7 agosto 1990: L’inquietante delitto di via Poma

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di Vittorio Bilardi

7 agosto 1990. Via Poma. Questa non è solo la storia di una vittima ed un assassino, ma è soprattutto la maledizione e la congiura di un intero condominio, di un palazzone squadrato e ombroso, costruito seguendo linee tipiche dell’architettura fascista, forse colpevole, complice e reticente. Via Poma è un indirizzo che incute terrore, mistero e allo stesso tempo rende bramosi di conoscere quali enigmi si celano dietro quella mano oscura che muove le sorti di tanti destini che hanno visto terminare la loro vita all’interno di queste mura. Riguardo il delitto di Via Carlo Poma, ancora oggi rimangono più dubbi che certezze.

Un insieme di tasselli e indizi che non portano da nessuna parte. Il quartiere Prati è da sempre il punto di ritrovo preferito di professionisti e non solo. Eppure, il 7 agosto del 1990, inizia a svuotarsi. Tutti preferiscono andare in vacanza. Così regna il silenzio, non tipico della desolazione, ma ricco di gioia perché sinonimo di estate. Il delitto di via Carlo Poma fu l’omicidio commesso in danno di Simonetta Cesaroni nel pomeriggio del 7 agosto 1990. Il delitto fu consumato in un appartamento di un elegante edificio posto al terzo piano del complesso di via Carlo Poma n. 2, da cui il nome, nel quartiere della Vittoria a Roma, rione Prati. La 21enne Simonetta Cesaroni esce di casa alle 15 in un afoso martedì d’agosto, per recarsi agli uffici dell’Associazione Italiana Alberghi della Gioventù (A.I.A.G.). Qui presta servizio come contabile e il suo datore di lavoro le ha chiesto un’ultima verifica prima delle ferie.

L’ufficio è deserto ed è lei ad aprirlo verso le 16. Si mette al computer consumando nel frattempo un panino. Alle 17,35 riceve una telefonata da una collega e dopo… Silenzio. Il silenzio di un atroce e assordante destino che griderà giustizia per oltre trent’anni. Tra le 18 e le 19, incontra il suo carnefice che la colpisce violentemente fino a farle perdere i sensi, per poi accanirsi furiosamente sul suo corpo, con ventinove coltellate. Viene colpita al volto con un manrovescio che la tramortisce. Viene immobilizzata a terra: qualcuno si mette in ginocchio sopra di lei e le preme i fianchi con le ginocchia con tanta forza da lasciarle degli ematomi. L’assassino prende forse un tagliacarte e inizia a pugnalarla. Sei sono i colpi inferti al viso, all’altezza del sopracciglio destro, nell’occhio destro e poi nell’occhio sinistro; otto lungo tutto il corpo, sul seno e sul ventre; quattordici dal basso ventre al pube, ai lati dei genitali, sopra e sotto. Non avendo notizie della giovane, i genitori iniziano a preoccuparsi. Alle 20,30 la sorella Paola raggiunge l’edificio e fa la macabra scoperta.

Tra sospetti, mancanze e imprecisioni nell’attività investigativa, gli inquirenti si concentreranno su tre sospettati: i primi due sono il portiere Pietrino Vanacore (morto suicida nel novembre 2010) e Federico Valle, nipote dell’architetto Cesare Valle che abita nello stesso stabile, entrambi poi scagionati. Alla fine, grazie anche ai rilievi effettuati dal Ris di Parma nel 2004 (con strumentazioni non disponibili nel 1990), il sospettato numero uno rimarrà Raniero Busco, fidanzato di Simonetta, dapprima condannato in primo grado nel gennaio 2011 e poi scagionato da una superperizia nel processo d’appello (27 aprile 2012).

La definitiva pronuncia della Cassazione, nel febbraio 2014, lo assolverà dal reato di omicidio. Nel corso degli anni furono svolte svariate indagini e seguite varie piste investigative che però non portarono mai alla verità. Inchieste giornalistiche, libri, trasmissioni e fiction faranno emergere il quadro oscuro della vicenda su cui, secondo alcuni, c’è stata una decisa azione tesa a nascondere la verità. Sicuramente non si è trattato di un femminicidio in quanto sul suo corpo della vittima non furono trovate tracce di violenza sessuale. Qualcuno ipotizzò che il movente era da trovare negli uffici dell’A.I.A.G..

Si ipotizzò che a depistare le indagini furono elementi appartenenti ai servizi segreti deviati. Non si cercò mai di capire cosa davvero si facesse in quelle stanze dell’A.I.A.G. e se c’erano degli interessi istituzionali. Fatto sta che ad oggi il delitto è ancora irrisolto e di Simonetta Cesaroni, restano solo i suoi scritti che parlano dei sogni, delle speranze e di quell’amore che non incontrerà mai.

foto Dagospia

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