‘Job creep’ per 9 prof su 10, al lavoro anche nei weekend

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La motivazione? “Voglio che il mio lavoro sia fatto bene”. Il 65,6% lavora tutti i giorni più ore del dovuto ma c’è anche chi fa “il minimo”
© Agf –

 

AGI – Il 90% degli insegnanti italiani svolge forme di lavoro ‘tossico’, perché dice sempre sì alle richieste del preside o dello staff, ma arrivando anche spesso di propria iniziativa a caricarsi di compiti extra svolti oltre l’orario di servizio e nei fine settimana.

 

Emerge da un sondaggio realizzato dalla rivista specializzata ‘La tecnica della scuola’, al quale hanno risposto 1.028 lettori (nel periodo che va dal 14 al 17 ottobre), il 92,7% dei quali docenti: tra questi, spiega una nota, il 65,6% ha dichiarato di lavorare quotidianamente più ore del dovuto e il 65,3% di svolgere attività a vario titolo per la scuola anche nei weekend.

La maggior parte degli insegnanti non attribuisce solo ai dirigenti i motivi degli impegni extra svolti nella propria vita privata: se è vero che un docente su tre ha ammesso di avere adottato una strategia per uscire da questo loop, ma di non essere riuscito nell’intento di difendere il proprio tempo libero, è anche vero che 8 docenti su 10 sostengono di non percepire particolari pressioni da parte del loro dirigente scolastico nell’essere sempre reperibili ad operare.

 

 

In sintesi, la maggior parte degli insegnanti svolge attività extra e orari maggiorati per mero dovere professionale. Tanto che appena un docente su dieci (l’11,3%) dichiara di sentirsi consapevolmente ‘vittima del Job creep’.

Il lavoro ‘tossico’

Di quali forme di lavoro tossico si lamentano i docenti?

Ecco le loro segnalazioni: in certe fasi lavoro anche molto più del dovuto; ai coordinatori di classe sono stati richiesti compiti non compresi nel ruolo da parte del collaboratore del dirigente o del responsabile di plesso; mi sento vittima di burnout e mobbing; vivo condizioni emotive pessime; subisco discriminazioni e vessazioni; non è necessaria la pressione del dirigente scolastico, non dormo per il carico di preoccupazioni giornaliere; a volte viene chiesto di fare il coordinatore pur non essendo previsto nel Ccnl e questo lavoro non è neanche adeguatamente retribuito col fondo di istituto; a volte sembriamo servi della gleba: stipendio basso, no mobilità, condizioni di lavoro difficili; è un lavoro massacrante di per sé, a contatto con i giovani e giovanissimi, di certo non più quelli di una volta, ma sempre più sconvolti da un mondo che li considera solo come consumatori, a partire dai loro genitori; non vengo costretta a lavorare di più, ma il carico di lavoro è tale che i tempi programmati non sono sufficienti.

Non voglio compiacere il ds o altre figure, ma voglio che il mio lavoro sia fatto bene. E ne pago lo scotto a livello psicofisico; quando ero funzione strumentale BES la mia vita era diventata un inferno. Ho lasciato l’incarico perché non reggevo più il ritmo di lavoro che di fatto toglieva moltissimo al mio tempo libero e alla qualità della mia vita. Sono felice di aver fatto questa scelta, superando i sensi di colpa iniziali grazie alla consapevolezza che lavorare serenamente significa garantire una migliore qualità anche ai miei studenti. Ho più volte sollecitato il mio dirigente a una più equa distribuzione dei carichi, ma mi sembra che vi sia una tendenza diffusa all’accentramento; le RSU dovrebbero tutelare i docenti.

C’è chi fa il minimo

Ma c’è anche chi, sempre tra gli insegnanti che hanno risposto al sondaggio della ‘Tecnica della scuola’, con estremo candore ammette: Faccio il minimo; svolgo soltanto le mie 18 ore in classe da 19 anni; sono sempre stato spinto alla disponibilità, ma ho sempre rifiutato; ho deciso di non fare altro e non ho ricevuto pressioni.

I docenti più positivi vivono le cose meglio, ecco le loro risposte: Quando condivido i traguardi non mi pongo troppi problemi di tempo, non è ansia da prestazione ma desiderio di contribuire a una scuola democratica. Correzione compiti/verifiche, preparazione delle stesse, preparazione delle lezioni non mi sono imposte dal dirigente, ma dalla mia professione docente.

L’incubo chat

Quanto alla possibilità di contrastare le spinte della dirigenza, c’è chi commenta: È praticamente impossibile. Essendo nelle varie chat di classe su whatsapp è facile che ti arrivi una richiesta da parte del coordinatore/collega di qualche classe per completare qualche incarico anche alle ore 21.30 e nei fine settimana. Avere un numero per il lavoro e uno privato sembra un’utopia, non sempre viene presa bene dato che si sfora abbondantemente l’orario di lavoro… Arrivano continue notizie, richieste, incarichi e/o normative ed è impossibile riuscire a leggere e/o svolgere tutto entro i giorni lavorativi.

I collaboratori scolastici

Come vanno le cose per il personale Ata? Le cose vanno un po’ meglio per i collaboratori scolastici, gli impiegati di segreteria e il personale tecnico della scuola. Se è vero che la metà di loro (il 51,6% dei rispondenti) lamenta più ore di lavoro del dovuto, bisogna anche rilevare il fatto che solo il 26,4% lavora anche nei weekend; sebbene il 30% percepisca una pressione da parte della dirigenza a rendersi reperibili. Infine il 18,7% non si sente vittima del ‘Joob creep’.

Qualcuno, infine, contesta il fatto che il carico di lavoro in segreteria venga aggravato dalla “presenza di personale amministrativo non adeguato (collaboratori scolastici) che non sa svolgere le mansioni più semplici in ufficio, figurarsi l’utilizzo di segreteria digitale”.

L’indagine, conclude il comunicato, è stata realizzata dalla testata giornalistica ‘La tecnica della scuola’ e il sondaggio, viene precisato, non ha carattere di scientificità: i risultati derivano da conteggi automatici.

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