Sei kilometri di ferrovia costano quanto 266 mila pensioni , in un anno

Economia & Finanza

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Due eventi a elevato impatto sulla finanza pubblica, in termini di sperpero di risorse scarse mi inducono ,a ricordare  una vecchia proposta progettuale. Ha un mero valore di testimonianza certo,  ma è un modo per mostrare che la deriva dell’alto debito pubblico , ha sempre avuto soluzioni , che lo rendevano sostenibile.

La Ordinanza n.15 del 13 luglio u.s. ,  a firma  del Commissario Straordinario Ing. Macello con il quale viene approvato il progetto definitivo del 2 lotto funzionale , “ attraversamento di Vicenza”.

 IL secondo evento la revisione del PNRR attuata dal Ministro Fitto, in difformità a quanto riportato nella relazione semestrale al PNRR dello stesso Ministro  ,che  non considera l’esclusione dai fondi della UE della linea Brescia/Padova a.v.,  segnata da “ tre dei quattro “elementi di debolezza individuati dal Governo”. Un investimento sul quale il Ministro Fitto scrive “ un processo di revisione mirata in accordo con le istituzioni europee e congruente con i principi dei regolamenti europei” .

 IL Ministro Fitto nella Relazione al PNRR riporta una delucidazione ,  che non può piacere alla lobby del cemento e del tondino :  la tav tra Brescia e Padova è giudicata critica , per lo squilibrio tra domanda e offerta .

Insomma un investimento  , a  bassa utilità sociale e altrettanto di redditività finanziaria e noi aggiungiamo senza verifica del vincolante principio DNSH per fruire dei fondi del PNRR.

Un metro di attraversamento di Vicenza del tracciato av,  costa quanto   276.021 pensioni di vecchiaia erogate in un anno.

A luglio 2019 il sottoscritto e uno tra i più “grandi” ,  tra gli  esperti di trasporto in Italia ,  l’Ing. Alberto Baccega deceduto alcuni mesi fa,  in qualità di ex componenti della Commissione del Ministero delle Infrastrutture per il progetto a.v. Verona/Padova e,  già consulenti del Comune di Vicenza  per il passaggio della linea a.v. sul territorio vicentino , proponemmo una soluzione  pubblicata sul Giornale di Vicenza ,  che qui riporto e comunicata anche al ministero delle infrastrutture .

In onore di Alberto , delle Sue competenti posizioni ,  di quanti credono che le infrastrutture se non hanno una ricaduta sociale e ambientale positiva non devono essere realizzate.

Ometto la prima parte dell’articolo, che si sofferma su criteri di progettazione e valutazione economico sociale.

 Si è visto e si vede, troppo spesso, proporre di non fermare opere perché costerebbe troppo rinunciarvi.

Che dimostrazione di impotenza e di resa, di fronte alla necessità di cambiamento, pure percepita, verrebbe da dire! Si tratta di quesiti di rilievo che non desideriamo affrontare, non perché siano privi d’interesse; tutt’altro, ma può essere curioso tenerli da parte e rimanere concentrati sul problema del progetto.

 Qui interessa il caso della linea Milano-Venezia e in particolare il tratto tra Brescia e Padova.

È una ferrovia lunga circa 148 km.

 Vediamo, dapprima, un paragone: la linea veloce (fino a 300 km/h) Erfurt-Halle-Leipzig lunga 121 km, a detta delle ferrovie tedesche, sarebbe costata poco meno di 3,0 miliardi di euro – costruita su un territorio pianeggiante, intervallato da considerevoli sistemi collinari – è stata posta definitivamente in esercizio all’inizio del 2016.

Quella linea mostra viadotti e gallerie in misura paragonabile a quella ipotizzata tra Brescia e Padova.

Assunto, per ipotesi, un aggiornamento di circa il 10% ( in realtà oggi è pari al 26%)  per tener conto del tempo trascorso e un rapporto pari a 148/121 = 1,223 (basato sulle rispettive lunghezze).

IL  costo della tratta italiana dovrebbe stimarsi attorno a 4,03 miliardi, ma, qui si veleggia verso gli 8,6 miliardi di euro. ( oggi circa 10 miliardi: n.d.r.)

Qualche cosa sembra estraneo ad una plausibile proporzione, nel progetto nostrano!

È indubbio che la ridda di capiluoghi compresi tra Milano e Venezia non si presti a essere servita solamente con treni non-stop tra (Torino) – Milano e Venezia – (Udine/Treviso/Pordenone/Gorizia/Trieste).

Il riportare tanti capiluoghi tra parentesi a destra (a sinistra, non si possono annoverare Novara e Vercelli poiché definitivamente tagliate dalla soluzione costruita, nonostante la realizzazione di “fantasiose e fastose” connessioni, mai utilizzate in esercizio regolare, come, del resto nel caso di tutte quelle comprese tra Milano e Bologna) serve a far intuire l’articolazione di relazioni che può e ”deve” essere intercettata dalla linea principale.

E, poi, basta percorrere l’autostrada A4, per osservare la massa di traffico merci che su di essa fluisce su camion e notare che l’accessibilità e gli impianti delle stazioni (non il tracciato) dell’attuale linea ferroviaria appaiono estranee alla possibilità di intercettarne una porzione rilevante.

Ci si può chiedere se vi sia un’organizzazione infrastrutturale ferroviaria capace di incidere su tali flussi attraendone in misura tale da soddisfare le logiche di una rigorosa analisi Costi/benefici.

Se una possibilità del genere esistesse, essa dovrebbe portare con sé la riduzione, se non l’arresto, della necessità, a medio termine, di adeguare con ennesime corsie o con complanari l’infrastruttura autostradale principale. Dovrebbe anche accogliere le relazioni presso i capiluoghi coi sistemi di trasporto locali, dovrebbe vedere nuovi impianti capaci di gestire l’accesso al treno di merci mobilitabili con gru in brevissimo tempo e con spesa contenuta: dovrebbe, in estrema sintesi, essere il vaso principale di un sistema che ne comprenda di minori connessi, capace di aver rapporto con terminali merci, stazioni o fermate passeggeri di minore gerarchia, oltre che con quelli di importanza maggiore, tutti collegati da servizi secondo opportunità affidabili cicliche e accessibili vantaggiosamente rispetto a quelle ora disponibili: e insisto, anche per le merci.

Se il progetto non perseguisse questo, o se lo lasciasse inespresso o lo relegasse ad un implicito sforzo del quale non si conoscano né i contenuti, né le forme delle sue soluzioni, esso non sarebbe accreditabile di utilità prevedibile sufficiente.

Queste scelte non si lasciano semplificare e ridurre alla contrapposizione della soluzione ferroviaria o di quella stradale, nelle loro forme base, o di grandi opere che siano controproducenti per l’ambiente e il sistema economico che, così come sono, non tollerano siffatte incursioni e, meno che mai, il consumo delle risorse del territorio, accompagnato dallo spreco a favore di una crescita postulata e demandata a triviali scommesse e all’improvvisazione frutto del non voler affrontare i conti a favore di settori limitati dell’economia.

Siccome la storia non finirà nei prossimi decenni, è comprensibile che non si possa disciplinare ogni elemento di questo complesso sistema di opzioni, così poco esplicito, con una semplice decisione che non si basi su un processo di scelta decente.

Occorre un atteggiamento un poco più pragmatico per cercare, tra le alternative, almeno una configurazione promettente nel senso prima indicato.

Per stare on the safe side, si può esaminare soluzioni basate sulla base costituita dal tracciato esistente e dotate di un numero di binari che sia da proporzionare alle esigenze o alle attrattività dei servizi desiderabilmente da introdurre, in ragione della loro sostenibilità, secondo un processo graduale che tuttavia, può iniziare da subito, con trasformazioni di consistenza non faraonica. Forse, quest’impostazione non piacerà ai fautori di grandi opere del recente passato o a chi si troverà a esser richiesto di giustificare decisioni ora, apparentemente, poco argomentabili.

Per adombrarlo, possiamo  proporre la traccia che potrebbe essere conferita ad una trasformazione del tracciato costituito dalla linea storica tra Brescia e Verona. La sua geometria e la sua iscrizione nel territorio si prestano per corrispondere coerentemente, a quanto detto. Altrettanto si potrebbe fare oltre Verona.

Se, infatti, i treni passeggeri e merci potessero ridurre il tempo della la loro percorrenza e aumentare la loro massa, correndo su una linea simile a quella storica, – resa più veloce “quanto basta” e dotata di stazioni e fermate a ciò adeguate, senza bisogno di capacità sovradimensionate o miscelazioni irresolubili di traffici a velocità differenti, su tracciati privi di risorse per ammetterle – si potrebbero affrontare tutte le sfide indicate, senza segregarne una buona parte, come il progetto attuale assume di fare, senza giungere alla soglia di convenienza, né a convincere rispetto ad alternative, del resto, mai seriamente cercate o esaminate.

Il “quanto basta” dipende dalla scelta dell’architettura dell’orario (del sistema, non solo della linea) che il progetto propone e dovrà lasciar emergere. L’architettura dell’orario dovrà essere chiaramente indicata tramite un criterio di composizione esplicito che ora è lasciato alla fantasia degli osservatori o ai ritardi che costellano l’esercizio attuale, compreso quello dei servizi regionali e non solo di quello A.V. Una ventilata alta capacità disgiunta da un attendibile orario di progetto è meno efficace di una triviale parola d’ordine o di uno slogan ed è meglio non barattarla con la fiducia con la quale guardare alle ferrovie – se si ritiene di sapere come esercitarle e progettarle – quale moderno efficiente e versatile mezzo di trasporto. Del resto, sennò, quale significato attribuire alla sempre invocato trasferimento di traffico dalla strada alla rotaia per non vedersi soffocare dall’invasione dei mezzi di trasporto individuali? A ben guardare, i sistemi su rotaia di alcuni paesi civili giungono a tanto con scelte appropriate e, talvolta, invidiate. Non è rimasto proprio nessuno tra politici e amministratori o tra i tecnici cui interessi la spiegazione di ciò?” 

 

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