T’amo, o pio bove

Arte, Cultura & Società

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L’essere umano è onnivoro, si sa che la carne, sia rossa che bianca,  fa parte della nostra dieta e già l’uomo primitivo cacciava per avere un’ alimentazione adeguata. In fondo gli animali sono stati addomesticati per fornire  il latte, la carne e le pelli di cui coprirsi. L’uomo ha sempre vissuto a stretto contatto con gli animali domestici e fino a una cinquantina di anni fa era praticata le transumanza per fornire adeguate quantità di cibo alle mandrie durante tutte le stagioni, così si conducevano gli animali in pianura, durante la stagione fredda, ed in montagna, durante l’estate, dove trovavano prati verdi e teneri. Il rapporto tra l’uomo e gli animali era positivo ed essi venivano custoditi e  protetti perché erano il sostentamento della famiglia e della comunità. Gli stessi buoi erano fondamentali per poter  arare i campi, infatti venivano aggiogati all’aratro e condividevano la fatica del contadino, quando questi preparava il terreno per potervi seminare il grano, che avrebbe dato il suo raccolto nell’anno successivo; i ritmi lenti del lavoro e della vita creavano quasi un legame familiare tra l’uomo e l’animale, tant’è che spesso il bue o l’asino avevano un nome con cui lo si chiamava e l’uccisione dell’animale, per poterlo mangiare, non era contemplata spesso; veniva ucciso se subiva la rottura di qualche zampa o altri incidenti invalidanti e la sua carne in parte veniva venduta ed in parte conservata sotto sale per il sostentamento della famiglia.  Anche i macellai erano pochi perché la carne era un cibo costoso che pochi potevano permettersi; fino a dopo la Seconda guerra mondiale si macellava solo in precisi periodi e soprattutto nelle festività religiose come il Natale e la Pasqua. Ma tutto è cambiato con il bum economico, lentamente la carne si è diffusa, la sua richiesta è aumentata e dal momento che era diventato lo status simbol del benessere sono nati anche gli allevamenti intensivi che hanno deprivato l’animale della sua natura senziente, mercificandolo alla stregua di un oggetto. Lentamente sono scomparse le vecchie fattorie ed è venuto meno quel rispetto che l’antico pastore o contadino aveva per la vita dell’animale; ritornano alla memoria i versi famosi di Carducci con cui il poeta, testimone di un mondo di valori autentici, dichiarava il suo amore per il “pio bove” che gli infondeva nel cuore un sentimento di forza e nel contempo di pace.

Gli allevamenti intensivi sono dei veri e propri lager  per gli animali, che vivono in condizioni atroci, ammassati gli uni sugli altri, in mezzo alla sporcizia e ai topi, stipati in grandi capannoni; altro che pascolare liberi per i campi all’aria aperta sotto il sole o la pioggia!  Alla loro grande sofferenza fisica si aggiunge spesso il maltrattamento e la violenza degli operatori, che costretti dalle aziende a lavorare in simili condizioni dove il puzzo è intollerabile, scaricano le loro tensioni sui poveri animali, i quali diventano due volte vittime. Il benessere degli animali sembra non interessare a nessuno, eppure le leggi a tutela degli animali ci sono, il problema è che i controlli sono pochissimi e quando ci sono chiudono un occhio sulle gravi inadempienze aziendali dal momento che si è innescato un circuito vizioso di pensiero:”tanto devono morire”.  Le aziende pensano solo ad  ottimizzare il massimo profitto con la minima spesa, se invece rispettassero le leggi per tutelare il benessere animale, assumerebbero più personale, darebbero lavoro ed una qualità di trattamenti migliore e quindi anche le carni sarebbero migliori.  Le denunce di Animal Equality  Italia e di altri enti animalisti, sono tantissime. Una delle sofferenze più atroci è inflitta ai piccoli vitellini, che da subito vengono separati dalle madri perché il latte della mamma non è per loro, ma per il mercato. I piccoli vengono nutriti con sostanze con poco ferro per mantenere le loro carni bianche e poi destinati al macello; pur essendo animali molto sociali, durante la loro breve vita non vedranno mai la mamma, saranno chiusi sempre in delle gabbie da soli, l’unico contatto sarà con gli operatori che gli infliggeranno gravi sofferenze come le distruzione delle piccole corna per impedire che l’animale, cresciuto, possa difendersi. Un’altra tragedia  è il trasporto degli animali vivi per giorni interi senza acqua e cibo, ammassati gli uni sugli altri; molti muoiono durante il trasporto,  né  esistono elenchi sul numero di animali trasportati. La crudeltà verso gli animali domestici  è un abominio, bisogna eliminare gli allevamenti intensivi e far rinascere le fattorie di un tempo, come esistevano fino agli anni cinquanta, tutto deve ritornare a misura d’uomo ed il business non deve prescindere dal rispetto delle leggi che devono essere fatte rispettare dallo Stato con adeguati controlli e sanzioni che sono una tutela per tutti, perché se l’animale  è allevato in modo adeguato, sta bene e se vive sereno anche i consumatori avranno cibo di qualità.

 

Il bove

 

T’amo, o pio bove; e mite un sentimento

di vigore e di pace al cor m’infondi,             

o che solenne come un monumento            

tu guardi i campi liberi e fecondi, 

o che al giogo inchinandoti contento

l’agil opra de l’uom grave secondi:               

ei t’esorta e ti punge, e tu co’l lento           

giro de’ pazienti occhi rispondi.  

Da la larga narice umida e nera             

fuma il tuo spirto, e come un inno lieto      

il mugghio nel sereno aer si perde;  

e del grave occhio glauco entro l’austera

dolcezza si rispecchia ampio e quieto        

il divino del pian silenzio verde.

 

Giosuè Carducci, 23 novembre 1872

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