Le 5 priorità del nuovo mandato di Erdogan

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Economia, rifugiati, terremoto, Siria e Nato. Questi sono i temi al centro del programma del governo di Ankara

Il presidente turco, Erdogan

AGI – Non avrà molto tempo per festeggiare la riconferma al potere il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, uscito vincitore dal ballottaggio con il 52% dei voti sullo sfidante Kemal Kilicdaroglu. Prima il terremoto, poi la campagna elettorale hanno distolto un Erdogan apparso in realtà provato da quella che già da prima della guerra in Ucraina era stata un’agenda intensissima.

Ai capitoli lasciati in sospeso si aggiungono gli impegni presi con l’elettorato, sia con i fedelissimi che con gli indecisi convinti all’ultim’ora. Il primo capitolo riguarda quello che è stato il principale tema di questa campagna elettorale, vale a dire l’economia. L’inflazione, pur essendo in discesa secondo i dati ufficiali, rimane al 44% con riflessi sul costo della vita di cui la popolazione risente quotidianamente.

A questo si aggiunge la valutazione record toccata all’indomani del ballottaggio da dollaro (20,04) ed euro (21,54) rispetto alla già svalutata lira turca. Erdogan, che aveva alzato il salario minimo in campagna elettorale, ha promesso di rivedere al rialzo i minimi salariali a luglio e deve trovare i soldi per la manovra. Operazione non facile, sopratutto dopo che la scorsa settimana la Banca Centrale turca ha dichiarato di avere un buco di 151.3 miliardi di dollari.

È il risultato di una politica economica caratterizzata dalla testardaggine nel voler perseguire il taglio dei tassi di interesse, che ha causato una falla riempita in maniera momentanea dai capitali provenienti dagli alleati del Golfo e dalla Russia. Risultato però anche delle spese enormi che il Paese ha dovuto sostenere in seguito al terremoto che ha devastato il sud del Paese lo scorso 6 febbraio.

La ricostruzione dopo il sisma

Qui si apre il secondo capitolo su cui Erdogan dovrà lavorare in ambito interno, alla luce delle promesse fatte e dell’enorme fiducia accordatagli dalle popolazioni colpite dal sisma. Il presidente ha anche trascorso gran parte dei giorni precedenti il ballottaggio nelle aree colpite per ringraziare della fiducia e continuare a promettere. Erdogan nei giorni seguenti il sisma aveva promesso la ricostruzione entro un anno, giocando una carta che ha pesato come una spada di Damocle sulla testa dello sfidante.

In campagna elettorale ha poi ridimensionato le promesse: saranno 330 mila le case ricostruite in un anno, 660 mila in totale per completare la ricostruzione. Un evento della portata distruttiva di un terremoto 7.8 presenta diverse fasi di emergenza. Il governo si è dimostrato carente nelle 48 ore post sisma, minuti preziosi costati la vita a tanti e la rabbia dei sopravvissuti.

Allo stesso tempo però la risposta sul fronte dell’emergenza umanitaria, cibo, sanità tende, container, è stata più efficace e la conferma è arrivata alle urne. Sta a Erdogan mostrare di essersi meritato la fiducia di queste persone e mantenere gli (enormi) impegni presi, sia a livello di assistenza che di ricostruzione.

La questione siriana

Un argomento in cui politica internazionale e politica interna si dividono in un doppio impegno per Erdogan è quello dei 3.7 rifugiati siriani. Finiti al centro della campagna elettorale già nel 2019, i siriani sono stati uno dei temi principali dell’attacco a Erdogan da parte dell’opposizione sin dalle prime battute, complice la crisi economica che ha acuito l’insofferenza dei turchi nei loro confronti. Un tema che ha poi toccato il picco nei giorni precedenti il ballottaggio, quando lo sfidante Kemal Kilicdaroglu ha stretto un alleanza con gli ultranazionalisti, promettendo di mandare a casa i siriani in un anno.

Erdogan è stato accusato di non essere stato capace di difendere i confini e aver lasciato passare 10 milioni di siriani svendendo loro la cittadinanza per guadagnare voti (140 mila siriani votano in Turchia ndr). Il presidente turco ha definito “inumane e non islamiche” le parole dell’opposizione ed ha promesso che un milione di siriani farà ritorno “volontariamente e dignitosamente” nei territori di origine, in case che la Turchia sta costruendo con soldi del Qatar nelle aree del nord della Siria che Ankara controlla più o meno direttamente e che il regime di Damasco rivuole.

E dai rapporti con Damasco passa il capitolo lasciato in sospeso della riconciliazione con la Siria di Bashar el Assad, l’unico a non complimentarsi con Erdogan per la vittoria. Unico tra i tanti capi di stato di Paesi con cui la Turchia ha ricucito i rapporti negli ultimi due anni: Israele, Emirati Arabi, Arabia Saudita, Egitto e Armenia. Con la mediazione della Russia i ministri degli Esteri di Ankara e Damasco si sono incontrati a Mosca, il dialogo va avanti ma al momento la prospettva di un incontro tra Erdogan e Assad rimane lontana.

A Erdogan riallacciare i rapporti con Assad serve per ottenere garanzie per il rientro dei siriani e per il contrasto alle milizie curde Ypg. Assad ha necessita’ di far riaprire il confine al commercio, ma chiede il ritiro delle truppe turche dal Paese e di riprendere il controllo nelle aree di confine finite sotto il controllo di Ankara. La soluzione appare lontana, ma con la mediazione di Mosca puo’ andare in porto.

L’ingresso della Svezia nella Nato

È tuttavia il capitolo relativo all’ingresso nella Nato della Svezia il primo che Erdogan dovrà affrontare. Dopo il rogo del Corano permesso dalle autorità svedesi a gennaio scorso il governo turco aveva rinviato al dopo elezioni qualsiasi decisione sul via libera all’allargamento. Si attende di vedere quante estradizioni Stoccolma effettivamente approverà, ma sopratutto gli effetti della nuova legge antiterrorismo che entrerà in vigore in Svezia da giugno.

Dalla decisione della Turchia dipendono anche gli sviluppi dei rapporti con gli Stati Uniti, dove il Congresso ha congelato la consegna di aerei da guerra F16 ad Ankara. Una situazione che si potrebbe sbloccare con il semaforo verde nei confronti della Svezia, mentre su Erdogan da mesi pesano le pressioni di Usa e Nato. La clessidra è puntata sul summit Nato di Vilnius dell’11 luglio, neanche un mese e mezzo dopo una rielezione che Erdogan non può permettersi di festeggiare.

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