Il mondo delle relazioni sentimentali d’oggi. Intervista alla scrittrice Angela Giordano

Arte, Cultura & Società

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Siamo in un’epoca in cui l’individualismo e l’ego primeggiano su tutto. Ciò influenza inevitabilmente anche le relazioni sentimentali caratterizzate da una forma di precariato senza precedenti. Molte sono le storie di donne e uomini disillusi che a causa delle loro delusioni spesso si ritrovano a non credere più nell’amore e nel tanto agognato lieto fine.

La scrittrice Angela Giordano nel suo romanzo “Storie di precariato sentimentale e altri abbagli” edito da Rossini affronta la tematica in modo inedito con una protagonista degna di nota, Eva nella quale sarà facile immedesimarsi e affezionarsi. Eva dalle origini campane ma trapiantata a Genova, in seguito alla morte di Dario, il fratello minore scrive pagine a lui dedicate raccontandogli quello che accade a lei e alle sue amiche sul complesso mondo dei sentimenti odierni.

Eva è una giovane donna curiosa e che nonostante le delusioni e i dolori attraversati durante la sua esistenza non ha smesso mai di riporre fiducia nel prossimo e nel potere del raccontare.  Per assecondare questo suo bisogno vitale crea un blog nel quale confrontarsi con altre donne che vivono relazioni instabili e precarie.

Quello di Angela Giordano è un romanzo che infonde ottimismo e ci proietta nel multisfaccettato mondo delle relazioni sentimentali insieme ad una moltitudine di personaggi ben delineati psicologicamente e dalle mille sfaccettature. Questo romanzo denota molta sensibilità da parte dell’autrice. Una lettura piacevole che fa sorridere e riflettere al tempo stesso.

 

Di precariato sentimentale e di amore ed educazione ai sentimenti e alle emozioni conversiamo con Angela Giordano in questa intervista ispiratoria.

Angela, come e quando è nata la tua passione per il mondo della scrittura?

I miei, a casa, usavano lasciarsi messaggi di carta sul tavolo, liste della spesa in stampatello, brevi comunicazioni di servizio, ai tempi, non esisteva Whats App e quindi questi biglietti venivano lasciati in bella mostra. Prima dell’inizio del mio percorso scolastico, guardavo questi “segni” su ritagli di carta, che generavano delle risposte, dei comportamenti. Ne ero affascinata, ed ero ancora di più attratta da quella opportunità. Mi venivano letti ad alta voce, e ad ogni segno corrispondeva un suono, l’unica cosa che ero arrivata a capire era l’incipit, chiaramente, che mi risultava familiare, ripetuto. Messaggi semplici e brevi, in stampatello. “Ciao, sono andata a messa” oppure “Ciao, sono sceso a comprare il pane”. Rassicuravano, organizzavano, riempivano gli spazi vuoti dell’assenza, cosi la prima parola che riuscii a copiare, con una scrittura tellurica, mentre mio padre mi teneva la mano, fu appunto: “CIAO”. In effetti, avrei saputo dopo di aver appena risolto il 90% della conversazione epistolare, in rapida evoluzione, da allora in poi.

Da ghostwriter ad autrice di “Storie di precariato sentimentale e altri abbagli” edito da Rossini. Come lo vivi questo esordio con la tua firma?

La firma è responsabilità. Ogni lavoro ne richiede, ma la firma mette la parte segreta e profonda di te a contatto con il mondo esterno, e questa è la parte difficile, che riesci a gestire solo se pensi di stare facendo qualcosa di buono e magari, di utile.   

 

Nel tuo romanzo affronti la tematica attuale del precariato nel mondo delle relazioni sentimentali. C’è ancora posto per “l’amore vero” in questa società incentrata sull’individualismo?

Precariato Sentimentale è un titolo che è venuto da sé, è la difficoltà ad ottenere e di concedere anche, un ingaggio a tempo indeterminato, ma non vi è traccia di pessimismo in questa analisi della contemporaneità delle relazioni sentimentali, bisogna attendere, mettersi in ascolto, prima o poi, ci si incontra e ci si riconosce. Quello, per me è l’incontro “vero”, di cui parli. Esiste. È solo una combinazione di elevata complessità a separarci dall’amato bene, quello che dura. Bisogna procedere, andare “verso”, prima o poi ci si inciampa. Ne sono convinta.

Cosa intendi tu per “amore vero”?

Quello incondizionato, che ti mette di fronte all’altro e a te stesso senza riserve, a tuo agio senza sforzo, e che naturalmente ti migliora, facendoti evolvere, andare avanti. Quello che racchiude in sé un progetto. Su tutto, quello per i figli.

 

Eva, la protagonista del tuo romanzo è una sognatrice e crede ancora nell’arte della gentilezza e nei sentimenti nobili e autentici. Molti vorrebbero un’amica così. A chi ti sei ispirata per creare questo personaggio?

A mia figlia, e a molte delle mie amiche, ciascuna di esse ha in sé un pezzetto di Eva, la prima donna di cui ho scritto. La gentilezza e il coraggio sono ancora validi segreti del vivere bene, al mondo.

Per superare l’egocentrismo dilagante quanto importante sarebbe educare le nuove generazioni alle emozioni e ai sentimenti? 

Educare sentimentalmente è necessario, dovrebbe essere possibile a tutti ricevere una adeguata indicazione verso sentimenti elevati, di generosità, di condivisione, di empatia. Spesso ciò non accade, e le conseguenze riempiono le tragiche storie di cronaca. “Queste cose” si imparano, non sono innate, e ciascuno di noi  deve saper cogliere ogni opportunità, per raggiungere questo stadio di consapevolezza e di conoscenza sentimentale, dando un “nome” a ciò che prova tanto per cominciare, e cercare attraverso gli esempi migliori che incontra nel suo percorso, non necessariamente in famiglia o a scuola, anche in un libro, in un film, un modo per decodificare le emozioni e trasformarle in sentimenti, che essendo facoltà cognitive e acquisizioni , si raggiungono nel tempo, con tenacia, fiducia, introspezione, quindi con uno sguardo al sé, e come in una sorta di strabismo, anche con un occhio all’altro.  

Un consiglio che daresti ad un giovane scrittore che vorrebbe trovare una casa alle proprie storie…

l mondo è pieno di giovani scrittori, questo è già motivo di grande speranza. Scrivere, lo dico spesso perché ci credo, è una funzione sociale. Si concorre al presente, si riempie uno spazio bianco, ci si libera e si contribuisce a dare qualcosa di sé, a lasciare una traccia, per conservare una memoria storica di un evento o per  funambolico vizio di fantasia. Scrivere una storia è anche un atto politico potente, necessario, ed è per questo che ciò che mi sento di dire è di rincorrere “storie di libertà”, che è la caratteristica principale di ogni scrittore. 

Progetti futuri…

Ho già scritto un altro libro, che attende solo le stampe, e come si dice alla fine di ogni bella favola, “ma di questo parleremo la prossima volta …”

 

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