Marino nuovo allenatore. Di chi le responsabilità tra Polito, proprietà e Mignani?

Sport & Motori

Di

Mignani aveva ottenuto buoni successi con una promozione in B al suo primo anno, ed una finale playoff di serie B, perduta a 100 secondi dalla fine, lo scorso campionato. Nonostante qualche mossa tattica apparsa quanto meno dubbia. Lui era un allenatore che quando stava capendo che vincere era impossibile, piuttosto di non perdere cercava di pareggiare le partite mancando del coraggio necessario di un allenatore per diventare completo e vincente anche se i numeri parlano per lui con 94 gare dirette 43 gare vinte, 32 pareggi e solo 19 sconfitte in due campionati giocati alla grande, compreso questo spezzone di torneo. Numeri non di certo da esonero, però l’andamento di quest’anno è apparso determinante ai fini del prosieguo, troppi i pareggi, una sola vittoria ed una sola sconfitta per giunta in casa della prima in classifica. E in questi casi si sa bene che a pagare è solo e sempre l’allenatore anche quando le responsabilità sono da ricercare altrove, vale a dire tra DS e proprietà.

Un allenatore è pagato anche per fungere da parafulmini ad ogni momento negativo che passa la squadra. A Mignani, evidentemente, non viene rimproverato di aver perso il polso della situazione perché una squadra che si intestardisce, reagisce giocando (male ma giocando) fino a raggiungere il pareggio quando è sotto di un gol non è lo specchio di uno spogliatoio spaccato. Forse la sua eccessiva prudenza nel leggere le partite dove invece che dare il colpo di grazia ha quasi sempre preferito tutelare il pareggio ma se lo ha fatto è perché, evidentemente, sapeva che la rosa messa a sua disposizione non avrebbe contribuito a dare il valore aggiunto per rovesciare un risultato. Di certo Mignani non può e non deve essere ritenuto il solo colpevole di questo spezzone di torneo a trascorso a suon di brodini ospedalieri che alla fine nauseano tutti.

Ora però senza Mignani e con Marino al comando non ci saranno più scusanti per nessuno: non ce ne saranno per i giocatori che dovranno accelerare e cominciare a fare ciò per cui son pagati, ovvero giocare bene a calcio senza amnesie, senza errori, o quantomeno ridurli al minimo (chi è che non sbaglia), non ce ne saranno per i preparatori atletici che dovranno rimettere in condizioni fisiche eccellenti tutti, ma proprio tutti, a partire da Diaw capendo però se si è trattato di un acquisito già partito male, nel senso che è arrivato già recidivo, e comunque che lo rimettano in piedi al pari di altri che appaiono passeggiare in Via Sparano piuttosto che correre, per il DS Polito che pur non avendo mai accampato ad alibi, è il costruttore della squadra e degli allenatori, ma è stato anche un distruttore ancora prima di una squadra capace di far sognare una città intera e 65 mila tifosi l’11 giugno, e poi rifondata con basi ancora sotto certi aspetti oscuri e tutti da decifrare. Lui, oggi, diventa la figura centrale del Bari, su di lui gravano le responsabilità di tutto.

Un mercato gestito male, last minute, pieno di incognite, di giocatori a corto di preparazione, alcuni addirittura non bene dal punto di vista fisico e nessun “nome” capace di infiammare la tifoseria a cui, è risaputo, sarebbe bastato poco, un Coda qualsiasi, per rispondere “presente” in 25-30 mila ogni partita. Ed invece si è preferita la strada della sostenibilità economica che è pur sempre un distintivo della Filmauro e che ha fatto le fortune a Napoli, ma che qui a Bari è parsa come un modo per relegare la squadra a secondaria, quasi fosse una zavorra e questo non è andato giù ai tifosi che avrebbero voluto e preteso ben altre attenzioni considerata la piazza che non è seconda, né riserva di nessuno nel calcio italiano se non alle strisciate, ma se non si dà loro (ai tifosi) la possibilità di dimostrarlo è difficile poi pretenderlo ovvero cullarsi sugli allori di un pubblico numeroso. Il rischio d’ora innanzi e se malauguratamente le cose con Marino dovessero proseguire ad andar male è che si comincino a vedere allo stadio diecimila persone. Forse anche meno. Dunque che si prenda la sua dose di responsabilità anche la società incapace di fornire un budget robusto, senza svenarsi, al DS così da poter mettere a segno colpi importanti.

Poi occorre chiarezza, una volta per tutte. Occorre capire quali sono le intenzioni dei De Laurentiis, se proseguire l’avventura col Bari o se venderlo. Bari sappiamo tutti cosa sia in termini geografici, politici, amministrativi, sociali, antropologici, di indotto. Bari è una città capace di amare ma anche di voltare subito le spalle senza tanti giri di parole. Una città che se solo sollecitata calcisticamente è capace di rispondere in sessantacinquemila ad ogni gara, ma questo, evidentemente, dopo non averlo capito i Matarrese con le loro note paure nell’investire, eliminando le altre due gestioni che, nel dolore, non hanno mai fatto testo perché “senza una lira”, i De Laurentiis lo hanno capito bene ma evidentemente non importa molto delle potenzialità, loro badano al guadagno, all’utile che va possibilmente, di pari passo coi risultati. A Napoli ci sono riusciti, a Bari pure in 5 anni, solo quest’anno sta succedendo qualcosa di anomalo. Un caso isolato? La famosa crisi del secondo anno (si ricordi il Bari di Romairone in C) o c’è sotto qualcos’altro? Perché qui stiamo parlando che le cose non vanno affatto bene per soli tre mesi, mica da anni, il Bari non è reduce da sette sconfitte consecutive per cui una seria e dura contestazione ci sarebbe stata tutta, nessuno è scappato ancora coi soldi, non ha debiti, in fondo le cose fino all’11 giugno sono andate bene. La stragrande maggioranza della tifoseria ha continuato ad aver fiducia in loro così come al loro avvento, Cosa sarà successo? Solo il classico momento negativo che capita a tutti che si può risolvere? O c’è dell’altro? Si vuol mettere in vetrina una società che costi poco così da disfarsene subito? Ecco perché occorre chiarezza.

Se il loro obiettivo immediato non è la serie A che passino subito la mano allora, qui i tifosi non sono disposti ad aspettare altro tempo perché una piazza come questa, soprattutto dopo quante ne ha subite, non merita di galleggiare nella mediocrità tipicamente matarresiana. Il Bari, da 115 anni, per definizione, quando milita in B deve sempre lottare per la promozione, sempre e almeno sette volte su dieci deve riuscirci.

La famiglia De Laurentiis è solida, ha una base imprenditoriale notevole seconda a pochi, ha il fiuto degli affari, però deve capire che da queste parti il calcio deve dare tanto per avere altrettanto se non di più. “Do ut des”, insomma. Altrimenti tanti saranno i Bari Cittadella con 54 spettatori. Anche se il rischio è che a loro poco importerà, sappiamo bene che le contestazioni sotto il Vesuvio da un lato le sono entrate e dall’altro le sono uscite andando avanti lo stesso vincendo lo scudetto e arrivando a un passo dalla finale di Champions. Il rischio è che anche qui possa accadere la stessa cosa senza, però, vincere nulla. Per questo crediamo che occorra molta chiarezza per capire cosa ne sarà del Bari, settima città d’Italia, terzo stadio d’Italia, potenziali 65mila spettatori allo stadio ogni gara se solo sollecitati nelle corde del cuore, e tanto entusiasmo da diffondere.

Ai tifosi vien voglia di recitare una celebre frase di Ovidio dei suoi “Amores”: Perfer et obdura; dolor hic tibi proderit olim: saepe tulit lassis sucus amarus opem”. Ovvero: “Abbi pazienza e un giorno questo duro dolore ti gioverà: spesso una medicina amara porta giovamento al malato”.

Massimo Longo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

CAPTCHA ImageChange Image

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Traduci
Facebook
Twitter
Instagram
YouTube