VIDEO | Operatori umanitari nel mirino, l’Occidente si gioca tutto

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Attacchi a ospedali, ambulanze, convogli umanitari, scuole e altre strutture delle organizzazioni si registrano da tempo in tanti contesti di conflitti

ROMA – “L’azione umanitaria è diventata molto difficile perché, rispetto a 20-30 anni fa, le organizzazioni entrano nei teatri di guerra e conflitto. Per questo finiscono sotto attacco: diventano parte di una valutazione politica dei belligeranti per avanzare le proprie posizioni e ridurre gli aiuti umanitari anche alla fazione opposta”.

Così all’agenzia Dire Sara Pantuliani, direttrice dell’Overseas Development Institute (Odi), nel giorno in cui l’Unrwa, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati in Palestina e in Medio Oriente, denuncia che nella Striscia di Gaza, dall’inizio dell’offensiva militare israeliana seguita agli assalti di Hamas del 7 ottobre, sono stati uccisi 101 operatori: una cifra mai registrata dall’Onu, che lunedì prossimo, nelle sue sedi nel mondo, esporrà bandiere a mezz’asta.

Attacchi a ospedali, ambulanze, convogli umanitari, scuole e altre strutture delle organizzazioni si registrano da tempo in tanti contesti di conflitto. In questo, Pantuliani fa appello a governi e comunità internazionale affinché “agiscano sul piano politico per sostenere e incoraggiare il rispetto del diritto internazionale”.

La direttrice dell’Overseas Development Institute continua: “Quando invece vediamo contraddizioni così forti come quelle di Gaza, dove si fatica addirittura a chiedere un cessate il fuoco umanitario, con un numero di vittime civili così alto e che cresce di giorno in giorno, questo intevitabilmente mette a rischio gli operatori sul terreno”.

Dall’Afganistan all’Ucraina, passando per Paesi come Siria, Yemen, Ciad, Etiopia o regioni come la Striscia di Gaza, il sistema umanitario attraversa “una crisi della legittimità” che chiama le organizzazioni “a ripensare il sistema”, sottolinea Pantuliani intervenendo al convegno internazionale ‘Between a Rock and a Hard Place’.

Organizzato dall’ong Intersos in collaborazione con la Scuola superiore Sant’Anna di Pisa e l’European and International Human Rights Standards in Conflicts and Disasters (Eihrscad), e con il patrocinio di Roma capitale, il confronto permette di mettere in luce le principali sfide del settore a partire dai principi. “Come si fa a essere neutrali quando in certi contesti la popolazione e gli organismi umanitari diventano target degli attacchi?” chiede Pantuliani, introducendo anche il nodo dell’equilibrio tra organismi umanitari e governi: “Prendere fondi dai governi riduce l’indipendenza” osserva, chiarendo che però negli ultimi anni c’è stato un progressivo allontanamento dalla politica, che, però, “ha esposto le organizzazioni agli attacchi di certi partiti che hanno basato anche campagne elettorali su questo”.

In primo piano poi il tema della necessità di collaborare coi governi o le autorità che detengono il controllo del contesto dove ha luogo la crisi. “In Afghanistan- evidenzia Kostas Moschochoritis, direttore generale di Intersos- abbiamo dovuto negoziare l’accesso coi talebani, che hanno acconsentito perché consapevoli che la popolazione necessita di aiuti e servizi. Ma ci sono stati altri contesti, come Mosul o il Lago Ciad, dove la negoziazione con i gruppi armati per avere accesso alla popolazione e garantire aiuti umanitari è stata impossibile”.

“NELL’EST DELL’UCRAINA NIENTE CORRIDOI, 4 MILIONI DI PERSONE LASCIATE SENZA AIUTI”

Oppure l’Ucraina, in particolare nelle zone del Donbass che sfuggono al controllo ucraino, dove “da un anno- riferisce il capo missione di Intersos in Ucraina, Vangelis Tsilis- le organizzazioni cercano di ottenere l’apertura di corridoi umanitari. Ma entrambe le parti si oppongono: la Russia non ci dà la il ‘security clearence’, ossia il nulla osta per la sicurezza, mentre il governo ucraino avverte che le organizzazioni che operano in quelle regioni subiranno ripercussioni nei programmi portati avanti nel resto del Paese”. E così “4 milioni di persone non ricevono gli aiuti umanitari necessari”.

Tsilis inserisce nel dibattito un altro elemento chiave: “Le organizzazioni devono prevedere interventi di sviluppo come parte di una efficace risposta a una emergenza. Spesso invece, ci si ferma a programmi di aiuti di base e ad azioni a breve termine”.
D’altra parte, anche i donatori – che possono essere governi, organizzazioni internazionali o attori privati – a volte pongono dei limiti, avverte Delphine Pinault, di Care International:
“Ci sono donatori che in certi contesti di conflitto ci chiedono di non lavorare con determinati organismi locali”; e questo porrebbe un grande problema, perché “noi dobbiamo agire sul terreno e con tutte le parti”.

IL SISTEMA UMANITARIO, RICETTA OCCIDENTALE CHE SI STA ESAURENDO

Ad approfondire il punto è Antonio Donini, co-fondatore di United Against Inhumanity e membro del Consiglio di Intersos: “Oggi la spesa umanitaria ammonta a 50 miliardi di dollari, e spesso l’Occidente la usa come strumento di influenza”. D’altronde, ricorda l’esperto, “il sistema umanitario è nato dopo la Seconda guerra mondiale ed è gestito principalmente da Nazioni Unite, Croce Rossa, varie organizzazioni non governative e governi occidentali, che agiscono guidati dai loro valori culturali: cristiani da un lato, e dell’illuminismo dall’altro”. Donini continua: “Credo che questo sistema però si stia esaurendo. È difficile prevedere il futuro e intanto le crisi si aggravano. Dovremo accettare il multilateralismo e l’ingresso di nuovi attori – come quelli asiatici, tra cui Cina e India – col loro bagaglio di valori e visioni che mettono in discussione l’attuale sistema”. Che è già indebolito, ad esempio dall’uso indiscriminato delle armi sui civili. “Lo stiamo vedendo a Gaza” denuncia l’esperto, aggiunge che in Occidente “nessuno ha sollecitato il rispetto della Convenzione di Ginevra“, a differenza di Paesi come Russia, Cina, Sudafrica e Brasile, che hanno fatto appello al cessate il fuoco./ fonte Agenzia DIRE e l’indirizzo www.dire.it

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