Festival di Sanremo 2024: recensione della seconda serata

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Non è ancora accaduto nulla di disastroso”, scrivevo appena ieri e in meno di 12h tutto è cambiato. Dite che gliel’ho tirata? Nah, secondo me il Festival si è solo tolto la maschera del bel prodotto degno e di intrattenimento ironico di cui si era vestita la prima serata – per cui ringraziamo ancora Mengoni. Bastano due parole per definire la seconda: ridicola e noiosa.

Avvaloro la mia tesi con i fatti, qualora il calo degli ascolti non fosse già un indicatore da considerare.

RIDICOLA. Ci ha messo pochissimo Amadeus, complice in questo caso di Fiorello (quanto mi dispiace dover ammettere la sua colpa), a rendere la gara canora più importante d’Italia in un teatrino imbarazzante che ha messo in ridicolo loro stessi e la star di fama mondiale John Travolta. La gag infelice del “Ballo del qua qua” ha sin da subito destato in me sospetto di non essere stata approvata dall’attore hollywoodiano. Mi son detta: “Non posso crederci che abbia firmato una liberatoria per questo squallido siparietto” e, infatti, signori e signore, stamattina si è scoperto che non l’ha fatto e, quindi, lo sketch è stato rimosso da Rai Play. Ma è sufficiente nel 2024? Certo che no, il web ormai ha tutto schedato nei propri archivi e liberarsene non è cosa facile. Vero o no che sia andata esattamente così, quel momento rimarrà nella storia, ma nella storia delle brutte e indegne figure di noi italiani. Travolta sarà così tanto risentito dell’accaduto – e sfido chiunque del suo calibro a non esserlo – che non solo non tornerà mai, ma ovviamente non potrà più spendere parole di stima per il nostro Festival e per i due campioni che hanno inscenato quel disastro. Ancora una volta non siamo riusciti a toglierci il marchio dispregiativo del “ma sono italiani” come a voler dire “che ti aspettavi?!”. Complimentissimi, ottima giocata.

Se vogliamo poi aggiungerci la ciliegina sulla torta, toccando picchi quasi di comicità, lo stesso Travolta è stato accusato di pubblicità occulta per aver indossato un paio di sneakers di cui è testimonial e che non sono ancora in commercio, al fine di poterle anche sponsorizzare sui social prima del lancio. Il tutto è avvenuto davanti al presidente dell’azienda produttrice delle scarpe incriminate, seduto in prima fila in platea. Il Codacons ha già presentato un esposto ad Agcom e Antitrust. Ebbene sì: distogliere l’attenzione dalle canzoni, check!

Ma c’è di peggio, miei cari, e se non ve ne siete accorti dobbiamo, ahimè, confermare la già evidentissima e drammatica urgenza di educare sul tema il popolo italiano. Ma in modo corretto. Mi riferisco all’altro siparietto discutibile tenuto dal cast di Mare Fuori 4: encomiabile l’obiettivo, geniale il mezzo scelto per sensibilizzare i più giovani, ma terrificante nel contenuto. L’equazione ci porta a valutarne la resa inutile. Gli attori hanno recitato lo scritto di Matteo Bussola “Le nuove regole dell’amore”, un testo che, anche se non ne avessimo conosciuto la paternità, avremmo capito che fosse opera di un uomo il quale non ha la minima competenza in materia di femminicidio e violenza di genere. Abbiamo assistito a un pot-pourri di retorica squallida non focused su quelle che sono le vere e tragiche problematiche della nostra attualità. Non è stato fatto alcun riferimento al patriarcato, alla cultura dello stupro, alla mascolinità tossica, al concetto di consenso e a tutto ciò che purtroppo noi donne conosciamo bene e che in questi giorni è materia di discussione a livello europeo – discussione in cui ovviamente l’Italia non interviene (tanto i dati statistici parlano da sé). Assumersi il rischio di portare sul palco dell’Ariston un monologo corale di quel tipo, presuppone non solo che arrivi da chi conosca a pieno il tema che sta toccando, ma anche che non si limiti a considerazioni teoriche sull’amore da Baci Perugina o dichiarazioni di responsabilità comune non attinenti alla realtà. Se una donna muore ogni tre giorni nel nostro Paese, non è una responsabilità comune, è responsabilità dell’uomo e dello Stato con le sue istituzioni. Sicuramente non di noi donne. Quindi, mi dispiace Bussola ma non “Dipenderà da noi”, come hai scritto. Dipenderà da voi! E, perciò, piuttosto che inneggiare alla sensibilizzazione delle coscienze in questo modo inefficace e non più sufficiente ad avviare un processo di debellazione del fenomeno, sarebbe stato meglio concentrarsi sulla sterile promozione della nuova stagione della serie tv (che tra l’altro, va detto, non ne aveva alcun bisogno).

NOIOSA. Non so se parlare di unpopular opinion, ma il tempo sembrava non passasse mai. Siamo tutti d’accordo: Giorgia è una stella della musica italiana nel mondo, voce da brividi, così precisa e comunicativa da lasciarci sempre a bocca aperta come fosse la prima volta, a dimostrazione di una carriera da record, costruita e portata in alto quando ancora di tutta la tecnologia da cui siamo bombardati oggi non se ne vedeva l’ombra e né si pensava potesse impattare così prepotentemente sul mercato discografico. Quindi solo applausi per la lei cantante. Peccato non poter dire lo stesso per la lei co-conduttrice. Ci ha provato con tutta sé stessa, con battutine e facce buffe e dell’impegno profuso le va dato merito, ma proprio non è il ruolo che le si addice. Il che ci può stare, però l’intrattenimento deve categoricamente esserci in più di cinque ore di diretta televisiva. Ci sono state, invece, solo molte pause wc, cibo e scrolling dei social per sopperirne la mancanza. Fatta eccezione per il medley, sia ben inteso, un po’ vecchio stile ma wow, che forte emozione.

Momento balera incommentabile e, a parte quanto fin qui detto – su cui non mi dilungo oltre -, l’unico spazio meritevole di coccarda dorata da primo premio assoluto va allo spontaneo, potentissimo e struggente discorso del maestro Giovanni Allevi. Lo riporto qui di seguito quasi integralmente perché spesso mi capita di ritenere ciò che leggo più incisivo nella mia memoria, rispetto a ciò che ascolto e voglio che questo sia uno di quei casi, sia per me che per voi.

All’improvviso mi è crollato tutto. Non suono più il pianoforte da quasi due anni. Nel mio ultimo concerto il dolore alla schiena era talmente forte all’applauso finale che non riuscivo ad alzarmi dallo sgabello, e non sapevo ancora di essere malato. Poi è arrivata la diagnosi: ho guardato il soffitto per un anno consecutivo. Ho perso il mio lavoro, i capelli, ma non la speranza e la voglia di immaginare. Era come se il dolore mi porgesse dei doni inaspettati: non molto tempo fa, prima di tutto questo, ho notato una poltrona vuota in un teatro tutto pieno. Mi sono sentito mancare. Eppure a inizio carriera ho suonato per 10-15 persone ed ero felicissimo. Oggi, dopo la malattia, non so cosa darei per esibirmi davanti a 15 persone. I numeri non contano. Ognuno di noi è unico e irripetibile, e a suo modo infinito. Un altro dono è la gratitudine di fronte alla bellezza del creato. Non si contano le albe e i tramonti che ho ammirato dalle stanze di ospedale. E ancora la riconoscenza per il talento dei medici e degli infermieri, per la ricerca scientifica, senza cui non sarei qui. Per il sostegno della mia famiglia e l’affetto e l’esempio che ricevo dagli altri pazienti. Li chiamo i guerrieri. Lo sono anche i loro familiari, e i genitori dei piccoli guerrieri. Li ho portati tutti con me sul palco, anime splendenti. Meritano un applauso. Ancora un dono. Quando tutto crolla e resta solo l’essenziale, il giudizio che riceviamo dall’esterno non conta più. Il cielo stellato può continuare a volteggiare nelle sue orbite perfette. Eppure sento che in me c’è qualcosa che permane, e che penso permarrà in eterno. Io sono quel che sono. Voglio accettare il nuovo Giovanni. Che mai sarà il giudizio dell’esterno?”.

Che non serva una malattia per ricordarci tutto questo ogni giorno. L’accettazione di sé e la gratitudine nei confronti della vita sono virtù preziose da preservare per vivere sempre un domani migliore.

Ah sì, non ho parlato delle canzoni. Parecchio in secondo piano considerando tutto quello che è successo vero? Inevitabile, ma in fondo le abbiamo già sentite tutte e trenta un giorno fa (facendo le ore piccole) e i social ci hanno già distrutto le orecchie con le hit e i balletti. Il televoto e le radio hanno fatto il loro gioco e Napoli è Napoli, ancora una volta lo dimostra. La musica deve aggregare la gente e Geolier ci riesce evidentemente più di altri, anche per chi sa bene cosa piace al pubblico. Bisogna allora capire che Saremo vogliamo, uno da “anema e core”, come testimonia anche il secondo posto di Irama – rivalutato molto con un secondo ascolto forse per quella sua emotività palpabile che trafigge –, oppure uno fake leggero da cantare ogni giorno in macchina. Il limite è sottile perché in macchina ormai si canta di tutto, però rende l’idea.

Al di là dell’elettroshock della classifica provvisoria nonostante le 2 di notte, tendenzialmente le esibizioni si sono susseguite durante la serata senza grandi aspettative – se non relative al FantaSanremo (qualcuno si è finalmente un po’ svegliato) – e l’esperimento della conduzione da parte dei cantanti stessi è stato fallimentare. Nessuno aveva voglia di farlo, palese. Le case di moda che li vestono però ringraziano, più occasioni di sfoggiare loro look. Menzione speciale solo per Dargen D’Amico e Diodato che hanno ricordato a tutti i titolisti e i leoni da tastiera meloniani che mandare messaggi di pace non è un atto politico ma un atto d’amore, di umanità.

Per stasera sono fiduciosa (sì lo so, non sembrerebbe). La Mannino è mitica.

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