“Più risorse ai ricercatori”, l’appello del direttore scientifico della Fondazione Airc

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Federico Caligaris Cappio intervistato dall’AGI alla vigilia della Giornata mondiale contro il cancro: dopo la pandemia “sul fronte della prevenzione e degli screening purtroppo siamo rimasti molto indietro”

di Valentina Arcovio

© SEBASTIAN KAHNERT / DPA-ZENTRALBILD / DPA PICTURE-ALLIANCE VIA AFP – Ricerca scientifica sui tumori

 

AGI – “La ricerca sul cancro si è evoluta in Italia e nel mondo. Rispetto a dieci anni fa è diventata più internazionale e multidisciplinare, e certamente più vicina alla clinica e ai pazienti. Ma nel nostro paese i ricercatori hanno bisogno di maggiore fiducia e investimenti, ancora troppo bassi rispetto al resto d’Europa e degli Usa”. Lo ha detto all’AGI Federico Caligaris Cappio, direttore scientifico di Fondazione Airc, alla vigilia della Giornata mondiale contro il cancro.

Come si è evoluta la ricerca in questi anni?

Dopo tanti anni di ricerca abbiamo capito che il cancro è talmente complesso che per affrontarlo in modo razionale abbiamo bisogno di ricorrere a diversi approcci e background professionali. Insomma abbiamo capito che il cancro va affrontato da prospettive diverse. Pensiamo al contributo che ci sta offrendo la matematica, l’intelligenza artificiale, l’analisi dei Big Data, giusto per fare qualche esempio.

Quali sono i punti di vista da cui oggi vediamo il cancro?

Molti. C’è ad esempio la prospettiva offerta dalle indagini molecolari, grazie alle quali possiamo comprendere perché due persone molto simili fra loro e con lo stesso tumore rispondono in maniera diversa allo stesso trattamento. Pensiamo all’immunoterapia che sembra funzionare molto bene su alcuni e poco su altri. Oggi quindi stiamo continuando a guardare e studiare il cancro ma stiamo anche guardando i pazienti, alle loro differenze a livello molecolare. Questo è un po’ il concetto della medicina personalizzata.

Sotto la lente del microscopio non mettiamo quindi solo le cellule del tumore?

Non più solo le cellule tumorali. Stiamo ad esempio cercando di capire in che modo le cellule del cancro tendono a “schiavizzare” le cellule sane che lo circondano spingendole ad agire al vantaggio della malattia. Capire questo significa che possiamo interferire con questo meccanismo e quindi, si spera, indebolire il tumore. Su questo fronte i ricercatori AIRC hanno fatto tanti progressi.

Tuttavia, il tempo che una scoperta impiega per arrivare ad avere un impatto in clinica non è ancora troppo lungo?

Direi che è il tempo necessario per garantire ai pazienti di accedere a trattamenti sicuri ed efficaci. Anzi, rispetto a dieci anni fa i tempi che una molecola impiega per passare dal laboratorio fino ad arrivare al letto dei pazienti si sono praticamente dimezzati: se prima ci volevano 20 anni, oggi possono volerci anche solo 8 o 10 anni. Questo grazie alla possibilità di effettuare grandi trial clinici internazionali, che ci consentono di coinvolgere un numero sempre maggiore di pazienti. Le agenzie di sicurezza, inoltre, hanno fatto un grande sforzo per sburocratizzare alcune procedure che comunque rimangono necessarie per tutelare i pazienti e per evitare che trattamenti non adeguatamente studiati e testati possano arrecare danno ai pazienti, anziché aiutarli.

La pandemia ha rallentato la ricerca?

Sì, ha avuto un impatto anche sulla ricerca. Ma devo dire che abbiamo recuperato bene. Sul fronte della prevenzione e degli screening purtroppo siamo rimasti molto indietro. Abbiamo avuto un periodo piuttosto lungo di buco e ora stiamo facendo fatica a “smaltire” le code, anche perché come tutti sappiamo la nostra sanità ha delle difficoltà. Stiamo cercando di recuperare, ma siamo ben consapevoli che lo possiamo fare solo parzialmente. Il latte è stato versato: pensare di poter fare il contrario significa sperare di poter rimettere tutto il latte nella bottiglia e questo è impossibile.

L’emergenza Covid-19 però ci ha insegnato qualcosa, anche sul fronte della lotta al cancro?

Sì. Ha ad esempio insegnato alla popolazione che la scienza e ricerca sono importanti. Un messaggio che sembra banale, ma che non è sempre passato come avrebbe dovuto. Ai ricercatori e ai medici, invece, la pandemia ha ulteriormente sottolineato l’importanza delle collaborazioni internazionali. Nessuno può funzionare da solo e quindi interagire è fondamentale. Il mantra di AIRC è del resto collaborare e interagire.

Cos’altro serve per accelerare la scoperta di nuove cure?

Maggior fiducia e maggiori investimenti sui ricercatori. Qualcosa che nel nostro paese non è così scontato come in altri. E servono anche collaborazioni con le aziende: solo mettendo in contatto i ricercatori con le grandi company è possibile riuscire a trasformare una scoperta di grande livello in un trattamento vantaggioso per i pazienti. Per quanto possiamo AIRC continua a lavorare sia per sostenere economicamente i ricercatori e sia per favorire le grandi collaborazioni internazionali, anche tra pubblico e privato.

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