Debora Serracchiani riconosce la vittoria di Giorgia Meloni ma ribadisce che “con questa legge elettorale, la destra ha la maggioranza in Parlamento, ma non la maggioranza nel Paese”.
di Paolo Molinari
AGI – Il Partito Democratico è la seconda forza in Parlamento, primo partito di opposizione. Da qui riparte il Pd. L’analisi della sconfitta non mancherà, come da tradizione dem, ma questa presa di coscienza è già una scolta in un partito abituato a governare quasi ininterrottamente dal 2013.
In sala David Sassoli, al Nazareno, sale a spiegarlo Debora Serracchiani. La capogruppo democratica ha seguito i dati con Enrico Letta e il resto dello stato maggiore fino alla terza proiezione. Poi si è presentata davanti ai trecento giornalisti accreditati. “Dai dati che abbiamo visto finora non possiamo non attribuire la vittoria alla destra trascinata da Giorgia Meloni”, premette la capogruppo che, poi, sembra voler girare il coltello nella piaga dicendo che “con questa legge elettorale, la destra ha la maggioranza in Parlamento, ma non la maggioranza nel Paese“.
I 44 per cento che le proiezioni assegnano alla destra stanno lì a dimostrarlo e il centrosinistra, se avesse trovato la forza per presentarsi unito alla sfida, avrebbe potuto – forse – contenere o ribaltare il risultato. Discorso da senno del poi. Il presente racconta di un partito alla prova dell’opposizione e Serracchiani sottolinea che si tratta di “una responsabilità importante”.
Il Partito Democratico è, infatti, “la prima forza di opposizione in parlamento, siamo quindi anche la seconda forza politica, quindi riteniamo di dover fare opposizione, riteniamo di dover fare opposizione importante anche perchè abbiamo una grande responsabilità di fronte all’Europa e al Paese che sta affrontando dei passaggi delicati”, afferma ancora l’esponente del Pd.
“Una serata triste per il Paese”, come dice la dem, che per il Pd potrebbe rappresentare l’inizio di una riflessione profonda e dagli esiti al momento imprevedibili. Lo stato maggiore del partito, nella campagna appena conclusa, ha dato prova di grande “coralità”, come segnalato dal Nazareno. I big sono stati tutti in campo, chi più chi meno, e la foto di Piazza del Popolo, con il segretario Enrico Letta attorniato da ministri e presidenti di regione, Stefano Bonaccini incluso.
Il governatore dell’Emilia Romagna è tra i più accreditati a correre per la segreteria al prossimo congresso. Gli organi del partito, infatti, dovrebbero essere rinnovati a marzo. Andrea Orlando ha già fatto sapere che, in caso di sconfitta pesante, non ritiene utile mettere in discussione il segretario: meglio avviare una fase di riflessione e discussione profonda, sui temi.
Questo, però, prima che si concretizzasse la sconfitta. Il segretario si era dato l’obiettivo di fermare la destra su quella sorta di linea Maginot che è il 43 per cento. Un obiettivo mancato, così come quello di conservare la soglia di galleggiamento del partito: quel 20 per cento che avrebbe rappresentato comunque un risultato accettabile, sopra il minimo storico raggiunto da Renzi nel 2018.
Dall’inizio del suo mandato al Nazareno, si tratta della prima sconfitta di Letta dopo una serie di risultati positivi. Alle ultime amministrative, dove sembrava che la destra dovesse dilagare, il Pd – con le liste civiche – è riuscito a strappare anche comuni sulla carta ‘impossibili’, come Verona. A quel precedente di aggrappano le speranze dei dem: una rimonta che sembrava possibile. Fino a quando la terza proiezione ha messo la parola fine alla corsa.