Le ricerche dei superstiti al terremoto del 6 febbraio proseguono, ma le speranze ormai sono ridotte. Il responsabile dell’agenzia di Soccorso Internazionale dell’Ordine di Malta, Oliver Hochedez racconta all’AGI le difficoltà e i bisogni della popolazione colpita
di Amelia Cartia
AGI – “La possibilità di trovare ancora superstiti tra le macerie rimane verosimile di norma tra le 70 e le 200 ore dopo il sisma, perché poi intervengono le conseguenze della disidratazione. La situazione è però in questo caso ulteriormente aggravata dalle temperature sotto lo zero”.
La finestra temporale in cui è ragionevole continuare a sperare di salvare delle vite in Turchia e Siria si sta rapidamente assottigliando, e sono queste le ultime ore prima di sperare nel miracolo. A spiegarlo ad AGI è il tedesco Oliver Hochedez, responsabile degli aiuti di emergenza del Malteser International, l’agenzia di Soccorso Internazionale dell’Ordine di Malta. “A volte assistiamo a dei miracoli: ne abbiamo visti anche in Turchia, con il ritrovamento di persone vive sotto le macerie, tra cui una signora incinta, e dei bambini. Queste sono storie meravigliose che ci incoraggiano, perché tutti così vedono che continuare ripaga”.
“Mi trovo a Kilis – racconta Hochedez ad AGI – una piccola città turca molto vicina alla Siria. Il Malteser International lavora qui da circa dieci anni, con i rifugiati. Io sono arrivato… che giorno è oggi? Mercoledì scorso, di notte”. Perde il conto dei giorni chi i giorni li spende nell’affrontare una delle più grandi emergenze di questo secolo.
“Rimarrò – continua Hochedez – fino a giovedì: il mio lavoro è coordinare la prima fase delle emergenze, poi verranno altri. In questa fase è indispensabile che intervenga personale altamente qualificato nella gestione delle emergenze: noi abbiamo già operato ad Haiti, in Iraq, in Etiopia”. Una squadra di quattro persone è stata la prima ad arrivare per Malteser International. A questa si aggiungono gli staff e i partners locali: in Siria circa duecento persone.
“Da decenni – continua il team leader di Malteser International – la Turchia non viveva un terremoto tanto devastante: ne è stata colpita una regione enorme, a centinaia di miglia dall’epicentro. È stata colpita un’area così vasta che è impossibile essere contemporaneamente presenti ovunque con personale specializzato. Abbiamo bisogno di molte “helping hands”, mani che aiutano. E poi di coperte, tende, materassi: perché è davvero molto freddo qui, di notte”.
Qual il volto più duro dell’emergenza?
“Le persone sono traumatizzate. Sono veramente sconvolte dalle due fortissime scosse, e sono troppo spaventate per cercare di rientrare nelle loro case, nel caso in cui non siano troppo danneggiate per poterci rientrare. A ciò si aggiunge il freddo della notte, e il danneggiamento sensibile delle infrastrutture. Direi che la più grande emergenza che il Malteser International sta fronteggiando oggi è in Siria, insieme a tutti i nostri partner, il supporto medico. Negli ospedali, nelle unità di primo soccorso e nelle cliniche l’emergenza è medicare i pazienti e avere cura dei feriti. È importante far pervenire i beni di prima necessità e cibo pronto”.
Come state intervenendo?
“Il lavoro di salvataggio si avvia alla fine. Abbiamo bisogno di mettere in atto le strategie per aiutare le persone che sono sopravvissute, e si trovano senza una casa a cui fare ritorno. Questa è la vera sfida adesso”.
Hanno anche bisogno di supporto psicologico?
“Certamente, ma questo verrà in una fase successiva. In questo momento dobbiamo assicurarci che sopravvivano e che abbiano ciò che serve loro urgentemente. Le persone sono molto traumatizzate, vedo che sono sotto shock. Appena si fermano e chiudono gli occhi, tutte le immagini della tragedia tornano indietro come fotografie davanti ai loro occhi. Le immagini delle persone che hanno perso: membri della famiglia, amici. Voglio dire: quasi due minuti di terremoto sono un tempo lunghissimo e orribile. È sempre uno shock, ma di norma dura dieci secondi. Due minuti di terremoto così forte sono qualcosa di incredibile. Avrete visto le immagini in televisione: le scosse hanno aperto un canyon, una voragine. Ci sono dei campi, degli oliveti che si sono aperti in due parti: sembra un canyon, è incredibile”.
Cosa si può fare per aiutare?
“L’unica attività utile è mandare dei contributi economici perché solo chi è sul posto può regolarsi per distribuire i fondi verso le diverse necessità. Se le persone raccolgono scarpe, vestiti o cibo, occorrerà poi mandarle dai diversi paesi europei alla Turchia, e servirebbero persone, tempo e soldi per farlo. È più facile donare: dieci euro, cinque euro, o centinaia di euro, a un’organizzazione che sappia indirizzare le donazioni verso le diverse necessità. Oggi c’è bisogno di tende, e di pane, ma domani potremmo avere bisogno di altre cose, magari per ricostruire”.
La Comunità Internazionale si è impegnata perché venissero temporaneamente rimosse le sanzioni ai danni della Siria. Arriveranno più facilmente gli aiuti?
“Ogni volta che una frontiera viene aperta è una buona notizia. C’era già il problema dei rifugiati, oltre a un problema molto grande con le infrastrutture, e le persone sono già molto provate da una guerra che dura da più di dodici anni. Tutto ciò che facilita le comunicazioni a est è benvenuto”.
Malteser International ha stanziato 400.000 euro come primo intervento emergenziale, oltre a più di 10 tonnellate di beni di soccorso parti immediatamente dalla Germania. Altre squadre e altri beni sono in partenza. L’organizzazione attualmente sostiene sei ospedali, un ospedale per la maternità e per bambini e otto unità di assistenza sanitaria primaria nelle regioni di Idlib e Aleppo Nord, nella Siria nord-occidentale.
“Fortunatamente – conclude Holchedez – gli ospedali che stiamo sostenendo nel nord-ovest della Siria sono solo leggermente danneggiati e operativi. Ma c’è una carenza di forniture mediche, kit di primo soccorso, kit per traumi e medicinali. I medici stanno lavorando al limite delle loro capacità da lunedì scorso. Già prima del terremoto, l’assistenza sanitaria per la popolazione di questa regione era critica”