutta storia o ha qualcosa di più segreto da svelare?

Vedremo poi cosa succederà con Renzi. Sarà una bella partita per il nostro Pisano contro il Fiorentino che gli fece le scarpe, quando era capo del governo nel 2013. Si sa che fiorentini ciechi e pisani traditori, ma in questo caso si direbbe valga il contrario, è un detto che deriva dall’astio che Firenze aveva, e ancora ha, con la città di Pisa. Auguri Toscana, auguri Italia.

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