Massimo Ghini, la battaglia di Hollywood è contro un nemico comune

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L’attore all’AGI: dobbiamo renderci conto di questo e iniziare seriamente ad affrontare il problema. Anche se ancora non ci riguarda in quei termini ma per una volta, non facciamoci trovare scoperti e sorpresi quando toccherà a noi

© Maria Laura Antonelli/AGF – Massimo Ghini

 

AGI – “E’ una battaglia contro un nemico comune. Dobbiamo renderci conto di questo e iniziare seriamente ad affrontare il problema. Anche se ancora non ci riguarda in quei termini ma per una volta, non facciamoci trovare scoperti e sorpresi quando toccherà a noi” . Lo ha detto all’AGI Massimo Ghini , attore, commentando lo sciopero degli attori di Hollywood e prima ancora degli sceneggiatori, contro un sistema che sta trascinando al ribasso il settore fortemente in mano agli streamer e che ha condotto alla scomparsa dei profitti secondari, all ‘uso sempre più massiccio dell’Intelligenza Artificiale, al ricorso alle piattaforme con lo svuotamento delle sale cinematografiche.

“Da noi – spiega Ghini – una industria vera e propria come quella americana non c’è. Abbiamo avuto un lampo negli anni ’60 ma poi è finito tutto, tanto che i grandi produttori italiani sono andati via e noi siamo diventati una sorta di ‘impiegati’ con tutto il rispetto per la categoria, dipendenti dal Fus, il Fondo Unico per lo Spettacolo che è una catena che ti lega al potere politico in Italia .Ogni tanto ci sono fenomeni che escono da questa logica, film che magari incassano milioni di euro ma oggi come oggi, dico che il segnale che arriva dagli Usa va recepito al volo”.

In America sono però ben organizzati: “Certo – sottolinea l’attore – fanno subito categoria, fanno rivendicazioni di gruppo, io sono stato 15 anni segretario del sindacato e dico che dobbiamo muoverci. Negli Usa, attori come Matt Damon si pongono il problema dei colleghi che per esempio, non riescono a pagarsi le cure mediche, perché ci sono questi casi: esistono. Noi incidiamo poco, non ci facciamo sentire. Basta pensare che siamo nel 2023 e non c’è un contratto sull’audiovisivo…Di che parliamo?”.

Ma perché non c’è gruppo? “Mah… C’è anche la paura, ed è anche per questo che non facciamo massa fra sceneggiatori, attori, registi per rivendicare qualcosa. C’è la paura che  è un attimo e scompari. C’è tutto il contesto che è difficile anche se io sono però fiducioso nel fatto che se non raschiamo il fondo, non torniamo su. C’è timore, ma su questo tema dobbiamo fare mente locale e fare in modo che qualcuno tiri fuori un pensiero, una strategia che ci leghi almeno al resto d ‘ Europa .

Il sistema andrebbe rivoluzionato dall’interno. Abbiamo Unita che ora si sta dando da fare. Ma il nodo principale, è che se non entriamo in una dimensione generale, e facciamo battaglia tutti insieme, non ne usciamo. Ed io sono convinto che questo sistema sfuggirà presto di mano anche ai produttori. Le piattaforme comandano e il produttore non è più quello di una volta”.

Per Massimo Ghini dunque, “Quello che accade a Hollywood deve suscitare un dibattito vero: serve un atto di coraggio e unirsi idealmente alla protesta americana, fare un ragionamento in tal senso. Negli Usa si sta cercando di proteggere il lavoro di maestranze, attori , sceneggiatori… Non possiamo fare finta che da noi non possa accadere un giorno. Sono molto triste, sono vissuto e nato nel cinema e oggi, non vedo il cinema. Guardiamo i film sulle piattaforme. Ce ne vogliamo rendere conto? E poi, lo spettacolo: stiamo parlando di una piccola categoria artistica italiana che fa parte del Pil. Noi artisti partecipiamo al Pil.Gli americani vengono qui a produrre perche’ la manodopera  costa meno, ed è un fatto di mercato che ormai abbiamo adottato anche noi, andando a girare per esempio in altri Paesi. Ma anche questo, andrebbe regolamentato. Però – conclude Ghini – non perdiamo di vista il fatto che siamo davanti a una rivoluzione che sta cambiando completamente il modo di pensare un prodotto artistico di intrattenimento. Mi auguro che ci sia attenzione da parte di intellettuali, del ministro della cultura attuale che e’ un giornalista, ha scritto libri. Serve una sensibilita’ culturale maggiore rispetto a chi c’era prima, con politici di passaggio sulla poltrona di ministro della cultura”. 

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