L’alimentazione nell’ordine templare

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di Franco Faggiano

Nel Medioevo, sebbene qualcuno possa sostenere il contrario, le quantità di cibo ingurgitate erano notevoli, quanto meno in occidente. Infatti, nel medioevo rurale e nobiliare, è più facile trovare notizia di malattie derivanti da eccessiva nutrizione, peraltro non controllata, che non di deperimento per denutrizione (eccetto, ovviamente, nei periodi di carestia).

La gente dell’epoca, aveva come nutrimento base i prodotti locali, da cui l’elaborazione, nei diversi paesi, di cibi e abitudini culinarie particolari. Il menù delle regioni rurali era perciò più monotono, mentre in città diveniva più variato. I parigini del XIII secolo, ad esempio, apprezzavano già, e ricercavano, non qualsiasi carne, ma vacche normanne o persino savoiarde, pesci freschi pescati nella Manica, mentre le mense più raffinate ricevevano datteri, fichi secchi, limoni e arance, importati da commercianti che frequentavano le coste africane e medio-orientali a bordo delle flotte che facevano spola tra Oriente ed Occidente in seguito alle Crociate. Oltre all’ovvio uso di legumi, era la carne, però, l’alimento principale. Questa veniva approvvigionata sia con la caccia, da nobili e villici, sia con l’allevamento, che aveva un certo peso. Galline, oche cigni, pavoni, piccioni, buoi, vitelli, montoni, maiali, facevano parte essenziale di qualsiasi realtà contadina. Era facile che il “servo della gleba” (molto più esperto del suo signore in fatto di conoscenza d’animali vivi e morti) portasse al castello gli animali allevati, tagliati in “quarti” se si trattava, ad esempio, di buoi o maiali, dichiarando di tenere per sé le ripugnanti zampette e i rimasugli della macellazione. Da quei “rimasugli” il villico medievale tirò fuori l’invenzione del saporito zampone di maiale, poi del prosciutto (affumicato o no) e poi, usando le interiora (aborrite in casa signorile), produsse l’infinita varietà degli insaccati.

A tal proposito, una curiosità: il nome “salame”, quando si venne a sapere dai reduci pellegrini o crociati che i musulmani aborrivano la carne suina, venne dato a quel prodotto insaccato come per sberleffo verso gli “infedeli”, captando il saluto arabo “salam” (cioè ‘pace’). Il ché era pure una maliziosa allusione al signorotto che si privava di quei rimasugli di porco lasciati ai suoi villici, prendendosi su di lui la rivincita da buongustai. L’alimentazione ricca di carni, però, produceva una serie di malattie, di infezioni e di epidemie (pellagra), oltre che di carenze vitaminiche. La gotta, nelle corti grandi e piccole, era all’ordine del giorno, tanto che si costrinsero alcuni Santi del calendario a divenire patroni e intercessori per essere liberati dal pericolo della noiosa, dolorosa, e anche mortale malattia.

Questa premessa di tipo generale per dire che, questa alimentazione tipicamente carnivora e ricca di grassi dell’epoca, nell’Ordine Templare subì notevoli modifiche. E anche se i suoi membri provenivano, quasi esclusivamente, dall’ambito nobiliare abituato alla suddetta alimentazione. Questo per evitare, principalmente, danni alla salute. La regola voleva un’alimentazione equilibrata, con carne solo tre volte la settimana, grande uso di pesce di mare o di acqua dolce (ovviamente in base al luogo), legumi e verdure, formaggi, frutta e vino con moderazione. Ciò permetteva ai Templari che non morivano o in battaglia o di dissenteria cronica o di lebbra, di vivere a lungo e comunque mediamente il doppio di quanto vivevano altre persone. Ma vediamo cosa esattamente recitava la Regola del Tempio in merito.

X .Uso della carne. Nella settimana, se non vi cadono il Natale del Signore, o la Pasqua, o la festa di S.Maria, o di tutti i Santi, vi sia sufficiente mangiare tre volte la carne: l’abituale mangiare la carne va compresa quale grave corruzione del corpo. Se nel giorno di Marte cadesse il digiuno, per cui l’uso della carne è proibito, il giorno dopo sia dato a voi più abbondantemente. Nel giorno del Signore appare senza dubbio, opportuno dare due portate a tutti i soldati professi e ai cappellani in onore alla Santa Resurrezione. Gli altri invece, cioè gli armigeri e gli aggregati, rimangano contenti di uno, ringraziando.

XI. Come debbano mangiare i soldati. E’ opportuno generalmente che mangino due per due, perché l’uno sollecitamente provveda all’altro, affinché la durezza della vita, o una furtiva astinenza non si mescoli in ogni pranzo. Questo giudichiamo giustamente, che ogni soldato o fratello abbia per sé solo una eguale ed equivalente misura di vino.

XII. Negli altri giorni siano sufficienti due o tre portate di legumi. Negli altri giorni cioè nella seconda e quarta feria nonché il sabato, riteniamo che siano sufficienti per tutti due o tre portate di legumi o di altri cibi, o che si dica companatici cotti: e così comandiamo che ci si comporti, perché chi non possa mangiare dell’uno sia rifocillato dall’altro.

XIII. Con quale cibo è necessario cibarsi nella feria sesta. Nella feria sesta riteniamo lodevole accontentarsi di prendere solamente un unico cibo quaresimale per riverenza della passione, tenuto però conto della debolezza dei malati, a partire dalla festa dei Santi fino a Pasqua, tranne che capiti il Natale del Signore o la festa di S.Maria degli Apostoli. Negli altri tempi, se non accadesse un digiuno generale, si rifocillino due volte.

XIV. Dopo il pranzo sempre rendano grazie. Dopo il pranzo e la cena sempre nella chiesa, se è vicina, o, se così non è, nello stesso luogo, come conviene, comandiamo che con cuore umiliato immediatamente rendano grazie al sommo procuratore nostro: che è Cristo: messi in disparte i pani interi, si comanda di distribuire come dovuto per fraterna carità ai servi o ai poveri i resti.

  1. Il decimo del pane sia sempre dato all’elemosiniere. Benché il premio della povertà che è regno dei cieli senza dubbio spetti ai poveri: a voi tuttavia, che la fede cristiana vi confessa indubitabilmente parte di quelli, comandiamo che il decimo di tutto il pane quotidianamente consegniate al vostro elemosiniere.

XVI. La colazione secondo il parere del maestro. Quando il sole abbandona la regione orientale e discende nel sonno, udito il segnale, come e’ consuetudine di quella regione, è necessario che tutti voi vi rechiate a Compieta, ma prima desideriamo che assumiate un convivio generale. Questo convivio poniamo nella disposizione e nella discrezione del maestro, perché quando voglia sia composto di acqua; e quando con benevolenza comanderà, di vino opportunamente diluito. Questo non è necessario che conduca a grande sazietà o avvenga nel lusso, ma sia parco; infatti vediamo apostatare anche i sapienti.

E’ chiaro che queste prescrizioni presenti nella Regola danno l’idea di come fosse rigido il sistema alimentare in uso. Un sistema però presente anche in altri ambiti monastici. Per esempio, in quello puramente monastico inglese del XIII secolo  si usava mangiare – oltre alla verdura e ai legumi – pane scuro, pesce affumicato e birra scura durante la settimana, mentre, nei giorni festivi o in ricorrenze particolari, l’alimentazione diventava più “ricca” con pane bianco, carne e vino. In fondo, condizioni alimentari non particolarmente diverse se non, forse, nella quantità di birra e vino! Ma proprio la regola, sul vino, ci da chiare indicazioni su quanto ne venisse bevuto o, quanto meno, quali quantità ne fosse concesso bere. Infatti, il detto “Bere come un Templare!” è chiaramente un falso. Tanto è vero che l’ubriachezza nell’Ordine non veniva tollerata e veniva, quindi, punita molto severamente, anche con l’espulsione (“…e se un fratello è abituato a bere tanto da diventare ubriaco e non vuole correggersene, bisogna punire la sua colpa…” Regola catalana – una versione della Regola generale). Il vino –  utile e sano, utilizzato anche per le funzioni religiose – veniva prodotto autonomamente e bevuto naturale o, come era consuetudine, aromatizzato all’anice, al rosmarino o bollito e speziato con cannella e chiodi di garofano o dolcificato con il miele. Nella documentazione relativa al possesso di terre e possedimenti dell’Ordine, ci sono numerosi vigneti e, come più di ogni ordine monastico, anche i Templari si dedicavano ad una produzione di vino con – sembra – buoni risultati (tuttora, ci sono dei vini che derivano storicamente dall’Ordine del Tempio come, ad esempio, il Templar wine di Cipro o – secondo lo studioso Leo’ de Mouilin – il bianco di Locorotondo dalla Puglia).

Le vigne, però, non sempre venivano lavorate direttamente dagli uomini del Tempio perché, quando si trattava di estensioni notevoli, parte di questi terreni veniva affidata ai contadini del luogo. Addirittura, quando le condizioni lo permettevano, si procedeva ad accorpare più vigneti confinanti per avere una maggiore resa. Un esempio, in tal senso, lo abbiamo a Barletta, quando nel 1204, i Templari di quella città acquistarono una vigna che confinava per tre lati con la vigna del Tempio. Ogni precettoria, aveva come obiettivo quello di essere autosufficiente e quasi dappertutto si cercava di produrre vino. In mancanza, pur di mantenere questa autonomia, ci si dedicava ad altre produzioni similari, come nella precettoria inglese di Cowton, dove esisteva un apposito locale per la fabbricazione della birra (bevanda più utilizzata del nord Europa per le ovvie condizioni climatiche che rendevano più complessa una produzione adeguata di vino).

E proprio queste condizioni, determinarono le differenze più rilevanti nell’alimentazione dei Templari, tra le precettorie occidentali e quelle orientali. In Occidente l’animale per eccellenza, allevato nelle precettorie, era il maiale usato nella sua interezza e di cui il lardo, salato e conservato, veniva utilizzato come principale condimento ove l’olio di oliva non era presente. Anche gli ovini, pecore e capre, erano presenti negli insediamenti templari occidentali, soprattutto nelle zone più aride e dai pascoli meno rigogliosi e davano carne, latte e formaggi. Dagli animali da cortile, galline ed oche, si avevano carne e uova. E’ logico che il latte, prodotto in abbondanza, non poteva essere consumato totalmente, così i Templari ne facevano formaggi che in parte utilizzavano per i loro pasti e in parte vendevano. Un’altra curiosità è che il Brie, il delicato formaggio francese, sembra sia nato proprio in una precettoria templare. In alcune precettorie italiane si mangiava la polenta fatta con il grano saraceno, quindi non di mais o granoturco poiché, a detta degli storici, tale pianta era sconosciuta in Europa sino alla scoperta dell’America. Il pane dei Templari occidentali era di due tipi: quello quotidiano, chiamato pane bigio, fatto con farina di grano e segala e quello della festa, detto pane bianco, perché impastato appunto con la sola farina bianca.

In Terrasanta, invece, non si usava il maiale, probabilmente a causa del caldo, e forse perché dovendo convivere con il popolo arabo era comunque preferibile non creare ulteriori motivi d’attrito. Si privilegiava, infatti, l’uso di carni di montone, pecora, capra e degli animali da cortile. Gli estesi uliveti producevano olio in quantità, le vigne davano ottimo vino e per dolcificare, a differenza dei confratelli occidentali, i Templari non avevano necessità del solo miele perché potevano utilizzare anche la canna da zucchero delle loro piantagioni. Poiché la Palestina produceva in gran quantità il frumento, il pane era fatto esclusivamente con farina bianca e non come in Occidente con la segale o altri cereali che lo rendevano scuro. Il pane veniva confezionato sia in forme lievitate (pani) sia ad uso di focacce schiacciate (pitta). I Templari orientali consumavano legumi ed ortaggi come ceci, lenticchie, piselli, cetrioli, asparagi, carciofi, cipolle, lattuga e fagioli. Altra curiosità il fatto che il Castrum Fabae, la fortezza templare situata nella valle di Jezreel, prendeva appunto il nome dai fagioli! Tanta la frutta, di più generi (arance, limoni, meloni, melograni, angurie ecc.), mangiata in Terrasanta, a differenza di quella prodotta e mangiata in Occidente che consisteva in meno varietà (mele, pere, noci, nocciole e ciliege).

Poiché durante il periodo dell’Avvento e nella Quaresima i Templari abolivano la carne, fu necessario per l’Ordine organizzarsi in modo da poter avere sempre del pesce disponibile. Per soddisfare tale necessità nel luoghi lontani dal mare, dai fiumi o dai laghi, i frati crearono delle peschiere e dettero vita alla piscicoltura, sia per l’uso fresco sia per quello affumicato. Infine, dove mangiavano e cosa utilizzavano a tavola i Templari? Innanzitutto, i frati mangiavano in silenzio – ascoltando una lettura sacra – nel refettorio su lunghe tavole e seduti uno di fronte all’altro. Le tavole erano ricoperte da tovaglie bianche, tranne il Venerdì Santo quando, in segno di umiltà, mangiavano sul nudo legno, prima ben lavato e strofinato. Il servizio da tavola individuale del Templare era composto da una scodella di corno o legno, due calici (uno quotidiano ed uno per i giorni di festa) e da un cucchiaio ed un coltello. Insomma, un sistema – equilibrato e soddisfacente – adottato dall’Ordine in Oriente ed esteso a tutte le case europee.

Da questo breve scritto, ben si comprende quanto l’Ordine fosse attento ai tanti aspetti – sia nel consumo sia nella produzione – relativi all’alimentazione dei suoi uomini. E ciò, dovrebbe farci molto riflettere ancora una volta su come l’Ordine del Tempio, grazie alla sua perfetta organizzazione, sia stato unico e sensazionale anche in questo.

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Franco Faggiano, arciere dal 1985. Dal 1994 si è dedicato all’archery training e al medieval re-enactment. Nel 1997 ha fondato il sodalizio nazionale Corporazione Arcieri Storici Medievali di cui è l’attuale Presidente. Relatore a conferenze e convegni. Ricercatore storico e saggista, fin dal 1988 ha collaborato giornalisticamente con diverse case editrici.

Inoltre, nel 2006, ha pubblicato con la casa editrice Penne e Papiri un libro di saggistica a carattere storico-religioso dal titolo “Arcieria & Cavalleria“.

Blog: https://corporazione.blogspot.com | https://archerycampus.blogspot.com

Bibliografia:

  • Il Templare: uomo del medioevo, Loredana Imperio, Edizioni Penne & Papiri;
  • L’uomo del Medio Evo: Il piacere della buona tavola, Enciclopedia ‘Storia delle Crociate’, Editoriale Domus;
  • La Regola del Tempio, F.G. Giannini, Editrice New Style;
  • I Templari e la produzione vitivinicola, Enzo Valentini, Rivista ‘Templari’ N.1, Edizioni Trentini;
  • A tavola con i Templari, Loredana Imperio, Rivista ‘Templari’ N.2, Edizioni Trentini.

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