Il Bari è un cantiere aperto, è tardi, e regna l’incertezza

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Il momento attuale del Bari dice, inconfutabilmente, che la privazione della sua colonna portante capace di andare in gol 40 volte e di fare la differenza lo scorso anno fino ad arrivare a 100 secondi dalla serie A, non si è ancora riusciti a rimpiazzarla adeguatamente. Perché la “foto”, ad oggi, è questa.

L’acquisizione (più che acquisto) di giovani talenti in prestito o di svincolati contrattualizzati può essere una strategia societaria interessante per valorizzarli e rivenderli con profitto in futuro, ma sembra che questo approccio stia impoverendo la squadra piuttosto che rafforzarla senza dimenticare le ire della tifoseria che, è noto, non vede di buon occhio certi affari lungo la A16.

Il fatto che alcuni di questi giocatori tornino alle loro squadre di appartenenza più forti, o che il Napoli si impadronisca di essi, crea un ciclo difficile per il Bari che si trova costantemente a cercare di colmare il vuoto lasciato da questi giovani promettenti. Fino adesso, grazie all’abilità di Ciro Polito, il Bari ha preso ragazzi giovani in prestito o svincolati, uno dei quali con una situazione fisica precaria e tutta da verificare (Menez), dando quella percezione di non volersi rinforzare per questo anno nuovo ma in prospettiva.

Tutto sembra orientato al “carpe diem” di oraziana memoria e non ad una politica ferma, decisa e intraprendente nel reperimento di giocatori di esperienza che possano (e debbano) fare la differenza. Insomma, si fiuta l’affare, si prova a portarlo a Bari ma poi si attende che calino i prezzi mentre i giocatori individuati si accasano altrove. Questa è la politica adottata da De Laurentiis nel Bari che però, occorre dire, fino adesso ha avuto discreti risultati perché le cose vanno dette fino in fondo. Anche a Napoli la musica è pressoché la stessa sia pur con qualche milioncino in più sul banco: giocatori reperiti a due euro e poi venduti a cento. Risultato, Champions imperitura e scudetto. Ma un anno può non essere uguale all’altro. Il Napoli è arpionato tra le prime quattro in serie A da 16 anni, il Bari cerca disperatamente di tornarci e di rimanerci da 13, e oggi è in grave ritardo nell’allestimento della rosa rispetto agli anni scorsi quando, di oggi, bene o male, la rosa era completa dal 80%, oggi lo è al 60%.

Polito sembra Regalia ai tempi di Matarrese quando trovava nel cilindro giocatori giovani bravi da valorizzare a due lire per poi venderli a cento come Zambrotta, Bressan, Boban, Jarni, Perrotta, i prodotti locali Bigica, Amoruso e Cassano, solo che Matarrese, ogni tanto, spendeva qualcosa assicurandosi vari Protti, Tovalieri, Platt, Maiellaro, Di Gennaro ed altri salvo, poi, almeno dalla serie A, retrocedere miserabilmente nonostante un capocannoniere come Protti ed un fuoriclasse come Platt, segno che non ci sapevano fare quando c’era da provare a fare il salto di qualità. Qui a Bari sembra che si vada avanti solo per valorizzare i ragazzi per poi girarli al Napoli o farli ritornare alle case madri. Un po’ troppo restrittiva e striminzita la gestione per una piazza giustamente pretenziosa come Bari che da 115 anni sogna e spera il salto di qualità definitivo, ovvero arrivare in serie A più o meno perennemente e, perché no, sognando una puntatina in Europa. E loro, quelli privi di “picci” capricci e rancori personali, avevano riposto le speranze proprio nei De Laurentiis.

Fino adesso gli unici “acuti” sono stati Mirco Antenucci e Valerio Di Cesare, peraltro arrivati a Bari più o meno a 35 anni non più giovanissimi e fatti arrivare più che altro per uscire dagli inferi della D e della C più che per ambire alla A, poi giocatori più o meno talentuosi (Maita e Maiello), qualcuno consacratosi salvo implodere da gennaio in poi come Cheddira, poi giovani che hanno dimostrato di saperci fare (Dorval), altri confermatisi ma poi malinconicamente lasciati tornar via alle loro case madri o presi dal Napoli, quindi solo giocatori che non sempre hanno inciso più di tanto, vedasi Di Gennaro, Benali, Molina e Mazzotta. i terzini Ricci e Pucino che hanno giocato tra (pochi) alti e (tanti) bassi. E infine, l’unico “acuto” in serie B, però ancora enigmatico che risponde al nome di Scheidler.

Eppure con l’avvento dei De Laurentiis tutto l’ambiente si era entusiasmato perché, finalmente, dopo anni di carestie economiche e di improvvisazione poche volte andate bene, moltissime altre andate molto male, anni di umiliazioni, di fallimenti e di situazioni terribili, vedeva in loro gli imprenditori giusti, capaci di investire e di spendere, magari senza svenarsi come son soliti fare, ed invece le cose sono andate diversamente perché si è provveduto ad investire su giovani promesse spesso azzeccate e su giocatori di serie C contrattualizzati pluriannualmente (come Maita) o di altri che non hanno fatto breccia nel cuore dei tifosi pur contribuendo ad arrivare in finale playoff, ma di un “Protti” o di un “Tovalieri”, di un “Platt” o di un “Ingesson” fino adesso, non v’è traccia e senza di loro è difficile competere per la A perché i giovani che crescono nel Bari diventando bravi per poi essere ceduti al Napoli, ira funesta dei tifosi a parte, vanno bene, tenere d’occhio i bilanci pure (conditio sine qua non per gli imprenditori capaci come loro), ma crediamo che occorra altro per infiammare la tifoseria dopo lo stato depressivo in cui è caduta dopo l’11 giugno, e soprattutto per poter ambire alla serie A dal momento che tutte le concorrenti si stanno attrezzando anche con giocatori di categoria e di esperienza, spendendo quanto basta. Una promozione dalla D alla C o dalla C alla B non è la stessa di una dalla B alla A. In fondo l’11 giugno si è persa la partita soprattutto per inesperienza, traversa di Folorunsho a parte, al cospetto di una squadra super esperta composta da gente di rango, di esperienza e di categoria con alcuni giocatori di serie A. Il Bari aveva qualche giocatore di categoria (pochi), giovanotti bravi ma ancora sbarbatelli, ed altri prossimi quarantenni per quanto bravi e determinanti.

Mancano meno di due settimane alla prima in Coppa Italia ed il Bari è ancora un cantiere aperto dove manca un po’ di tutto. E questo “status” cantieristico, ad un paio di settimane dall’inizio della Coppa Italia, indica una mancanza di pianificazione e organizzazione o quanto meno regna l’incertezza. Chissà, forse si sta lavorando con calma perché consapevoli che il campionato slitterà a settembre, tutto può essere.

Quando, e se, nel frattempo arriverà qualcuno si dovranno valutare le condizioni fisiche, occorrerà del tempo finché assimilino le lezioni di Mignani e il Bari corre il rischio davvero di iniziare con i ragazzini della primavera che, bene o male, hanno fatto il ritiro e sono più avanti e preparati degli eventuali nuovi. Occorre una mossa, una scintilla, un’azione incisiva per provare a far tornare l’entusiasmo perché all’attualità, inutile girarci intorno, manca. Di Polito c’è da aver fiducia, non c’è dubbio, ma non sempre le nozze si preparano coi fichi secchi.

I tifosi sono molto preoccupati oltre che moderatamente sfiduciati poiché l’11 giugno sembra essere stato un momento difficile per tutti e le prospettive attuali non sembrano suscitare entusiasmo. La speranza è che, nonostante le difficoltà, la squadra possa trovare una soluzione rapida e adeguata per rinforzarsi in vista della stagione imminente. Questa situazione rende l’avvio della stagione pieno di incognite per il Bari e soprattutto per i suoi tifosi capaci di andare in 65 mila al San Nicola ma anche di andarci in cinquemila.

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