Il 27 giugno 2023 ricorre l’ennesimo anniversario della strage di Ustica, ancora senza verità

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Il 27 giugno 1980 si inabissò nel mar Tirreno il DC9 Itavia, volo di linea IH870, e con esso 81 cittadini italiani tra equipaggio e passeggeri.

Alle ore 20:59 del 27 giugno 1980 nel tratto del Mar Tirreno compreso tra le isole di Ponza e di Ustica, il DC9 della compagnia aerea Itavia, impegnato nel volo di linea IH870 partito da Bologna e diretto all’aeroporto di Palermo, scomparve dai radar e precipitò in acqua, portando con sé 81 povere vittime.

Ancora la Strage di Ustica aspetta l’accertamento di una piena verità riguardo la causa e le responsabilità umane, non ostante le lunghe indagini, le complesse e costose perizie, e non ostante alcune sentenze civili di condanna dello Stato italiano al risarcimento dei danni subìti dalle vittime, e dalla compagnia aerea Itavia.

La ricostruzione oggi più accreditata è quella secondo cui il DC9 si sarebbe trovato nel bel mezzo di una battaglia aerea internazionale, e sarebbe stato colpito per errore da un missile. La stessa Corte di cassazione, con la sentenza n. 1871 depositata il 28.1.2013, nel confermare la condanna in sede civile dello Stato italiano al risarcimento in favore dei familiari delle vittime della strage di Ustica, ha individuato la causa della Strage nella collisione del DC9 con un missile (non si sa però spedito da chi, e perché) e non in una esplosione interna; e lo Stato è stato riconosciuto colpevole per omissione, ossia per non aver garantito con sufficienti controlli dei radar civili e militari la sicurezza dei cieli.

Nel febbraio del 2007 l’ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga dichiarò che ad abbattere il DC9 sarebbe stato un missile lanciato da un aereo francese decollato dalla portaerei Clemenceau; lo stesso Cossiga, nel 2010, esternò alla stampa il suo convincimento secondo cui il missile francese avrebbe avuto come obiettivo un aereo che trasportava l’allora leader libico Gheddafi.

Nel 2017 un marinaio U.S.A., imbarcato sulla portaerei Saratoga con ruolo di aiuto-nocchiere, così rivelò sulla notte del 27 giugno 1980, intervistato da Andrea Purgatori per La7: «la sera lanciammo i caccia, completamente armati. E al loro ritorno sulla nave notammo che non avevano più l’armamento: un fatto che non si poteva nascondere a 5000 uomini. Il capitano Flatley, attraverso gli altoparlanti, ci informò poi che durante le nostre operazioni di volo, due Mig libici ci erano venuti incontro in assetto aggressivo e avevamo dovuto abbatterli. Questo ci disse all’epoca e questo ho creduto per tanti anni».

E non poteva mancare il riferimento al Fronte popolare per la liberazione della Palestina, che secondo quanto rivelato ad AdKronos nel 2020 dall’ex senatore Carlo Giovanardi, dopo l’arresto del loro referente a Bologna, Abu Saleh, avrebbe deliberato che il patto con l’Italia – che prevedeva di non compiere attentati sul nostro territorio in cambio della libera circolazione delle loro armi – doveva ritenersi saltato, così avviando un’escalation di minacce contro il nostro Paese e ponendo fra gli obiettivi anche un aereo e vittime civili. Lo stesso Giovanardi, d’altra parte, da anni aveva avvalorato la tesi dello scoppio di una bomba collocata all’interno dell’aereo DC9, e in questi giorni ha ribadito ai media il suo convincimento.

Ma l’ipotesi bomba, come ben motivato dal Capitano dell’Aeronautica Mario Ciancarella nel suo libro “Impossibile pentirsi”, alla pg. 127, “non reggeva e non reggerà mai per alcune semplicissime osservazioni. Il volo Itavia IH870 è in forte ritardo sull’orario previsto. Il velivolo è ulteriormente fermato a Bologna, su ordine della torre di controllo, accumulando ulteriore ritardo. I passeggeri, dopo essere saliti, non scendono più durante quel periodo di ritardo alla partenza. Nessuno sale a bordo oltre i passeggeri imbarcati a Bologna. Nessun estraneo si avvicina all’aeroplano, per poi lasciarlo. Per credere all’inserimento della bomba nella toilette, a Bologna, bisognerebbe pensare ad un passeggero kamikaze, o così folle da non cercare di scendere neppure quando il prolungato ritardo al decollo lo avesse reso cosciente che l’attentato si sarebbe consumato con l’aereo ancora in volo determinando la sua stessa morte. Chi avesse piazzato la bomba infatti – anche durante la sosta a Bologna – avrebbe progettato la deflagrazione quando l’aereo fosse già stato ricoverato sul piazzale di Palermo dove avrebbe sostato la notte, non potendo assolutamente prevedere l’entità del ritardo. Dunque il grande problema per la soluzione “bomba” nasce già per il suo collocamento e per la sua vera finalità, nonché per il suo esecutore”.

Per capire cosa possa essere avvenuto quella note del 27 giugno 1980 é particolarmente preziosa la testimonianza oculare del Comandante della Marina militare Sergio Bonifacio, che al comando del Breguet Atlantic sorvolò per primo il tratto di mare dal quale nelle prime ore del giorno successivo all’incidente sarebbero riemersi i resti dell’aereo e i corpi delle vittime.

Scrive Bonifacio nel suo libro “Ustica la verità a galla” che quella mattina del 28 giugno 1980 egli, dopo il decollo dall’aeroporto militare di Elmas in Sardegna, giunse sulla zona presumibile dell’incidente alle ore 3:55, ma che soltanto alle ore 7:18 l’elicottero della pattuglia chiamò per comunicare di avere sorvolato una chiazza oleosa appena uscita dal mare alle ore 7:02, su un punto che venne tracciato, e segnalato anche con un fumogeno. Quella macchia d’olio era solo il primo segnale del DC9 che si era inabissato.

Durante la serie di virate effettuate per circoscrivere e controllare l’area nella quale era compreso il punto da cui era emersa la macchia di cherosene, alle 8:00 circa Bonifacio vide in trasparenza, vicino al punto marcato col fumogeno, “una riga nera discontinua in una zona di mare più chiara”. Bonifacio ebbe l’impressione che si trattasse di un’ala, e disse al copilota “guarda l’ala”.

Dopo circa 40 minuti, alle ore 8:30-8:45, dalla stessa zona indicata dal fumogeno, ove erano già apparse la macchia oleosa e quella non identificata “riga nera”, cominciarono ad affiorare cuscini dei sedili e valigie del DC9.

Emersero via via altri oggetti, sino a quando alle 9:45 circa vennero a galla i primi corpi delle vittime, circa una quarantina in tutto. Ogni zona di emersione venne segnalata con un fumogeno.

Bonifacio, un esperto nel suo settore, tanto da avere ricevuto nel corso della sua carriera numerosissime benemerenze, e da avere ricevuto nel 2009 l’onorificenza di Cavaliere della Repubblica Italiana, ha osservato che il tutto, sia la chiazza d’olio, sia la “riga nera”, che i resti dell’aereo e, mano a mano, i corpi delle vittime, erano emersi o erano stati visti tutti in uno stesso punto del mare, aggiungendo che non potevano avere in precedenza raggiunto un’elevata profondità.

Il relitto dell’aereo, come ben spiegato nel libro con dettaglio tecnico, doveva essere rimasto dopo la caduta a qualche decina di metri al di sotto della superficie del mare; e i corpi, emersi la mattina del 28 giugno alle 9:45, non avrebbero potuto risalire, dato che il fondale in quel punto misurava ben 3.800 metri, se non fossero rimasti trattenuti dentro l’aereo vicino alla superficie.

Bonifacio ritiene che il DC9 fosse ammarato, dopo essere precipitato, perché questa secondo il Comandante è l’unica ricostruzione che spiegherebbe quanto da lui osservato quella tragica mattina.

Dunque, secondo la testimonianza di Bonifacio, il materiale emerse progressivamente tutto da un solo punto della superficie del mare (“e non trovato sparso in un’area estesa tale da dimostrare un evento in quota”) e sulla base delle proprie conoscenze specialistiche non poteva che trovarsi a poche decine di metri al di sotto della superficie: “in un mare sgombro da detriti, l’affioramento sta ad indicare un ammaraggio ed una implosione di una parte del velivolo ancora a tenuta”.

Bonifacio aggiunge che detta parte doveva identificarsi come l’abitacolo passeggeri, per la presenza dei cadaveri; però probabilmente era una parte più ampia, comprensiva anche dei motori perché altrimenti non si potrebbe spiegare la fuoriuscita anche di cherosene.

Anche tutti i 39 corpi ritrovati emersero dallo stesso punto del mare, quello indicato da Bonifacio.

Si possono fare infatti diverse valutazioni, ma non bisogna mai dimenticare ciò che un testimone esperto attestò nell’immediatezza del suo sopralluogo, quella mattina del 28 giugno 1980: l’emersione del cherosene, del materiale e dei corpi da un unico punto, e la traccia in trasparenza, sotto l’acqua, di quella che poteva essere una parte dell’aereo.

Il Comandante Bonifacio ritiene che il DC9, dunque, non si fosse disintegrato in volo, ma che una volta che un evento imprevisto (la causa della strage) ne aveva comportato la depressurizzazione, per effetto di una manovra di emergenza azionata dai piloti avesse perso quota e fosse quindi ammarato, galleggiando per un po’ di tempo. A riprova di ciò ricorda che il corpo di un Carabiniere fu rinvenuto privo di un piede, verosimilmente perso all’esito della caduta del velivolo in acqua, e con la manica della camicia strappata e legata alla gamba a mò di laccio emostatico; mentre il corpo di una mamma fu rinvenuto abbracciato a quello del figlioletto, tutte circostanze che farebbero ritenere che almeno alcuni dei passeggeri fossero riusciti in un primo momento a sopravvivere, prima dell’inabissamento.

Ammaraggio che sarebbe stato reso possibile da una serie di manovre di emergenza azionate dai piloti, a partire dalla cabrata eseguita intenzionalmente allo spegnimento delle turbine per limitare i danni alla fusoliera e per portarsi a 140 kts, velocità prevista da manuale nelle discese di emergenza.

Quanto visto da Bonifacio e la sua tesi sono nettamente incompatibili con la tesi dello scoppio di una bomba a bordo, ed anche con quella secondo cui l’aereo sarebbe stato colpito da un missile esplosivo, durante una battaglia nei cieli.

Non è invece del tutto incompatibile con la ricostruzione della dinamica della strage che ci ha offerto il Capitano Mario Ciancarella, sulla base degli studi ed accertamenti effettuati assieme al compianto Colonnello Alessandro Marcucci, prima che quest’ultimo venisse ucciso in volo dall’esplosione di una bomba al fosforo collocata dentro il suo aereo.

Il Capitano Mario Ciancarella – all’epoca della strage Ufficiale dell’aeronautica e rappresentante sindacale – ha sempre sostenuto che l’aereo sarebbe stato colpito da missili da esercitazione a guida radar e a testata inerte lanciati da velivoli partiti da un aeroporto militare italiano, quello di Pratica di Mare; missili cioè che si sarebbero “limitati” a creare fori non devastanti su una piccola parte del DC9 provocando una depressurizzazione che ne avrebbe cagionato la perdita di controllo, forse anche il distacco di un’ala, e l’avrebbe fatto precipitare. Dopo la strage di Ustica Ciancarella era stato contattato dal M.llo dell’aeronautica Mario Alberto Dettori, all’epoca di sede a Grosseto, che gli aveva confidato con notevole paura per la propria vita “Comandante siamo stati noi (…) siamo stati noi a tirarlo giù”. Dopo il ritrovamento sui monti della Sila nel luglio 1980 di un mig libico, che sarebbe dovuto essere l’aereo che avrebbe sparato un missile contro il DC9, Dettori aveva richiamato Ciancarella dicendogli: “dopo questa puttanata del Mig ti do tre campi su cui cercare: 1) gli orari di atterraggio dei nostri veivoli; 2) i missili a guida radar; 3) i missili a testata inerte”. A seguito delle parole di Dettori, Ciancarella cominciò a fare delle verifiche aiutato dal Tenente Colonnello Sandro Marcucci. Dopo di che, sia Ciancarella che Marcucci dovettero affrontare degli umilianti procedimenti disciplinari e processi penali, Marcucci fu ucciso in volo, e Dettori fu trovato morto ai piedi di un albero, vittima di uno stranissimo “suicidio” cui i familiari non hanno mai creduto.

L’Associazione Antimafie Rita Atria nel marzo 2017 elencò alcune delle opacità che è necessario rimuovere per arrivare alla verità sulla strage di Ustica, dopo avere sottolineato che le vittime di tale strage sono in realtà ben più di 81 perché bisogna ricordare tutti coloro che sono scomparsi a causa di strani incidenti che verosimilmente sono stati tutti dolosi: “un numero così alto di morti tra chi ha avuto a che fare anche indirettamente alla sera del 27 giugno 1980 non può semplicemente definirsi frutto di un disegno del destino cinico e baro. Per non parlare poi che neanche la sfortuna più totale avrebbe consegnato alla storia la perdita dei tracciati radar a Boccadifalco di Grosseto e il rogo del registro del controllore del traffico aereo dei voli su Grosseto compreso il 27 giugno 1980. (tracciati di quel radar dietro al quale si trovava il Maresciallo Mario Alberto Dettori… “suicidato”)” – “la documentazione non è stata resa interamente pubblica visto che sulla strage di Ustica molti documenti non è possibile consultarli perché coperti dal segreto militare. Un bel gioco delle tre carte (…) giusto per fare un esempio:

– c’è ancora il segreto di Militare sulla documentazione inerente all’esercitazione militare che si svolse con l’Awacs, i caccia militari di Grosseto e Cameri, il Pd 808 , ll C47 , il Mig inoffensivo. (Dietro il radar a Poggio Ballone c’era Mario Alberto Dettori);

– non esistono o non sono consultabili o sono secretati i verbali di distruzione dei volumi con le strip dei piano di volo e progresso volo dei voli di Cameri, Grosseto, Pisa, Pratica di Mare, Licola e Marsala;

 – non sono consultabili i registri della R.i.v di Roma, la maggior parte dei registri e della documentazione radaristica nelle basi aeree militari italiane di Cameri, Grosseto, Pisa, Pratica di Mare, Licola e Marsala, i libretti di volo di chi partecipò all’esercitazione militare: l’Awacs Usa, i caccia di Grosseto e Cameri, il Pd 808 , il C47 e la documentazione del pilota del Mig”.

Non risulta che questi documenti siano stati ancora declassificati, ossia resi consultabili dal pubblico, o perlomeno dai portatori di interessi qualificati come i familiari delle vittime e le loro associazioni.

Un aereo passeggeri a 8000 metri di quota – ha scritto Mario Ciancarella nel suo libro “Impossibile pentirsi”, sopra già citato, alle pgg 128 e ss. – con una quota interna pari a circa 1000 metri determinata dalla pressurizzazione, un vero e proprio pompaggio di area all’interno della carlinga, “è come un palloncino supergonfio” – “per l’aereo, come per il palloncino, esistono due modi per disperdere il potenziale di pressione. Per cedimento strutturale (…) ed in questo caso si ottiene l’effetto che in gergo aereonautico si definisce decompressione rapida. O per un’improvvisa perforazione, dall’interno o dall’esterno” provocata magari da un missile a testata inerte: “in questo caso si ha una decompressione che si definisce esplosiva perché l’effetto è simile a quello di una bomba”.

Secondo Bonifacio, come abbiamo già visto sopra, vi era però una terza alternativa, ossia la perdita di quota a seguito di una manovra di emergenza azionata dai piloti, ancora coscienti. L’interruzione della registrazione audio da parte della scatola nera sarebbe stata causata, ritiene Bonifacio, non già dalla perdita di coscienza del personale dell’aereo, bensì da un guasto alle centraline elettriche.

Ora, poiché quanto visto da Bonifacio è incompatibile con l’ipotesi di un effetto simile a quello di una bomba, ma non con quella di una decompressione rapida per cedimento strutturale (decompressione rapida dimostrata, nel caso di Ustica, anche dalle lesioni polmonari e alle orecchie interne accertate a carico dei corpi esaminati), e poiché questa ultima neppure è incompatibile con l’ipotesi che il DC9 sia stato attinto da missili a testata inerte, che ben possono avere colpito un’ala e avere causato il cedimento strutturale idoneo a far precipitare l’aereo con traiettoria vagante come un palloncino gonfio cui all’improvviso si apra l’abbocco, occorre leggere e rileggere con enorme attenzione le testimonianze e le valutazioni dei due ufficiali in congedo, per cercare di farsi un’idea sull’accaduto non per dogmi, ma sulla base di dati oggettivi e di regole tecniche e scientifiche.

D’altra parte, osserva Bonifacio nel suo libro che l’ombra che sarebbe stata percepita da alcuni radar, a fianco al DC9, ben sarebbe potuta essere prodotta non già da un secondo velivolo, come ipotizzato nell’ambito della ricostruzione della strage come causata da un tragico errore di traiettoria di un missile esplosivo, bensì dall’ala del DC9 staccatasi dal tronco principale del velivolo.

Un’altra circostanza importante, sottolineata dal Comandante Bonifacio, riguarda le tracce di esplosivo che secondo alcuni sarebbero state rintracciate sui corpi delle vittime (fosforo e T4), mentre è assai più probabile che si trattasse delle tracce chimiche dei fumogeni che erano stati accesi la mattina del 28 giugno, per segnalare oggetti e corpi che riaffioravano dal mare.

Resta, fondamentalmente, il dubbio sulla dinamica che ha portato circa la metà delle persone che si trovavano a bordo del DC9 a sparire completamente e a non essere mai più ritrovate: infatti sotto gli occhi di Bonifacio riemersero solo 39 corpi, tutti in uno stesso punto, mentre i morti furono 81.

Bonifacio ha sempre ribadito infatti che il materiale e i corpi emersero in uno stesso punto del mare, sorvegliato dalle navi ferme in un cerchio di 2000 yards come documentato dalle riprese televisive dell’epoca.

Dove sono andate a finire le altre 42 vittime? Dentro uno spezzone a tenuta stagna dell’aereo, precipitato a una profondità tale da rendere impossibile la riemersione secondo le leggi scientifiche acutamente riportate da Bonifacio?

Ed è possibile ipotizzare che chi avesse eventualmente colpito il DC9, non volesse provocare la perdita di controllo dell’aereo e la morte di 81 persone, ma solo simulare un tentativo di attacco all’aereo da parte di velivoli stranieri, che per incompetenza si è tradotto in strage? Di qui l’agitazione massima, e di qui le successive morti di tanti potenziali testimoni, per cancellare le tracce di una vicenda piena di onta e di vergogna per chi l’avesse commessa, oltre che di sangue innocente?

Speriamo che parli qualcuno dall’interno delle strutture coinvolte, e che non venga suicidato o non divenga vittima di un incidente automobilistico o aereo

4 Replies to “Il 27 giugno 2023 ricorre l’ennesimo anniversario della strage di Ustica, ancora senza verità”

  1. Serena ha detto:

    Complimenti cara Maria Angioni , questo è vero giornalismo d’inchiesta. È un articolo che affronta sia la parte ormai storica con le tesi offerte alla massa, magari di proposito, con vere e proprie testimonianze che unite fanno apparire una verità diversa grazie a Mario Ciancarella e a Sergio Bonifacio che hanno avuto il coraggio, cosa molto rara ormai, di esporsi per la verità. Leggendo certi dettagli tecnici sul DC9, è chiaro obiettivamente che era impossibile un’esplosione in volo. Una cosa fra tutti i corpi riemersi nello stesso punto. È ovvio che con un’esplosione sarebbero stati dispersi in un largo raggio d’azione, questo è palese un po’ per tutti, ma evidentemente non per la legge! Un articolo da incorniciare!

  2. Giuseppe ha detto:

    Spett. Dottoressa Angioni,
    sono molto entusiasta del suo interesse a questa vicenda, che a dir poco è lecito pensar male, molte cose non quadrano, e trovo coraggioso da parte del comandante Bonifacio a darne con il libro la sua testimonianza ed opinione. Alle sue, le allego pure delle mie considerazioni.
    L’incidente avvenne il 27/06/1980 alle ore 20.59
    Il comandante Bonifacio decollò da Elmas in missione di soccorso il 28/06/1980 ed alle ore 3.55 si trovò nella zona assegnata. Alle 7.18 fu chiamato da un elicottero in fase di rientro, in una zona a lui vicina, per aver rilevato l’emergere di una chiazza oleosa. Arrivò in zona e continuò a perlustrare l’area e solo alle 8.30 affiorarono i primi detriti riferibili all’aereo, mentre alle 9.45 vennero a galla i primi corpi delle vittime. Solo allora il comandante Bonifacio informò le navi per l’avvicinamento ed il recupero resti dell’aereo e delle vittime, l’elicottero della RAI arrivò in zona quasi sin dall’inizio delle emersioni corpi.. Quindi per testimonianza diretta, dalle ore 20.59 del 27/06 alle ore 8.30 del 28/06 (per circa 12 ore) la zona perlustrata era completamente priva di detriti e corpi, il che viene a contrastare con la relazione Teylor che immagina un mare pieno di rottami e 38 vittime sparse (come dice lui) in un’area “…di diverse centinaia di chilometri quadrati….” supponendo pure l’esplosione in volo dell’aereo a 8000m, con rottami e corpi in caduta, sparsi poi nel mare. E’ evidente che se il Teylor avesse avuto prima i risultati delle ricerche fatte dai primi soccorsi, la sua relazione sarebbe stata molto diversa. Questo è stato il fattore comune a tutte le relazioni concluse dalle varie commissioni, compreso il pensiero del comandante Mario Cianciarella che considera improbabile la bomba. E se l’implosione avesse lo stesso effetto? Perchè escluderlo visto che non furono state trovate tracce di esplosivo?
    Interessante la griglia delle compatibilità che si evidenzia nella relazione Misiti, considerando quanto detto, l’unica ipotesi che si avvicina per compatibilità alle valutazioni del comandante Bonifacio, è l’ipotesi bomba. Un’implosione avrebbe fatto sembrare l’effetto simultaneo di missile e bomba. La spinta in coda che ha dato l’implosione andrebbe teoricamente valutata e sicuramente darebbe un risultato simile.
    Se si vuole la verità, bisogna sommare la conoscenza delle commissioni alla testimonianza diretta di chi ha eseguito il primo tentativo di soccorso, tutto il resto è fanta politica alla quale bisogna chiedersi “a chi giova?”
    Un’ultimo cattivo pensiero: hanno visto Mig Libici, hanno visto aerei decollare dalla Saratoga, e non hanno visto l’Atlantic? Nove anni per leggerne il rapporto di volo?

    Giuseppe

    • Maria Angioni ha detto:

      gentilissimo Giuseppe,
      trovo sempre molto interessanti i suoi commenti. In effetti é imbarazzante constatare che sono stati spesi tanti soldi in mega perizie contrastanti fra loro, e non si é tenuto conto del rapporto di volo dell’Atlantic, prima ancora che della testimonianza del Comandante Bonifacio. Occorrerebbe essere più umili, e leggere e cercare bene gli atti, prima di tutto

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