Nasim Eshqi: “Ci metto la voce per la libertà”

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La più forte alpinista iraniana, nota anche all’estero all’AGI: “Gli iraniani non vogliono questo regime. Il tema principale delle proteste è l’hijab perché racchiude tutto, rappresenta il modo in cui tengono sotto controllo le persone”

di Cecilia Scaldaferri

L’alpinista iraniana Nasim Eshqi

 

AGI – “Io non ho mai parlato di politica, sono un’alpinista, mi occupo di altro. Ma questa volta si tratta di diritti umani, non posso stare zitta: le persone in Iran non li hanno e sono stanche perché il mondo non le ascolta, è silente e le ignora. Stavolta voglio essere la loro voce e aiutare”. Non usa mezzi termini Nasim Eshqi, è chiara e diretta. Le sue parole arrivano limpide mentre parla con l’AGI, anche nel mezzo del frastuono di un aeroporto.

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© Ozan KOSE / AFP

Protesta con un immagine di Mahsa Amini 

Quarant’anni, la più forte alpinista iraniana, nota anche all’estero, ha aperto decine di vie in alta montagna non solo nel suo Paese, ma anche in Oman, Emirati, Georgia, Armenia, India, Turchia e nella stessa Italia. Le sue foto, con i capelli al vento e lo smalto rosso sulle unghie mentre arrampica, hanno letteralmente ‘alzato il velo’ su cosa sia praticare questo sport nelle difficili condizioni cui sono sottoposte le donne nella Repubblica islamica. A contribuire a farla conoscere al grande pubblico è stato nel 2019 il film-documentario ‘Climbing Iran’, girato da Francesca Borghetti e ispirato proprio alla sua vita.

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Il profilo Instagram di Nasim è un susseguirsi di montagne, rocce, strapiombi e panorami mozzafiato. E’ la sua vita da quando a 23 anni ha incontrato l’arrampicata e ne ha fatto una scelta, abbandonando i guantoni da kickboxing, un altro sport non considerato ‘femminile’ in un Paese così repressivo con le donne. Nessuna presa di posizione politica, fino a oggi.

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L’alpinista iraniana Nasim Eshqi 

Ma stavolta ha deciso di metterci la faccia e la voce, per far sì che il mondo si accorga di quanto sta avvenendo in Iran, dove da quasi due settimane si moltiplicano le proteste dopo la morte di una giovane, Mahsa Amini, mentre era in custodia della polizia per la morale che l’aveva fermata perché non portava il velo – obbligatorio in Iran – in maniera ‘appropriata’. Centinaia di persone sono già state arrestate, i morti sono oltre 70 ma i giovani continuano a scendere in piazza, nelle più imponenti manifestazioni da quelle contro il carovita nel 2019.

 

 

“La gente – racconta – non ne può più del regime. Ci sono tanti problemi: l’inflazione, la fuga di cervelli… ma il tema principale (delle proteste odierne, ndr) è l’hijab perché racchiude tutto, rappresenta il modo in cui tengono sotto controllo le persone. Questa è la ragione per la quale adesso tutti, anche le donne che indossano il velo e vogliono farlo, anche loro sono fuori a protestare perché non vogliono che sia obbligatorio”.

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Se sei una donna e vuoi dire qualcosa, ti dicono di stare zitta, perché sei contro l’Islam e ti arrestano. Nessuno può parlare. E quando succede, bloccano Internet e sparano. Ma le proteste avvengono sempre più spesso, prima ogni due anni, poi ogni anno, ogni mese e ora ogni giorno. Ormai sono passati 13 giorni da quando hanno ammazzato quella ragazza, e non è stata la prima. La gente ne ha abbastanza delle proprie sorelle, madri, figlie uccise dalla polizia per la morale senza un motivo, per un normale diritto umano, scegliere cosa indossare”. E mentre il Paese vive una grave crisi economica e le difficoltà quotidiane si moltiplicano, “i figli dell’elite governativa vivono all’estero, negli Stati Uniti, nel Regno Unito. Le autorità tengono noi sotto pressione, prendono i nostri soldi, ma i loro figli vivono altrove, liberi di vivere come vogliono. Ed è per questo che la gente è arrabbiata”, sottolinea Nasim.

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L’alpinista iraniano Nasim Eshqi 

Una rabbia che si è estesa a tutto il Paese: decine e decine le città dove ogni notte i manifestanti scendono per strada. Le immagini delle donne che urlano slogan, mostrano le foto di Mahsa Amini, bruciano il velo e arrivano a tagliarsi i capelli in pubblico come gesto di protesta hanno fatto il giro del mondo, nonostante la repressione violenta delle forze di sicurezza, nonostante la censura e il blocco di Internet per imbavagliare i dimostranti, frenare le contestazioni, rendere difficile sapere cosa succede e dove, per non far trapelare notizie. Ma all’esterno la loro voce filtra comunque. “Gli iraniani che se ne sono dovuti andare per l’oppressione del regime, e sono molti, aiutano quelli in patria. Perché il regime islamico non governa il Paese ma tiene in ostaggio il popolo iraniano”.

Gli iraniani non vogliono questo regime

“Il problema principale è che non vogliamo un regime islamico, la gente in Iran non vuole questo regime, ma il governo ha i media in mano, le televisioni, e fanno vedere quello che vogliono”. “Non è una situazione che avviene adesso, sono 43 anni”, da quando Khomeini ha preso il potere con la rivoluzione islamica nel 1979, “ma il governo ha tenuto tutti tranquilli. Ora grazie a Internet possiamo far sentire la nostra voce. La gente si espone e non ha paura”.

Ed è quello che ha scelto di fare lei, essere la voce delle donne iraniane che protestano, ma dall’estero. “Solitamente passo la metà dell’anno in giro, arrampicando, facendo esperienze e usandole poi per insegnare agli alpinisti in Iran”. Tra questi, i bambini che porta in parete fin da piccoli. Ma lavorare nel suo Paese è difficile: “Non seguo le regole islamiche, non credo nel coprirmi con quei vestiti neri tutto il tempo, quindi non riesco a guadagnare abbastanza e vivo nell’ombra”. Succede a “molti artisti, musicisti, sportivi – ricorda – non possono lavorare, devono lasciare la loro patria o cambiare ed essere quello che non sono, solo per portare a casa dei soldi”.

Ora però, “con quello che sta succedendo, non voglio tornare in Iran per essere censurata, preferisco stare fuori e aiutarli dall’estero. Non tornerò, appena arrivata in aeroporto verrei arrestata, finirei in prigione e non potrei aiutarli. Voglio stare fuori e dare il mio contributo”. Un impegno in prima persona, cercando di dare risonanza al messaggio lanciato dalle piazze iraniane, scrivendo e parlando, appellandosi alla comunità di climber che la seguono sui social. Una ‘campagna’ che ha toccato anche uno dei suo sponsor, Rab, con il quale ha parlato a lungo, perché era refrattario ad avere a che fare con questioni politiche.

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“Ma ho spiegato loro che si tratta di diritti umani, la politica non c’entra“. E il sostegno è arrivato: “Gliene sono veramente molto grata, è diventato la mia voce, la voce della libertà, nella comunità degli arrampicatori”. “Ogni iraniano sta cercando di far capire la stessa cosa, che non è una questione politica, ognuno si impegna per svelare le bugie che il governo dice”.

L’orizzonte è incerto, Nasim ne è consapevole, la repressione è dura, le carceri si riempiono e il regime resta fermo: il presidente Ebrahim Raisi si è detto “rattristato” per il “tragico incidente” avvenuto ad Amini, ma ha avvertito che “il caos è inaccettabile”. Di prospettive future lei non vuole parlare, ma “la speranza è in un cambiamento”, che non avverrà “se il mondo non ci aiuta”. “Ma se anche non succede, almeno moriamo facendo sentire la nostra voce. Non vogliamo essere muti, almeno il mondo non potrà dire che non sapeva”.

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