Il processo vede il governo americano e più di una trentina di Stati e territori accusare la compagnia di aver creato illegalmente un monopolio, al punto da aver reso il brand un sinonimo della ricerca su internet
AGI – Si è aperto in un tribunale federale di Washington il processo avviato dal governo degli Stati Uniti contro Google, accusata di aver abusato della posizione dominante del suo famoso motore di ricerca.
Il procedimento, che dovrebbe durare almeno dieci settimane, coinvolgerà un gran numero di testimoni e dovrà stabilire se, come sostiene l’Antitrust americana, Google ha pagato i maggiori produttori di smartphone per inserire di default il proprio motore di ricerca nei loro dispositivi.
Il processo vede il governo americano e più di una trentina di Stati e territori accusare la compagnia di aver creato illegalmente un monopolio, al punto da aver reso mondiale il nome “google” per indicare la ricerca su internet.
Il caso, che si discute alla corte federale di Washington, rappresenta una battaglia legale storica perché stabilirà o meno i confini entro cui i giganti della Silicon Valley possono muoversi nel mondo digitale. Il processo potrebbe avere riflessi non solo su Google ma su tutti i Bit Tech, i cui prodotti fanno parte della vita online di miliardi di persone.
Se Google dovesse uscire sconfitta, sarebbe costretta a ristrutturare il suo sistema, rivedere i profitti e aprire a una concorrenza più larga. Ci sarebbe un impatto anche sull’uso dell’intelligenza artificiale, che andrebbe incontro a nuove limitazioni, perché non riproduca di nuovo un sistema di monopolio.
Nel caso, invece, dovesse vincere in tribunale, la compagnia avrebbe strada libera e il governo ne uscirebbe ridimensionato nei suoi poteri di controllo. L’Antitrust ne uscirebbe ridimensionato.
Il precedente di Microsoft
Il processo arriva venticinque anni dopo quello storico, e il primo che riguardò il mondo digitale, avviato nei confronti di Microsoft, accusata nel 1998 di monopolio per aver inserito di “default”, in automatico, nel suo sistema operativo Windows il motore di ricerca Explorer.
In quel modo la compagnia di Bill Gates aveva tagliato fuori la concorrenza, in particolare Java e Navigator. I due casi sono diversi: Microsoft controllava tutto il sistema, mentre Google è accusata di aver stretto accordi da 45 miliardi di dollari l’anno per convincere i produttori di telefonini, da Samsung a Apple, a inserire il motore di ricerca Google in automatico.
Il primo processo si chiuse tre anni dopo con una sentenza a metà, né di aperta condanna né di aperta approvazione, che però, secondo alcuni analisti, schiuse le porte alla nascita delle start-up, tra cui la stessa Google, per competere nell’era moderna di internet.
Un monopolio anche nel vocabolario comune
Al centro del caso che si è aperto oggi, ma che è nato nel 2020 sotto l’amministrazione di Donald Trump, c’è un monopolio riassunto in un numero: 91. È quello riferito alla percentuale di mercato nel campo della ricerca su internet in mano a Google. La compagnia si difenderà sostenendo di dominare solo grazie al suo prodotto “superiore”, non attraverso tattiche illecite.
A emettere la sentenza non sarà una giuria popolare, ma un giudice, Amit P. Mehta, scelto nel 2014 dall’allora presidente degli Stati Uniti Barack Obama, e considerato uno “non ostile” ai Big Tech. Però è stato lui, di recente, a sottolineare come “Google sia così ovunque da essere diventato un termine globale per indicare la ricerca su internet“. E il “googolare”, verbo universale nell’era digitale, sarà evocato molte volte nelle prossime dieci settimane, in cui sfileranno centocinquanta testimoni e verranno letti documenti, che fanno parte dei cinque milioni di pagine che gli studi legali delle parti in causa hanno raccolto in questi anni.