Cassazione. E’ precario anche il posto fisso

Decorre solo dalla cessazione del rapporto di lavoro la prescrizione del diritto del lavoratore, ad esempio la rivendicazione delle differenze retributive

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Sono precari anche i posti fissi dopo Fornero e Jobs Act.

Decorre dunque solo dalla cessazione del rapporto la prescrizione del diritto del lavoratore, ad esempio la rivendicazione delle differenze retributive. Oggi anche il contratto a tempo indeterminato non risulta assistito da un regime di stabilità: con le modifiche apportate all’articolo 18 dello statuto dei lavoratori – prima dalla legge 92/2012 e poi dal decreto legislativo 23/2015 – mancano i presupposti per predeterminare in modo certo le fattispecie di risoluzione del rapporto. Soprattutto manca una tutela adeguata, perché nel frattempo la reintegra nel posto di lavoro è diventata residuale: non si può escludere, allora, che il lavoratore eviti di far valere un proprio credito nel corso del rapporto perché ha paura di essere licenziato. È quanto emerge dalla sentenza 26246/22, pubblicata il 6 settembre dalla sezione lavoro della Cassazione.

Tutela reale

Accolto il ricorso proposto dalle lavoratrici: sbaglia la Corte d’appello a rigettare la domanda di differenze retributive per lo straordinario notturno, eccedenti la prescrizione quinquennale. E ciò sul rilievo che dovrebbe essere escluso il metus, cioè il timore che induce il lavoratore a non avanzare pretese retributive nel corso del rapporto, paventando reazioni del datore che comportano la risoluzione del rapporto. Il tutto perché anche dopo la legge Fornero e il Jobs Act è rimasta una tutela ripristinatoria piena in caso di licenziamento intimato per «per ritorsione, e dunque discriminatorio» ovvero per motivo illecito determinante. Trova invece ingresso la censura secondo cui deve ritenersi stabile soltanto il rapporto che ha come forma ordinaria di tutela quella reale in tutte le ipotesi di licenziamento non sorretto da giusta causa o giustificato motivo oppure comunque illegittimo.

Carattere recessivo

Rispetto al passato il giudice deve procedere a una valutazione più articolata rispetto alla legittimità dei licenziamenti. Prima deve verificare se se sussistono o no la giusta causa e il giustificato motivo di recesso. E quando la sanzione espulsiva non risulta giustificata, il magistrato è tenuto a svolgere un’ulteriore disamina per verificare qual è la tutela applicabile, accertando se sussiste una delle due condizioni che fanno scattare la reintegra: vale a dire l’insussistenza del fatto contestato oppure se il fatto rientra fra le condotte punibili con una mera sanzione conservativa in base al contratto collettivo o al codice disciplinare applicabile.

Non c’è dubbio, insomma, che oggi la tutela indennitaria forte abbia una valenza di carattere generale mentre la reintegra assuma un carattere recessivo. E la prescrizione del diritto del lavoratore decorre in corso di rapporto unicamente quando la reintegra non solo è, ma anche appare, la sanzione contro ogni illegittima risoluzione del contratto.

FONTE: ItaliaOggi del 08/09/2022

Autore: Dario Ferrara

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