Dopo il decreto che cancella cessione dei crediti e sconto in fattura per gli interventi di efficientamento, la Cgia tira le somme di un provvedimento che ha rilanciato l’edilizia ma è costato quasi 72 miliardi di euro e ha innescato l’aumento dei prezzi delle materie prime
di Giorgia Ariosto
AGI – Cala il sipario sulle cessioni dei crediti, sugli sconti in fattura e il bilancio sul Superbonus è in chiaro-scuro. A fronte di 372.303 asseverazioni depositate entro il 31 gennaio scorso, lo Stato, con il cosiddetto 110 per cento, dovrà farsi carico di una spesa di 71,7 miliardi di euro. Lo rileva l’Ufficio studi della Cgia che ha ipotizzato che, fino a ora, questa misura abbia interessato solo il 3,1 per cento del totale degli immobili a uso abitativo, ricordando che in Italia sono presenti quasi 12,2 milioni di edifici residenziali.
In altre parole, avendo dato la possibilità ai proprietari di riqualificare queste unità abitative con la detrazione fiscale del 110 per cento, lo Stato si è addossato un costo pari a 71,7 miliardi di euro per migliorare l’efficienza energetica di una quota ridottissima di edifici presenti nel Paese.
Secondo la Cgia, il Superbonus “non va bocciato perché ha sicuramente contribuito a incentivare la ripresa economica di un settore, come quello dell’edilizia, che nel nostro Paese ha un peso specifico importante”. Tuttavia, osserva l’associazione, “questa misura ha provocato un costo in capo alla fiscalità generale spaventoso e non proporzionale al numero di edifici che sono stati ‘efficientati’. Ora, dopo la cancellazione degli sconti in fattura e delle cessioni del credito, il proprietario di un immobile residenziale potrà beneficiare della detrazione del 90 per cento (e non più del 110), compensando lo sconto solo in sede di dichiarazione dei redditi. È evidente – prosegue – che l’appetibilità dello strumento è destinata a scemare. Tuttavia, la cosa più preoccupante è che con il decreto del governo approvato l’altro ieri non è stata trovata una soluzione per le tante aziende e famiglie che sono in possesso di una massa di crediti fiscali importanti e non più esigibili. Una situazione che nel giro di qualche mese rischia di far fallire molte aziende del settore delle costruzioni”.
Per gli artigiani, “la convinzione di aver speso troppo e di aver ‘drogato’ anche il mercato edilizio è comunque molto elevata”. La Cgia ricorda che “questo meccanismo, che consentiva di detrarre fiscalmente molto più di quanto un proprietario era chiamato a spendere per ristrutturare un edificio, ha innescato una bolla inflattiva preoccupante, alimentata anche dal forte aumento dei prezzi registrato nel 2022 da tutte le materie prime.
A fronte di un boom della domanda che, tra l’altro, per legge doveva essere soddisfatta entro un determinato periodo di tempo, il Superbonus 110 per cento ha contribuito a far schizzare all’insù i prezzi di moltissimi materiali (ferro, acciaio, legno, sabbia, laterizi, bitume, cemento, etc.) e altri per molto tempo sono pressoché scomparsi dal mercato (lana di roccia, polistirene, ponteggi, etc.)”.
A livello regionale, secondo la Cgia, “è il Veneto ad aver registrato il ricorso più numeroso al Superbonus 110 per cento in relazione agli edifici residenziali esistenti. Con 46.447 asseverazioni, l’incidenza percentuale di queste ultime sul numero degli edifici residenziali esistenti è pari al 4,4 per cento, in Toscana scende al 4 per cento e in Lombardia al 3,9. Le regioni meno coinvolte, invece, sono la Calabria, Valle d’Aosta e Liguria (tutte con un’incidenza del 2 per cento), insieme alla Sicilia che chiude la graduatoria con l’1,7 per cento”.
A livello nazionale, infine, “l‘importo medio delle detrazioni a fine lavori previsto è pari a 192.756 euro per edificio residenziale. I picchi massimi li scorgiamo in Campania (247.337 euro), Basilicata (254.090 euro) e Valle d’Aosta (267.698 euro). Chiudono la graduatoria, invece, Friuli Venezia Giulia (152.056 euro), Toscana (151.206) e Veneto (150.906 euro)”.