Meta accusata di fomentare l’odio etnico in Etiopia

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A puntare il dito contro la società madre di Facebook sono una ong keniota e due cittadini etiopi. Richiesto un risarcimento danni da 2 miliardi di dollari

di Alessio Nisi

© TAYFUN COSKUN / ANADOLU AGENCY / ANADOLU AGENCY VIA AFP – Menlo Park, quartier generale di Meta

 

AGI – Una ong keniota e due cittadini etiopi hanno intentato causa contro Meta, la società madre di Facebook. Chiedono la creazione di un fondo di risarcimento di 2 miliardi di dollari per le vittime della violenza incitata sul social e di modificare l’algoritmo della piattaforma, che secondo loro rende virale la diffusione dell’odio, fino all’omicidio.

“I post violenti, odiosi e pericolosi soddisfano tutti i criteri dei post che (questo algoritmo) cerca di privilegiare: accendono la conversazione, provocano reazioni e condivisioni e motivano un botta e risposta nella sezione dei commenti” si legge nella denuncia. L’atto, presentato a Nairobi, riguarda in particolare due casi relativi alla guerra in Tigray, che dal novembre 2020 oppone le autorità dissidenti di questa regione settentrionale dell’Etiopia alle forze governative. Il conflitto ha riacceso gli odi etnici in un paese composto da 80 comunità etno-linguistiche.

Abrham Meareg, uno dei due querelanti, è un accademico etiope, il cui padre, professore di chimica all’Università di Bahir Dar, è stato ucciso a colpi di pistola nel novembre 2021, poche settimane dopo le pubblicazioni diffamatorie e gli inviti ad ucciderlo, più volte segnalati a Facebook. Ma che il social network ha tardato a rimuovere. “Un anno dopo, solo la settimana scorsa, uno dei post era ancora su Facebook”, ha dichiarato Mercy Mutemi, l’avvocato di Meareg. “Se Facebook avesse semplicemente fermato la diffusione dell’odio e moderato adeguatamente i post, mio padre sarebbe ancora vivo” ha aggiunto Abrham, fuggito negli Stati Uniti quest’anno. “Sto portando Facebook in tribunale in modo che nessuno soffra mai più come ha fatto la mia famiglia. Chiedo giustizia per milioni di miei concittadini africani feriti dagli affari di Facebook e scuse per l’omicidio di mio padre”.

L’altro è Fisseha Tekle, membro etiope di Amnesty International, che vive in Kenya dal 2015. È autore di diversi rapporti per l’ong sulle violazioni dei diritti umani durante il conflitto ed è stato vittima di molestie online a causa della sua origine tigrina.

Meta ha dichiarato che i discorsi di odio e l’incitamento alla violenza sono contrari alle regole di Facebook e che sta investendo in team e tecnologia per aiutare a trovare e rimuovere questi contenuti, sottolineando in particolare l’impiego di personale con conoscenze e competenze locali, anche nelle lingue più parlate in Etiopia.

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