Oggi a Il Corriere Nazionale abbiamo il piacere di ospitare la dott.ssa Salvaterra con questa intervista scientifica.

Interviste & Opinioni

Di

Stefania P. Nosnan

Dottoressa Salvaterra ci parli del suo saggio The Ethics of Human Stem Cells from the First Transplantation to 3D Bioprinting:

Il libro in esame affronta il tema dell’impiego delle cellule staminali di origine umana per terapia e ricerca in chiave etica, giuridica e sociale. In particolare, si sofferma sulla donazione del sangue cordonale, le banche di sangue, cellule, tessuti, per terapia e ricerca, il consenso informato, la stampa di tessuti e organi in 3D per applicazioni biomediche. I temi menzionati sono approfonditi dal punto di vista teorico e pratico attraverso studi qualitativi che pongono al centro il donatore, il paziente, le loro famiglie esplorando opinioni, aspettative, desideri e esperienze dei medesimi con riguardo alle pratiche mediche di volta in volta condotte. Sotto il profilo etico e, prima ancora, umano ed esistenziale è importante considerare che gli avanzamenti scientifici, e in particolare medico-scientifici, hanno a che vedere con l’essere umano (sia esso paziente o donatore o paziente-donatore) e trovano, in esso, un termine di riferimento essenziale, più che un limite. La scienza medica ha il compito di migliorare le cure esistenti o introdurne di nuove nel rispetto dell’essere umano considerato nella sua complessità. Eticamente non si pone, solo, un dovere o obbligo di rispettare l’individuo in tale dimensione ma anche un dovere di valorizzarne la libera scelta in attuazione del suo pensiero e sentire più profondo. In alcuni casi i contenuti di tali doveri diventano ancora più importanti e preoccupanti in quanto ci si confronta con il possibile superamento di limiti naturali, come è nel caso del bioprinting o stampa 3D di cellule, tessuti, organi.

Ci spieghi il trapianto attraverso una stampa 3D con cellule umane?

In termini generici il trapianto di biocostrutit tridimensionali (es., organi tessuti) avviene nel modo in cui si svolge un trapianto di materiali biocompatibili (che non contengono cellule viventi) o un trapianto di tessuti, cellule, organi umani naturali ovvero non sottoposti a processi di bio-ingegnerizzazione e digitalizzazione. Sia nel caso della stampa 3D di materiali biologici viventi, sia nel caso della stampa 3D di costrutti artificiali con componenti biologiche viventi, il trapianto richiede competenze altamente specializzate. Specialmente nel campo del bioprinting – stampa in 3D di costrutti viventi – si pongono esigenze precipue in relazione alla vitalità delle cellule e tessuti impiegati e alla funzionalità dei medesimi una volta incorporati nell’organismo umano. In parole semplici, si tratta di impiantare nel corpo umano tessuti e organi che hanno una componente biologica naturale e una componente artificiale con l’obiettivo di “farli funzionare” al meglio nell’organismo in cui vengono inserite.

Dove è avvenuto il primo trapianto di questo genere e che benefici comporta una tale operazione?

Il primo trapianto di una struttura cellulare vitale stampata in 3D è stato eseguito negli Stati Uniti d’America nel 2022 e ha avuto successo. Si è trattato di un trapianto autologo di un orecchio stampato in 3D dopo avere ingegnerizzato, secondo la tecnologia del bioprinting, l’organo costruito mediante l’uso  delle cellule staminali provenienti dal paziente stesso. Il trapianto è stato discusso nella comunità scientifica internazionale e fra il pubblico e lascia ben sperare per il futuro.

Questa tecnica può essere considerata il futuro dei trapianti?

Gli scienziati che operano nel campo hanno fiducia nello sviluppo futuro della biofabbricazione pur mantenendo una ragionevole cautela. Esistono, ancora oggi, limiti di carattere scientifico importanti da affrontare nei prossimi anni. Esistono, inoltre, problemi economici associati allo sviluppo del 3D bioprinting nella pratica corrente. Tale tecnologia è molto costosa e dispendiosa, in quanto ogni tessuto o organo stampato in 3D è personale e unico per il paziente che lo riceve e dunque non è  una produzione standardizzabile. Esistono, inoltre, problemi legati alla creazione o all’adattamento di laboratori attrezzati per sviluppare tale tecnologia in accordo con regolamentazioni adeguate, che, allo stato attuale, non esistono. Si è alla fase di starting point per lo sviluppo del bioprinting come pratica corrente: occorre costruire le strutture ospedaliere per stampare tessuti e organi in 3D, formare il personale, sviluppare framework etici e normativi ad hoc. In tal senso, occorre anche adottare regolamentazioni ad hoc nel campo dei diritti di proprietà intellettuale. D’altra parte, ciò è avvenuto per ogni svolta importante nel campo della medicina e della scienza in senso lato. Molti ritengono che il 3D bioprinting sia la quarta rivoluzione industriale.

L’Italia investe sulla ricerca?

Gli Stati Uniti d’America, per quanto distanti dai modelli dei decenni precedenti, restano il primo Paese al mondo per investimenti nel campo della ricerca scientifica, inclusa quella biomedica e biotecnologica. Gli USA continuano a rappresentare la meta e il sogno di molti studiosi (inclusa la sottoscritta) che trovano limiti insormontabili nei Paesi europei come in quelli asiatici. l’Italia, notoriamente, investe poco nel campo della ricerca medico-scientifica e spesso disperde un capitale finanziario già limitato in strutture e personale non adeguatamente preparati dal punto di vista tecnico. Senza considerare la specialità del 3D bioprinting, l’Italia è un Paese in cui esami diagnostici importanti per lo screening e il monitoraggio dei tumori, ad esempio la biopsia liquida, non sono diffusi ma limitati ad alcune strutture sanitarie e tipologie tumorali limitate. Parlo di centri clinici e di ricerca avanzati e non di ospedali territoriali. L’effetto di tali limiti strutturali è privare o limitare significativamente i pazienti di metodi diagnostici e terapeutici che potrebbero salvare loro la vita o prolungarla migliorandone la qualità. Pur permanendo l’atavico problema della mancanza di investimenti nella ricerca, una distribuzione trasparente e qualificata degli stessi garantirebbe una minore dispersione, a partire dai contesti accademici italiani in cui, notoriamente, ricercatori e professori sono largamente posizionati sulla base di dinamiche clientelari e conniventi. Ne parlo per esperienza personale avendo scelto di non continuare la carriera accademica in Italia proprio per i numerosi ostacoli incontrati per la mancanza di una cultura del merito che ho, al contrario, trovato negli USA. Credo sarebbe opportuno, a partire da un orizzonte etico e giuridico, riconsiderare il fenomeno della cooptazione per consentire l’accesso, ai contesti di ricerca – soprattutto accademici – da parte di studiosi che possano sostanzialmente contribuire a un avanzamento della conoscenza nel campo scientifico come in quello umanistico, a beneficio dei pazienti e della comunità civile in senso lato.

N.B. con l’invio delle riposte allegare anche una foto personale.

Stefania P. Nosnan

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