La ‘ndrangheta condizionava le elezioni alle porte di Milano

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Sono dieci le persone arrestate dalla polizia su ordine della Direzione distrettuale antimafia per traffico di droga, estorsioni e coercizione elettorale. Sono tutte legate alle famiglie Maiolo e Manno che controllano Pioltello

AGI – Il clan Manno-Maiolo di ‘Ndrangheta di Pioltello (Milano) avrebbe fatto “palese campagna elettorale” alle elezioni amministrative dell’ottobre 2021 in favore dell’allora del candidato sindaco Claudio Fina e dell’aspirante assessore all’urbanistica Menni Marcello, entrambi supportati da una coalizione di centrodestra.

È quanto emerge dagli atti dell’inchiesta della Polizia di Stato, coordinata dal pm della Dda Paolo Storari, in cui si contesta anche l’ipotesi di reato di coercizione elettorale. In particolare, il presunto boss Cosimo Maiolo – secondo la prima sezione della Squadra mobile – avrebbe organizzato “un banchetto elettorale” nella peschiera gestita dal figlio per i due politici. E inoltre avrebbe invitato la “comunità straniera”, nello specifico “albanesi e pakistani” a votare per Fina e Menni, manifestando “pubblicamente il sostegno della ‘ndrangheta” per i due candidati.

Secondo i risultati dell’indagine la “locale di Pioltello”, già riconosciuta come struttura di ‘ndrangheta nell’ambito dell’operazione “Infinito” condotta dalla Dda di Milano nel 2010, era pienamente operativa attraverso il suo referente, insignito all’epoca della carica di “capo società” e che, dopo aver scontato una condanna ad anni 11 e mesi 4 di reclusione per associazione mafiosa e traffico di sostanze stupefacenti, era tornato a imporre l’egemonia della sua famiglia sul territorio, benché sottoposto alla misura della sorveglianza speciale, con una serie di intimidazioni, consistenti sia in violenze sia fisiche che verbali. Il quadro emerso nel corso delle numerose intercettazioni, dei servizi e degli appostamenti effettuati dagli agenti della prima Sezione Criminalita’ Organizzata della Squadra Mobile, è quello di una struttura mafiosa pervasiva, legata fortemente ai segni e ai simboli tipici dell’ndrangheta.

Gli affari della ‘locale’ passavano per l’emissione o ricezione di fatture per operazioni inesistenti o con sovrafatturazioni nonché finte assunzioni di dipendenti nei settori della logistica e dei servizi funerari. Inoltre, sono state documentati anche casi di imprenditori che, istaurando rapporti ai limiti della connivenza, si sono avvalsi dei servizi offerti da alcuni degli indagati per lucrare sul fronte del costo del lavoro e della manodopera: significativo in propostio il caso di una nota azienda di logistica che, per il tramite di alcune società cooperative riferibili agli indagati, di fatto agiva come se i soci della stessa fossero dipendenti della ditta.
Le attività illecite non si sono fermate nemmeno di fronte a alla pandemia da Covid-19: nel corso di una conversazione, infatti, veniva descritto come uno dei figli del reggente della ‘locale’, affiliato con la dote di “sgarrista”, intuendo la possibilità di lucrare sul fenomeno del trasporto delle salme delle vittime del virus, parlando con altro indagato, mentre alla televisione scorrevano le immagini della colonna di salme trasportate dall’Esercito, spiegava come poter, attraverso una società intestata a un prestanome e l’emissione di false fatture, ottenere dei guadagni illeciti nel settore del trasporto feretri.

È emersa anche un’ipotesi di di coercizione elettorale, con il tentativo degli ‘ndranghetisti di influenza il voto per le elezioni comunali locali a favore di uno dei candidati. Con gli appartenenti alla ‘locale’ di ‘ndrangheta è stato arrestato un soggetto, appartenente alla famiglia mafiosa di Pietraperzia (Enna) collegata ai Rinzivillo, a cui sono state contestate le ipotesi di usura ed intestazione fittizia aggravate dalla mafiosità.

L’uomo, particolarmente attivo nel campo dei prestiti a strozzo che venivano reinvestiti in beni immobili e mobili, tra cui autovetture di lusso sottoposte a sequestro preventivo, secondo le indagini, avrebbe intrecciato degli accordi di spartizione del territorio con la famiglia di ‘ndrangheta di Pioltello.

In due circostanze, la Polizia di Stato ha documentato come uno degli indagati, rivolgendosi a suo nipote, da un lato gli spiegava l’importanza dei legami di sangue che assicurano un’affiliazione “automatica” e, dell’altro, illustrava l’importanza di riconoscere i “segni” dell’ndrangheta in maniera tale da essere in grado di riconoscersi tra appartenenti.

Contestata anche un’ipotesi di tentato omicidio che ha coinvolto un membro della famiglia investigata e alcuni cittadini albanesi per una questione di droga degenerata, prima dell’intervento delle forze dell’ordine, in una rissa. Episodio, questo, che ha creato, peraltro, un forte dissidio nella famiglia in quanto il comportamento dell’autore del tentato omicidio è stato ritenuto impulsivo: le diverse conversazioni tra diversi membri della ‘locale’, a un certo punto, infatti, hanno fatto emergere da parte del reggente della famiglia, l’idea di sopprimere il fratello autore del tentato omicidio. Non se ne fece nulla, secondo gli inquirenti per la propensione dell’ndrangheta a mantenere un basso profilo.

 

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