Nigeria al voto in un clima di violenza e di crisi

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Il paese deve fare i conti con tutti i problemi irrisolti, a partire da un calo del pil senza precedenti che solo quest’anno potrebbe riprendere grazie alla crescente domanda petrolifera globale. Il 63% della popolazione soffre la povertà, soprattutto i giovani

© VICTORIA UWEMEDIMO / AFP – Port Harcourt, Nigeria

 

AGI –  La Nigeria, domani, andrà alle urne per eleggere il nuovo capo dello Stato. Sono molti gli analisti che lo definiscono il giorno della verità. La sfida è importante e tutti si augurano che la violenza non prevalga sul voto di domani, anche se i timori sono forti. Il paese, negli ultimi anni, ha perso molto del suo slancio che lo ha fatto diventare una delle maggiori economie del continente. Ora deve fare i conti con tutti i problemi irrisolti, e in molti casi, a cui non si è voluto mettere mano da parte dei governanti che si sono succeduti in questi ultimi anni.

La prima economia del continente deve fare i conti con un calo del Prodotto interno lordo senza precedenti, gli analisti prevedono che solo quest’anno si potrà assistere ad una ripresa, con un Pil al 3%, grazie alla crescente domanda petrolifera globale. La guerra in Ucraina e la progressiva diversificazione degli approvvigionamenti dal gas e dal petrolio russo potrebbero far crescere la domanda di questi prodotti che arrivano dal continente.

Ma, occorre segnalarlo, tutto ciò non risolve i problemi di un paese dove 133 milioni di persone, pari al 63% della popolazione, soffre la povertà e 91 milioni di questi vive in condizioni di povertà estrema – secondo l’ufficio di Statistica Nazionale – la maggior parte dei quali sono giovani.

La crescita vorticosa tra il 2000 e il 2014

La Nigeria è cresciuta tra il 2000 e il 2014 a un tasso medio annuo del 7,7%, ma negli anni seguenti, proprio per il calo del prezzo del petrolio, ha subito un rallentamento che ha rasentato la recessione. Il nodo critico principale è la mancata diversificazione dell’economia fondata, per la gran parte del Pil, proprio sulle esportazioni dei prodotti petroliferi.

E, nonostante la Nigeria sia il principale produttore di greggio dell’Africa Subsahariana, importa l’80% del suo fabbisogno di carburante. Sono stati pochi, e spesso insignificanti, gli investimenti nel sociale e nelle infrastrutture e per fare quelle necessarie occorrerebbe investire circa 3mila miliardi di dollari da qui al 2050. Una cifra enorme.

La pandemia e ora la guerra in Ucraina hanno ulteriormente aggravato la situazione. La scarsità dei prodotti di prima necessità e la crescita dei prezzi ha portato, alla fine del 2022, a una inflazione superiore al 21%. Insostenibile per la stragrande maggioranza della popolazione. La disoccupazione è arrivata al 33,3% nel 2022, dieci punti in più rispetto al 2018. A tutto ciò si aggiunge una corruzione profondamente radicata, si può dire endemica. Ma non solo. Non passa settimana, non passa giorno, senza che vi siano attacchi, azioni da parte di gruppi criminali, jihadisti o separatisti che siano e che tentano di piegare e gettare nel caos il gigante dell’Africa occidentale, uno dei paesi più dinamici del continente.

 

L’ex generale golpista Muhammadu Buhari, eletto democraticamente nel 2015 e nel 2019 per porre fine all’insicurezza, non si ripresenta alle presidenziali dopo due mandati segnati da un aumento della violenza, in particolare nella sua regione natale, il nord-ovest. Nel nord del paese la situazione è terribile: se il presidente Buhari e il suo esercito sono riusciti a riconquistare alcuni territori in mano ai jihadisti di Boko Haram e dello Stato islamico (Iswap), questo conflitto – dura da 13 anni e ha provocato più’ di 40mila morti e 2 milioni di sfollati – è tutt’altro che finito.

La situazione si è ulteriormente aggravata e negli ultimi anni si è aperto un nuovo fronte: nel nord-ovest e nel centro bande criminali, che usano ad arte un conflitto mai sopito tra pastori e contadini, operano impunemente nelle zone rurali, attaccando villaggi ma, anche cittadini che transitano sulle strade di queste regioni. Il quadro economico è desolante, la situazione securitaria è allarmante.

E i candidati alle presidenziali nigeriane dovranno misurarsi con questi problemi. Le elezioni di domani, dunque, si preannunciano molto serrate tra i tre candidati principali: Bola Tinubu del partito al governo (Apc), Atiku Abubakar del principale partito di opposizione (Pdp) e Peter Obi, l’outsider visto come il candidato dei giovani (Lp).

I candidati promettono di far cessare la violenza

I tre promettono di farla finita con la violenza e il terrorismo, lo stesso mantra del presidente uscente Buhari, obiettivo, però, che non è riuscito a raggiungere. Ma la minaccia di violenze diffuse pesa anche sullo svolgimento dello scrutinio, durante il quale sono chiamati alle urne circa 94 milioni di elettori, per eleggere il presidente, i deputati e i senatori. Gli analisti, inoltre, pongono molta attenzione sul dopo voto, “i gruppi criminali fanno crescere il rischio di proteste post elettorali che potrebbero anche intensificarsi”, secondo il think tank International Crisis Group (Icg).

Secondo il gruppo di osservazione elettorale Yiaga Africa, lo svolgimento delle elezioni è compromesso in sei stati e 14 distretti locali, a causa dell’insicurezza o della presenza di gruppi armati. Per il think tank Icg, “le prospettive post-elettorali sono fosche”. In Nigeria i risultati sono quasi sempre stati contestati, e il rischio di violenze, in questa occasione, è ancora più grande perchè il paese potrebbe essere chiamato, per la prima volta nella sua storia, a un secondo turno per il ballottaggio se nessuno dei candidati dovesse essere eletto al primo turno, allungando, cosi’, il periodo elettorale e con esso il rischio di violenze e disordini.

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