Sono state ristabilite le relazioni diplomatiche tra Israele e Turchia

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L’annuncio del premier Lapid al termine di una telefonata con Erdogan. Termina così un decennio di forti tensioni e gelo tra Ankara e Tel Aviv. Atteso ora il ritorno dei rispettivi ambasciatori e la stretta di nuovi accordi economici.

di Cecilia Scaldaferri e Giuseppe Didonna

Il premier israeliano, Lapid, e il ministro degli Esteri turco, Cavusoglu

 

AGI – Dopo oltre un decennio di forti tensioni e gelo diplomatico, Israele e Turchia hanno ufficialmente annunciato la ripresa delle piene relazioni e il ritorno dei rispettivi ambasciatori in carica. L’annuncio, dato dal premier israeliano Yair Lapid dopo una telefonata con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, è il punto culminante di un percorso di riavvicinamento intrapreso negli ultimi tempi e segnato da reciproche importanti visite istituzionali.

Alla base della ripresa delle relazioni ci sono motivi essenzialmente economici, commerciali ed energetici, ma anche comuni interessi nell’ambito della sicurezza. Negli ultimi due anni, Ankara ha avviato un processo di normalizzazione con una serie di Paesi come Egitto, Emirati e Arabia Saudita. Tra questi, Israele è forse quello con cui la Turchia condivide il numero maggiore di ambiti di potenziale collaborazione, su cui spicca la questione energetica. Quest’ultima costituisce la prima voce di spesa in un momento in cui il Paese anatolico sta attraversando la peggior crisi economica degli ultimi 20 anni.

Anche Israele punta molto sullo sfruttamento dei giacimenti di gas, complice l’invasione russa dell’Ucraina che ha costretto Bruxelles a cercare alternative per diversificare le fonti di approvvigionamento energetico in modo da allentare la dipendenza dal gas di Mosca. Un’impellenza che ha dato nuovo impulso a progetti nella regione del Mediterraneo orientale, con gli ex nemici Turchia e Israele in prima linea.

Storia recente di una relazione difficile

“Ristabilire le relazioni con la Turchia – ha commentato Lapid – è una risorsa importante per la stabilità della regione e ha un grande significato economico per i cittadini israeliani”. Sulla stessa linea il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu che ha messo l’accento sul valore che la ripresa dei rapporti riveste per “la stabilità” e “l’economia” dell’area.

Il capo della diplomazia di Ankara non ha tuttavia mancato di menzionare la questione palestinese, assicurando che la Turchia “continuerà a difendere i (loro) diritti”. Proprio questo tema è stato negli ultimi quindici anni la fonte primaria delle fortissime tensioni che hanno portato ai ferri corti i due Paesi, una volta alleati sullo scacchiere regionale.

A partire dal 2008 le relazioni tra Israele e Turchia hanno conosciuto un deterioramento fino al reciproco ritiro degli ambasciatori nel 2010 dopo l’assalto dei militari israeliani alla Mavi Marmara, una nave di attivisti che cercava di forzare il blocco di Gaza, durante il quale morirono dieci turchi.

Otto anni più tardi il lento miglioramento dei rapporti venne nuovamente interrotto dalla decisione dell’allora presidente Usa Donald Trump di riconoscere Gerusalemme capitale d’Israele, scatenando un’ondata di proteste da parte dei palestinesi, duramente represse dallo Stato ebraico.

La fine nel 2021 del lungo regno di Benjamin Netanyahu in Israele (l’astio e i pubblici attacchi reciprochi con Erdogan non hanno mai facilitato i rapporti), insieme alla crisi economica e alle tensioni energetiche, ha spinto i due Paesi ex alleati, divenuti nemici, a cercare un nuovo inizio.

Ad aprire la nuova stagione nei rapporti bilaterali è stata lo scorso gennaio la telefonata Cavusoglu-Lapid, la prima tra i ministri degli Esteri dei due Paesi in tredici anni, seguita a marzo dalla storica visita del presidente israeliano Isaac Herzog ad Ankara: non accadeva dal 2008 che un alto esponente dello Stato ebraico mettesse piede sul suolo anatolico.

A maggio è stato il turno del capo della diplomazia turca di visitare Israele, insieme al ministro dell’Energia, Fatih Donmez, mentre a fine giugno si è recato nel Paese anatolico Lapid, destinato a diventare di lì a una settimana primo ministro d’Israele. Conferma della stretta collaborazione tra i due Paesi si è avuta alla fine di giugno quando l’intelligence israeliana ha lanciato l’allarme per la minaccia di una vendetta iraniana in Turchia contro obiettivi israeliani, esortando i connazionali a lasciare immediatamente Istanbul.

Nei giorni successivi le autorità israeliane hanno ringraziato pubblicamente i colleghi turchi per aver sventato attacchi e compiuto arresti. Ulteriore prova della volontà di girare pagina è arrivata dall’assenza di recente dei toni accesi usati da Erdogan nell’ultimo decennio: nonostante i picchi di tensione tra israeliani e palestinesi – dagli scontri avvenuti durante il Ramadan alla Spianata delle Moschee di Gerusalemme, all’uccisione della giornalista di al-Jazeera Shireen Abu Akleh a Jenin mentre seguiva un raid militare israeliano, fino all’operazione contro la Jihad islamica a Gaza – stavolta non sono risuonate le dure accuse di Ankara, troppo interessata a condurre in porto il riavvicinamento con lo Stato ebraico.

Come ha sottolineato lo stesso leader turco l’8 agosto, mentre cadevano le bombe israeliane su Gaza, “non ci sono scuse per chi uccide bambini“. Allo stesso tempo, “per noi mantenere rapporti con Israele è un modo per difendere i diritti dei palestinesi”. Un chiaro cambio di strategia da parte di Erdogan, deciso a non bruciare sull’altare della questione palestinese la ripresa delle relazioni con Israele.

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