Il dietrofront sul tetto agli stipendi nella pubblica amministrazione

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Il governo interviene per ripristinare la norma originaria, quindi il limite di 240 mila euro valido per tutti i dirigenti e manager della Pubblica amministrazione, mentre l’emendamento approvato introduceva delle deroghe.

di Serenella Ronda

AGI – Dietrofront sulla deroga al tetto degli stipendi dei manager pubblici. Norma inserita nel decreto Aiuti bis durante l’esame del provvedimento al Senato ed ora destinata a scomparire. La modifica è stata al centro di un’aspra polemica: Pd, Iv e 5 stelle hanno infatti puntato il dito contro il governo ‘reo’, a loro dire, di aver contribuito all’eliminazione del tetto di 240mila euro attraverso la riformulazione di un emendamento targato Forza Italia.

Palazzo Chigi, al contrario, ha subito tenuto a precisare che la modifica è stata frutto di un’iniziativa parlamentare. Iniziativa, tra l’altro, che non ha incassato il favore dello stesso premier Mario Draghi. Non solo. Il capo dello Stato in persona avrebbe espresso le sue critiche sulla norma.

Il presidente Sergio Mattarella avrebbe espresso – in una conversazione con Mario Draghi – perplessità su una norma inopportuna, tanto più in un momento in cui gli italiani sono alle prese con gli aumenti dovuti alla crisi energetica.

E ora il governo interviene per ripristinare la norma originaria, quindi il tetto di 240mila euro valido per tutti i dirigenti e manager della Pubblica amministrazione, mentre l’emendamento approvato introduce una deroga al capo della Polizia – direttore generale della pubblica sicurezza, al comandante generale dell’Arma dei carabinieri, al comandante generale della Guardia di Finanza, al capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, al capo di stato maggiore della Difesa, ai capi di stato maggiore di Forza armata, al comandante del comando operativo di vertice interforze, al comandante generale del corpo delle capitanerie di porto, ai capi dipartimento della Presidenza del Consiglio dei ministri, ai capi dipartimento dei ministeri, al segretario generale della presidenza del Consiglio dei ministri e ai segretari generali dei Ministeri.

È lo stesso Palazzo Chigi ad annunciare la presentazione di un emendamento soppressivo dell’articolo contenuto nel decreto Aiuti bis. Ma la modifica al testo licenziato ieri dal Senato comporta un nuovo passaggio del provvedimento a palazzo Madama per la conversione definitiva in legge.

Il decreto è atteso domani in Aula della Camera per quello che inizialmente doveva essere l’ok finale. Ora, invece, se tutti i gruppi parlamentari dovessero approvare l’emendamento soppressivo del governo, sarebbe necessaria una terza ed ultima lettura, che si ipotizza possa avvenire gia’ all’inizio della prossima settimana.

Ma si profila anche un’altra strada, ipotizzata dallo stesso governo: un ordine del giorno, già preannunciato ieri dal Pd, da presentare al decreto Aiuti ter, che il Cdm si appresta a varare tra domani e dopodomani (comunque entro la settimana), dopo aver ottenuto il via libera anche di Montecitorio all’aggiustamento di bilancio, atto necessario per liberare le nuove risorse da destinare a famiglie e imprese contro il caro bollette.

Dunque, fa sapere palazzo Chigi, il governo chiederà di votare l’emendamento soppressivo salvo che le forze politiche all’unanimità non decidano di approvare l’ordine del giorno che dispone la soppressione dell’articolo nel decreto Aiuti ter.

La differenza tra le due soluzioni, tuttavia, non è irrilevante: approvando l’emendamento soppressivo nel decreto Aiuti bis, la nuova modifica avrebbe subito effetto, ripristinando la norma originaria.

La strada dell’ordine del giorno, invece, presuppone un intervento successivo in un altro provvedimento, in quanto l’odg e’ un ‘semplice’ impegno del governo, ma senza effetti normativi immediati.

Alla fine, governo e forze politiche hanno optato per la soluzione più rapida e che consente un effetto normativo immediato: la commissione Bilancio di Montecitorio ha infatti votato e approvato l’emendamento soppressivo della deroga al tetto degli stipendi dei manager pubblici, inserita nel testo durante l’esame al Senato, ripristinnando così la norma originaria. Il decreto Aiuti bis, dunque, dopo l’ok della Camera atteso domani, dovrà tornare al Senato per il via libera definitivo. Voto previsto a inizio della prossima settimana.

Fatto sta che all’indomani del via libera alla deroga al tetto degli stipendi dei manager pubblici, tutti i partiti si affrettano a garantire che si tornerà alla norma avviata sotto il governo Monti e poi ampliata durante il governo Renzi.

Prende le distanze Matteo Salvini, rivendicando che la Lega non ha votato l’emendamento in questione al Senato. Per il leader di Azione Carlo Calenda la soluzione va trovata nel prossimo decreto Aiuti ter. La modifica “è uno schiaffo ai più deboli, la cambieremo”, assicura il leader dem Enrico Letta.

La norma approvata ieri viene definita “vergognosa” da Giuseppe Conte. Intanto tutti, dal Pd a Iv fino a M5s e Lega, annunciano e presentano emendamenti soppressivi a Montecitorio. E scoppia, a latere, una nuova polemica: protagonisti il segretario del Pd e il leader M5s.

Su Twitter Letta esprime soddisfazione per l’emendamento soppressivo del governo. A stretto giro replica Conte: “Eppure l’avete votato, Enrico. Un bel tacer non fu mai scritto”, cinguetta l’ex premier riferendosi al sì del Pd al Senato alla deroga.

“Giuseppe, ci avete messo più di due anni a cambiare i decreti Salvini su nostra pressione. Noi poche ore per chiedere una correzione ad una norma sottovaluta e non voluta da noi”, è la controreplica dem con il titolare del Lavoro Andrea Orlando.

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