Validazione dei buoni per compravendite mai avvenute, passaparola per accalappiare i titolari delle agevolazioni, errata applicazione delle aliquote Iva. I magistrati di Napoli e Catanzaro spiegano il funzionamento degli illeciti legati al 18 App, che potrebbe essere ritoccato in manovra
AGI – Validazione dei buoni per compravendite mai avvenute, ‘reclutamento’ dei titolari del bonus con catene di passaparola per indurli alla spendita illegale e a intascare una percentuale, errata applicazione delle aliquote Iva sui beni acquistati con i voucher: sono alcuni dei meccanismi truffaldini emersi da recenti inchieste della magistratura di Napoli e di Catanzaro sul bonus cultura 18 App. Frodi ai danni dello Stato di importo rilevante, come risulta dagli atti giudiziari in possesso dell’AGI: quasi 600.000 euro a Napoli, e 1,4 milioni di euro a Catanzaro.
Il provvedimento del Gip si basa su indagini della Guardia di finanza, che hanno messo in luce, come si legge nell’ordinanza, l’esistenza di “una organizzazione stabilmente destinata all’accettazione e successiva validazione dei buoni del valore di 500 euro ciascuno”, e alla successiva emissione di fattura “giustificandola con la compravendita, in realtà mai avvenuta, di beni funzionalmente destinati alla spendita del bonus”. Un sistema con cui gli indagati, secondo il Gip, “inducevano in errore la Consap”.
L’organizzazione napoletana ruotava attorno al negozio dei due coniugi, e alle figure che il Gip definisce “capo maglia”, ossia il soggetto che si incaricavano “di raccogliere presso i propri conoscenti i buoni”. Uno di questi “capi maglia”, che utilizzava per i contatti con i diciottenni titolari del bonus il cellulare della madre, secondo l’accusa ha guadagnato con le truffe oltre 300.000 euro.
I truffatori si lamentano delle tasse
Agli atti dell’inchiesta ci sono molte conversazioni su WhatsApp tra i truffatori, che negoziavano anche la spartizione: il 70% andava al “capo maglia”, il 30% agli altri. I pagamenti avvenivano con bonifico bancario. In una delle conversazioni su WhatsApp un “capo maglia” e il suo interlocutore si lamentano persino della complessità delle procedure per la validazione e liquidazione dei bonus cultura, e delle tasse “che sono tantissime”, e si lamentano: “questo è lo Stato italiano, benvenuto nello Stato italiano”. Commenti che il Gip stigmatizza come “desolante risentimento nei confronti dello Stato italiano che impone il pagamento delle tasse!”
Il giudice Francesca Rinaldi, del Tribunale Civile di Catanzaro, invece, in un porvvedimento del 19 novembre 2021, dispone il sequestro di somme per 1.440.019 euro, nell’ambito di una causa intentata dal ministero della Cultura contro il titolare di una società accusata di “un sistematico utilizzo del bonus per beni in alcun modo riconducibili nelle categorie previste” dal Dpcm sulla 18 App. In sostanza, venivano negoziati “beni descritti come libro o e-book ma registrati come cessione ad aliquota ordinaria del 22% mentre gli unici beni che la società avrebbe potuto legittimamente cedere con i voucher 18 App sono esclusivamente i beni sottoposti a regime agevolato del 4%”.
In altre parole, spiega il magistrato, la società “ha validato buoni di cui al cosiddetto bonus cultura a fronte della vendita di beni appartenenti a categorie diverse rispetto a quelle per le quali il bonus era invece utilizzabile, con conseguente illecita appropriazione del complessivo importo di 1.440.019,85 euro, pari alle somme versate dal ministero a fronte delle dichiarazioni non veritiere fornite” dalla società.