Idee per un nuovo accordo etico fra Italia e Tunisia, inseguendo lo sviluppo delle reciproche economie

Economia & Finanza

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Una alleanza forte con gli Stati del Maghreb, che sono più vicini a noi sotto tanti profili, è la strada privilegiata per consentire alle imprese italiane di ampliare il proprio giro d’affari internazionale.

 

Secondo i dati pubblicati il 12 aprile 2023 dal Ministero delle Finanze dello stato Tunisino, il debito pubblico di questa importante nazione del Maghreb sfiorerà i 140 miliardi di dinari, pari al 120% del PIL. Il debito interno rappresenterebbe il 43,3%, mentre il debito estero ammonterebbe al 56,7%.

Secondo gli stessi dati, alla fine del mese di febbraio 2023, il debito pubblico della Tunisia era già aumentato del 10%, raggiungendo i 117,1 miliardi di dinari, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, senza considerare il debito accumulato dalle aziende statali che si avvicina ai 25 miliardi di dinari.

L’economista Moktar Lamari ha pubblicato queste cifre sul suo blog Economics for Tunisia, E4T.

Secondo fonti internazionali, e in particolare i dati della Banca Mondiale, il debito pubblico della Tunisia ammonta comunque a cifre che non si discostano da quelle riportate da Lamari, e che convertite in euro riportano a un indebitamento di più di 40 miliardi di euro.

Nel dicembre scorso il Fondo monetario internazionale (Fmi), dopo mesi di colloqui tra i suoi funzionari e il governo tunisino, ha preso la decisione di congelare il prestito da 1,9 miliardi di dollari che aveva promesso al presidente Kais Saied in cambio di politiche di austerità, compreso il taglio ai servizi pubblici e ai sussidi alimentari ed energetici. Come se non bastasse, il 7 marzo la Banca mondiale ha annunciato la sospensione del Country Partnership Framework, dichiarando in una nota la volontà di bloccare la sua cooperazione con Tunisi a seguito dei commenti “razzisti, e persino violenti” che il presidente tunisino Saied aveva lanciato contro i migranti sub-sahariani presenti nel paese.

In questo periodo si stanno moltiplicando gli incontri, le trattative, le speranze di trovare la quadra nei rapporti internazionali tra l’Italia, la Tunisia e l’Unione Europea, con alcune gaffes come la comunicazione mediatica della data di quello che sarebbe dovuto essere l’incontro definitivo, per la firma di un accordo, fissata però proprio nei giorni in cui in Tunisia si festeggiava la festa dell’Aid el Kebir, la festa più importante dell’anno, durante la quale la gran parte delle attività si ferma per celebrare e ricordare il sacrificio dell’agnello da parte di Abramo.

Data che, evidentemente, non poteva essere stata concordata col presidente della Repubblica Tunisina, il professore di diritto costituzionale Kais Saied.

Secondo l’attuale “stato dell’arte”, l’Italia e l’Europa hanno offerto alla Tunisia, afflitta da una persistente crisi economica, degli aiuti finanziari nella misura di alcune centinaia di milioni di euro, in cambio soprattutto di un intervento dello Stato maghrebino volto a frenare il fenomeno migratorio che in percentuale molto alta attinge le coste italiane con basi di partenza dai porti e dalle spiagge tunisine.

Però la Tunisia è già stata più volte segnalata a livello internazionale per gli abusi commessi sul suo territorio contro i migranti sub sahariani che varcano assai numerosi le sue frontiere per raggiungere le imbarcazioni della tratta e tentare di emigrare illegalmente in Europa, pertanto non è sicuramente opportuno che, in particolare, il nostro paese incentivi i respingimenti verso il deserto, o gli interventi troppo bruschi o brutali verso le imbarcazioni che già abbiano preso il largo.

Perché di questo alla fine si tratta, quando si chiede alla Tunisia di fare, per usare le parole del presidente Saied, il “cane da guardia” dell’Europa e dell’Italia.

E d’altra parte, come evidenziato dallo stesso Saied, a fronte di esigenze finanziarie elevate della Tunisia, la corresponsione di somme nettamente inferiori non sortirebbe alcun sostanziale effetto di sostegno all’economia dello Stato maghrebino, e lo esporrebbe comunque ai rischi di una nuova guerra civile scatenata dall’aumento dei prezzi, come già ai tempi della c.d. “Primavera araba”.

L’occidente, è bene sottolinearlo, non si può permettere di affrontare il rischio di una destabilizzazione della Tunisia, che è una democrazia che negli ultimi anni, grazie principalmente agli indirizzi imposti dal presidente Saied, si è progressivamente laicizzata lottando contro ogni rigurgito di fanatismo religioso islamico e contro ogni forma di integralismo.

Lo stesso F.M.I., sotto questo importante profilo, erra e pecca gravemente nel volere imporre alla Tunisia, come contropartita al prestito di 1,9 miliardi di dollari, rinunce e austerity che finirebbero per scatenare nuove guerre del pane fra la popolazione, con conseguente destabilizzazione del corrente governo, e con conseguenti imprevedibili disordini.

Ma anche noi Italiani sbagliamo quando chiediamo alla Tunisia di impedire gli sbarchi, dietro promessa fra l’altro di somme di denaro altamente inadeguate rispetto alle esigenze finanziarie dello Stato maghrebino, e per di più attinte dai fondi del PNRR che dovrebbe essere un piano per lo sviluppo.

Evitare gli sbarchi rientra infatti, semmai, nei compiti della difesa delle frontiere e della sicurezza, e non certo in obiettivi di sviluppo, economico o sociale, commerciale o industriale.

Lo sviluppo richiede la revisione degli accordi commerciali tra Italia e Tunisia, l’abolizione dei dazi e delle farraginosità alla frontiera, che le nostre ditte di import-export e di logistica ben conoscono purtroppo, e costringono i nostri prodotti in una fascia “di lusso”, a causa dell’incidenza dei dazi sul prezzo, che ne impedisce una larga diffusione nei punti vendita dello Stato maghrebino (a differenza, per esempio, dei prodotti spagnoli).

Lo sviluppo richiede la revisione degli accordi di cooperazione industriale che venga incontro alle esigenze e ai chiari deficit delle imprese edili ed infrastrutturali tunisine, che per esempio costruiscono i ponti stradali di cemento ancora “a mano”, sul posto, senza impiego di prefabbricati, con enorme dispendio di tempo e di manodopera, e che consenta alle nostre imprese di esportare in gran misura know-how e capitali.

Lo sviluppo richiede la revisione degli accordi sulla pesca, che consenta maggiori margini e maggiori spazi alle nostre imprese e abolisca il rischio di sequestri dei motopescherecci italiani.

E in cambio, l’Italia attingendo ai fondi previsti nel PNRR, e in particolare alla somma di 1,9 miliardi dedicata al capitolo per la internazionalizzazione delle nostre imprese, potrebbe finanziare adeguatamente la Tunisia e legarla a sé con tanti progetti per lo sviluppo di entrambe le Nazioni, invece che avvilupparla nella paura e nella lotta contro i fantomatici nemici dell’Africa dell’interno.

Perché l’Africa è una risorsa commerciale, è un mercato, come altre Nazioni più evolute stanno già cominciando a capire, e una alleanza forte con gli Stati del Maghreb, che sono più vicini a noi sotto tanti profili, è la strada privilegiata per consentire alle imprese italiane di ampliare il proprio giro d’affari internazionale.

 

(Foto del Mare Mediterraneo di fronte al porto tunisino di La Goulette, autore waeske – copyright)

4 Replies to “Idee per un nuovo accordo etico fra Italia e Tunisia, inseguendo lo sviluppo delle reciproche economie”

  1. Barbara Cesa ha detto:

    Un ottimo articolo quello che ho appena letto, e concordo con la giornalista. Gli accordi con la Tunisia sarebbero un vantaggio per l’Italia oltre che per la Tunisia stessa. Inoltre è bello vedere un po’ di obiettività in un giornalista, senza visioni legate alla propria nazione e alla politica. E comunque ha ragione gli accordi commissione non c’entrano con l’approccio ai migranti e alla relativa politica.

  2. In realtà temo che l’Italia voglia pagare la Tunisia affinchè non incoraggi l’invasione di immigrati clandestini, praticamente una sorta di pizzo per evitare di essere vittima di reati.
    Basterebbe invece fare come altri paesi Ue: Malta, Ungheria etc., ove governanti sovranisti per davvero tentano di salvaguardare la propria Nazione anzichè svenderla ai poteri forti stranieri in cambio di denaro e altre utilità.
    Qualcuno aveva falsamente promesso il blocco navale e poi invece consente per quest’anno l’ingresso a 450.000 immigrati stranieri, neppure Prodi e D’Alema fecero tanto per favorire l’invasione.
    Dati odierni de Il Sole 24 ore: il 25% dei nuovi contratti di lavoro in Italia nell’ultimo anno sono a favore di stranieri o di figli di immigrati, probabilmente con salari inferiori in modo da favorire i padroni e fare concorrenza sleale agli italiani.

    • Maria Angioni ha detto:

      gentilissimo avvocato, in effetti l’idea dell’Italia era, credo, proprio quella che lei indica. Però l’obiettivo non é stato raggiunto, se é vero che nell’accordo Italia/Europa-Tunisia appena firmato la Tunisia avrebbe ribadito “la sua posizione di non essere un paese di insediamento per migranti irregolari”, riaffermando inoltre “la sua posizione di guardare solo i propri confini” (così hanno riportato diverse fonti giornalistiche); il che significherebbe che il presidente tunisino ha dichiarato di non accettare il rimpatrio di migranti non tunisini dall’Europa.
      Perchè il problema non riguarda tanto i Tunisini che prendono il mare illegalmente, che sono una piccola percentuale dei clandestini, bensì gli africani di diversa nazionalità che in numero crescente “invadono” la Tunisia per imbarcarsi dalle sue coste verso il sogno europeo

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