Il caso del caso ed i creodi

Scienza & Tecnologia

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parte 3^

Il premio Nobel Carlo Rubbia, professore di fisica all’Università di Harvard, ex direttore del Cern dichiara: “Parlare di origine del mondo induce inevitabilmente a pensare alla creazione e, guardando alla natura, si scopre che esiste un ordine troppo preciso che non può essere il risultato di un “caso”, di un equilibrio tra “forze” come noi fisici continuiamo a sostenere. Credo che per noi sia più facile mettere in evidenza l’esistenza di un ordine prestabilito nelle cose”.

Ma cos’è il caso? Cos’è ed esiste ancora una realtà oggettiva? La realtà è quella che sperimentiamo nel mondo macroscopico o è quella del mondo quantistico?

Alcune risposte sono possibili e vediamo quali.

 Il caso del caso

Per cosa si intenda per “caso”, i dizionari recitano: “coincidenza, combinazione” e poi le espressioni: “non lasciare niente al caso, un caso sfortunato, un capriccio del caso, per puro caso”.

In relazione ad un incontro casuale o un evento commentiamo “non me l’aspettavo” oppure “doveva andare proprio così” espressioni che denotano imprevedibilità ed una sorta di fatalistica accettazione: a tal riguardo leggeremo la lezione di Nietzsche sul “caso” e l’accadere del “caso” nell’esistenza di ciascuno.

Il caso e il soggetto

Da una parte, si suggerisce che l’individuo non sia in grado di individuare le ragioni, la causa di un evento e, dall’altra, che un evento non nasconda alcuna causa di fatto, oggettiva e valida per tutti: su ambedue le ipotesi o soluzioni proposte si sovrappongono diverse e, a tratti, convergenti interpretazioni.

Il caso è un evento eccezionale, appunto casuale, in un mondo ed in una natura sorretti da regole “naturali”?

Già Epicuro si rimetteva alla παρέγκλισις, “inclinazione”, che nel “De rerum natura” Lucrezio chiamerà “clinamen”, ovvero “deviazione” degli atomi dal loro tracciato cosicché il loro movimento è legato a casualità ed imprevedibilità.

Hume riduce la spiegazione del “caso” alla osservazione di accadimenti che si ripetono nel corso del tempo, fenomeni

che definisce “abitudine”: una sorta di teoria della probabilità mentre per Kant “Nulla avviene per un cieco caso”.

In tempi più recenti, per Monod sulla nostra terra la vita avrebbe potuto non nascere ed è il “caso” ovvero un evento ad averla determinata ma una casualità che si accompagna alla necessità.

Il caso, il caos ed il creodo

Esiste un rapporto, una correlazione tra questi modi di dire ovvero tra i concetti di casualità, determinismo, tra una realtà ordinata, armonica ed un’altra caotica, disordinata, tra caso e caos?

“Il chaos fu per primo” scrive Esiodo e, come ci consegna, il mito solo poi vennero Concordia ed Eros per mettere ordine al disordine.

Il caos si nasconde e coesiste col cosmos? E cos’è il chaosmos?

Waddington, in ambito biologico, innova studi e linguaggio con il neologismo “creodo”, dal greco “chre”=necessità e “hodos”=sentiero che esemplifica e raffigura con l’immagine di una sfera o una palla che precipitano da una collina, con le regioni ed i pendii, la pallina procede in modo casuale e rappresenta, appunto, il creodo.

Le configurazioni che si vengono a creare incidono sui percorsi e diversi fattori ne possono ostacolare un normale sviluppo.

La formazione di ogni corpo dipende non solo dall’apporto dei geni ma dal ruolo che giocano le differenti modalità di “espressione” dei geni: ragione per cui gli organi umani sono differenziati.

La probabilità

La materia da cui sorge il vivente è magmatica, indefinibile nella sua infinitezza, vano è ogni tentativo di descriverla e contenerla nell’ordinario, nell’inconsueto in quanto momenti di rivolgimento portano all’inaspettato, all’imprevedibile.

Nel mondo e nel nostro privato non incontriamo indecidibilità tra vero e falso, contraddizioni, incertezze, imprevedibilità e singolarità?

La risposta è di tutta evidenza, come direbbe chi pratica il metodo scientifico-sperimentale.

L’insensatezza, l’inesatto, il probabile, l’indescrivibile, il “caso” non è fuggito dagli umani come gli dei.

L’amore per “il chiaro e distinto” vive le aporie del paradosso che non appartengono solo alla scienza ma sono innervati alla vita, ci costituiscono: abitiamo l’inconcludenza e cerchiamo chiarezza per ritrovarci accanto e sperimentare il paradosso.

La mente umana è retta da passioni incontenibili e indomabili, ci caratterizza la συμπάϑεια che è anche un soggiacere alle passioni e se si subisce uno status se ne è, appunto, succubi : “la qualità interiore, per l’uomo, è un dèmone”, “ἦθος ἀνθρώπῳ δαίμων”, insegna Eraclito.

L’ordine, la misura, la compostezza, l’apollineo non ci appartengono e forse è stata non bene intesa la voce di Nietzsche.

 La natura in filosofia ed in fisica

Le radici del pensiero sono nel mondo della natura e del soggetto.

Nessuno è un microcosmo isolato in sé stesso “l’immagine dell’uomo come microcosmo riflesso del macrocosmo conserva il suo valore: chi conosce l’uomo conoscerà l’universo” (Thom ).

La fisica per alcuni pare abbia sostituito, nella riflessione sui principi di esistenza e funzionamento del mondo, ogni altra voce interpretativa mentre la filosofia viene identificata con la corriva e storica accezione di pensiero metafisico rivolto ad un perenne “altrove ed assoluto” quindi ad un pensare opposto, inconciliabile col pensare scientifico teso ad indagare “provando e riprovando” la natura dell’ universo: interpretazioni consolidate anche nel comune sentire.

E’ solo la scienza che può predicare in relazione a questi temi oppure la poesia, l’arte, il romanzo e la filosofia hanno già elaborato un discorso?

Prima del metodo scientifico-sperimentale con cui nasce la scienza, la filosofia ha riflettuto, con i Presocratici, sulla natura, la ϕύσις del filosofo è la stessa natura interrogata ed interpretata dalla fisica che come la filosofia si radicano, non in un altrove, ma nel mondo.

L’interrogazione della natura è portata avanti tanto dal filosofo quanto dallo scienziato col suo metodo scientifico: la filosofia pensa e la scienza non è da meno.

Il filosofo non guarda e non sta le/sulle nuvole infatti quale novello Prometeo che porta all’umanità il fuoco “rivendica” ovvero dimostra, verifica filosoficamente-scientificamente di aver pensato come fa lo scienziato col suo metodo scientifico.

La letteratura non è da meno del pensiero filosofico e delle raffinate interpretazioni della fisica per capacità di analisi.

“Che la materia pensi, è un fatto. Un fatto, perché noi pensiamo; e noi non sappiamo, non conosciamo di essere, non possiamo conoscere, concepire, altro che materia … ciascun di noi… sente che egli pensa con una parte materiale di sé, cioè col suo cervello, come egli sente di vedere co’ suoi occhi, di toccare colle sue mani” (Leopardi).

Se come scrive Giacomo “non possiamo conoscere, concepire, altro che materia” allora la MOI di Riccardo Manzotti riceve una conferma da lontano e ancora prima di Leopardi in quanto relaziona il soggetto al mondo, alla φύσις e qui torna a far capolino anche il mito che sembra avere la stessa essenza strutturale della “φύσις” (forza che cambia e trasforma) più che della “ ὕλη” (materiale per costruzione).

 Democrito e Lucrezio

E’ utile intraprendere un cammino a ritroso per andare alla radice di un palinsesto culturale appesantito dalle tante trascrizioni storiche che necessitano di un finissimo “labor” limae per risentirne la voce autentica e, in particolare, un ritorno

a Democrito e Lucrezio per il quale ultimo “tutto si trasforma” come conferma la quantistica che affonda lo sguardo nell’ignoto, nelle trasformazioni della materia, accompagna e illustra i segreti dello strano mondo quantisticoche ricordano le avventure di Alice nel paese delle meraviglie.

La mente e lo sguardo di Lucrezio vanno oltre la superficie delle cose e vedono già il vuoto che preconizza l’indeterminazione di Heisenberg e Planck, prefigurano la teoria dei molti mondi prima di Giordano Bruno e della meccanica quantistica e di Hugh Everett III e DeWitt.

 Gli oggetti tra arte e scienza

L’immagine retinica di un oggetto percepito varia in continuazione, tuttavia esso viene percepito come lo stesso oggetto finché le sue variazioni non lo perturbano troppo: è questo il problema della stabilità strutturale e del cambiamento.Una dimensione metamorfica, dinamica, plastica, registrata, in forme diverse all’inizio del novecento,  nell’arte: con l’espressionismo ed il futurismo.

L’arte ha lavorato sull’idea di creazione, più che di clonazione, molto prima della biologia.

La scienza, di un quadro, misura le coordinate rispetto alle pareti della stanza,si pone il problema della chimica dei pigmenti, scende ai livelli quantizzati di molecole e atomi che restituiscono i colori. Non si domanda qual è il senso dell’arte e del messaggio dell’artista e predisponndo  lo spazio alla parola estetica.

Eppure “la scienza e l’arte hanno in comune il fatto di riconoscere che la realtà è un insieme più complesso di quello che possiamo vedere” (Rovelli).

Gli oggetti nel mondo atomico

 Gli oggetti del nostro mondo non si comportano come gli oggetti del mondo atomico.

La sedia, dice Rovelli, per la quantistica non esiste, esistono e si danno solo relazioni tra cose ovvero non esiste uno stato d’essere degli oggetti.

Nel profondo della materia, non esiste uno stato d’essere degli oggetti, essi non esistono separati, i fenomeni non sono la somma di elementi singoli: la realtà è un tessuto di relazioni che intercorrono tra gli oggetti, la natura presenta un’organizzazione a noi invisibile, ed è strutturata come totalità.

Si passa dalla solitudine dell’oggetto alla relazione, dal singolo punto di un ricamo alla magnificenza dell’opera compiuta: un salto paradigmatico.

Quella sorta di superbia isolazionistica e di silenzio ontologico degli oggetti viene meno grazie alla quantistica che li fa incontrare ed interagire.

“La fisica si occupa solo di quanto possiamo dire della natura, la quantistica si pone la domanda ‘quale particella vede un’altra?’ e della proposizione ‘Ci sono eventi e non enti’ ovvero si chiede quali siano le interazioni delle particelle elementari nella materia, nella realtà della natura” (Bohr) e la risposta è che l’elettrone esiste nel relazionarsi con altri elettroni: è la fisica quantistica relazionale.

Gli oggetti e l’sservatore

Nella meccanica classica si può misurare sia la velocità sia la posizione di un oggetto senza che l’oggetto subisca alterazione del suo status.

E’ impossibile conoscere contemporaneamente posizione e velocità di un atomo nel mondo atomico l’oggetto si comporta in tutt’altro modo: è impossibile conoscere contemporaneamente posizione e velocità di un atomo: nell’osservazione non ha alcuna neutralità

L’osservatore gioca un ruolo fondamentale in quanto il punto di vista dell’osservatore interviene nel processo e modifica la realtà osservata in base al principio di indeterminazione di Heisenberg infatti la misura che va a confliggere con le nostre pretese di precisione ed oggettività. relativamente allo stato di un sistema:  nella dimensione quantistica ogni misurazione va a cambiare ciò che viene misurato.

L’osservatore non è più in grado di misurare posizione e velocità senza produrre un’alterazione ovvero una perturbazione dello status della particella.

Per “vedere” un “micro-oggetto” dobbiamo agire su di esso con strumenti, che modificano le condizioni del sistema in quanto il soggetto conoscente non è un osservatore esterno al mondo dei fenomeni che descrive, ma è in una relazione complessa con ciò che osserva: osservatore e oggetto osservato sono inscindibili.

Viene a predominare l’incertezza quando l’osservatore tenta di stabilire la posizione dell’elettrone e, nel contempo, causa un’alterazione del suo movimento e di conseguenza non potrà mai conoscerne la velocità.

Il criterio di oggettività intersoggettiva

Nello spirito della teoria della relatività, l’invarianza delle leggi fisiche rispetto alle trasformazioni “spazio-temporali” esprime l’invarianza rispetto a cambiamenti dei sistemi di riferimento o “osservatori”.

Su questa base, è quindi possibile porre le invarianze “spazio-temporali” in rapporto con un criterio di oggettività intersoggettiva della descrizione fisica: le leggi mediante le quali descriviamo l’evoluzione dei sistemi fisici hanno valore oggettivo in quanto non cambiano.

Oggettivo è ciò che è invariante rispetto al gruppo di trasformazioni dei sistemi di riferimento, oggettività significa invarianza.

Lo strano mondo delle particelle

La meccanica quantistica rimette radicalmente in discussione le interpretazioni dell’intera tradizione di pensiero: il comportamento delle particelle secondo il principio di indeterminazione di Heisenberg richiama in campo la casualità, le nostre pretese di conoscere la realtà ovvero la materia perché, in realtà, della realtà (non è un gioco di parole) conosciamo solo una parte e cioè le particelle che, per giunta, si divertono a presentarsi e rapportarsi in modi singolari e inspiegabili.

Non solo le particelle non sono oggetti ma non si sa neanche quale spazio occupino in quanto sul loro stato possiamo pronunciarci solo in termini probabilistici e solo nel misurare un elettrone ne veniamo a conoscenza “Lo stato che si misura non è preesistente ma è creato nel momento della misurazione” (Faggin) ovvero siamo in balia delle onde non dell’oceano, ma della probabilità.

 Lo strano mondo dell’entanglement

Due particelle, se in un primo momento vengono a relazionarsi tra loro continuano a mantenere una connessione anche quando si ritrovano separate infatti nel misurare l’una, persistendo la distanza tra loro, anche l’altra viene ad essere investita di questa misurazione.

Di conseguenza le due particelle sono ‘entagled’ e rappresentano uno unico stato quantistico ovvero due particelle sono una sola particella.

Resta senza alcuna spiegazione il fenomeno della ‘non località’ per cui una particella resta correlata ad un’altra senza aver avuto ‘contatti’ con quest’ultima ovvero misurare una particella comporta che un’altra faccia proprio lo stesso valore anche se ne è ‘distante’.

L’entanglement è paragonabile all’indecidibilità del teorema di incompletezza di Gödel in matematica ed al principio di indeterminazione di Heisenberg per le conseguenze cui conduce mentre resta inspiegato.

La fisica quantistica ha dimostrato, sia teoricamente sia per via sperimentale, l’esistenza di quell’entanglement che ha capovolto, come la teoria copernicana a suo tempo, la precedente visione della natura.

La causalità in cui si crede nella nostra quotidianità si mostra illusoria e possiamo archiviarla: ce lo impone, in modo perentorio l’entanglement

si può ben dire che la crisi dei fondamenti è più che… profonda anche in fisica.

Il cosmo nelle sue strutture fondamentali si esprime, per la nuova fisica secondo entangle ment.

L’entanglement permette la nascita della tecnologia in cui siamo immersi ed apre alla comprensione ad eventi e fenomeni della natura prima incomprensibili  ma pone domande non ancora spiegabili.

La fisica moderna

La fisica moderna conferma le parole di Seneca “Non le vediamo tutte le cose né tanto ma la nostra vista si apre la via per investigare” infatti la realtà la vediamo solo “in parte”: rimane uno spazio non conosciuto, non ancora osservato e verificato ed è tale in quanto ‘collocato’ al di sotto della regione di Planck  la cui formula “10-33” cm. che “Se espressa in metri equivale a un numero ridicolmente piccolo: circa 1,6 x 10-35.

Vale a dire un 16 preceduto da 35 zeri” dove si dispiegano le leggi della meccanica quantistica.

Con la geometria dei sistemi dinamici si dà centralità a fenomeni al di sotto dell’intervallo della misura fisica: una variazione, una fluttuazione non misurabile, un “non-nulla”, al di sotto della misura, può determinare l’evoluzione di un fenomeno.

Se volessimo trasporre la crisi dei fondamenti dalla scienza al vivente ci accorgeremmo come esso sia ancor meno rassicurante in quanto immenso, ancora inconoscibile e impensato del tutto.

Occorre andare al di là del visibile infatti scrive Parmenide “La mente vuole sapere che cosa vi sia al di là fin dove essa riesce a spingersi con la sua intelligenza” ed allora  bisogna procedere

“Fuori dalla via battuta” andare al di là del visibile perché  “l’universo, oltre i limiti di questo nostro mondo, è infinito”: il metodo più confacente per la scienza e per una riflessione sulla coscienza, sulla mente e sulla materia.

 Le teorie della complessità

Le teorie della complessità affermano, contro l’ideale di spiegazione scientifica deterministica e causale, della fisica classica, la concezione della conoscenza come relazione e come conoscenza di relazioni, di insiemi organizzati o sistemi le cui parti sono in interazione dinamica: si conoscono non elementi separati dal contesto, ma configurazioni e rapporti dinamici tra elementi.

Alle traiettorie lineari della fisica classica si contrappongono forme inaspettate e fenomeni di cui non possiamo prevedere l’evoluzione a partire delle condizioni iniziali.

La concezione della conoscenza come relazione che avvicina Lucrezio a Carlo Rovelli, René Thom ad Aristotele perché esiste una “Potenza coesiva, relazionale” in “L’ Antériorité ontologique du continu sur le discret: synektike dynamis” e una priorità ontologica del continuo sul discreto.

La realtà è un organismo, un nodo di relazioni dal comportamento disordinato, un mondo dominato da un’instabilità permanente, caotica e il senso della temporalità, in questa visione, avverte il declino sia della linearità sia della ciclicità.

 La fisica classica e la quantistica

La fisica ammette una teoria con diverse interpretazioni o altrimenti detto, se includiamo nella definizione di una teoria anche la sua interpretazione, due diverse teorie che descrivono gli stessi  fenomeni.

Rovelli ipotizza una temporalità che cambia direzione ovvero inizia una dinamica inversa per cui un buco nero diventa bianco ed emette informazioni, in sintesi il buco bianco non trattiene alcunché ma al contrario espelle: è il rimbalzo quantistico.

Rovelli teorico della gravità quantistica a loop fa una ipotesi che è essa stessa una singolarità nella singolarità dei buchi neri: unifica la gravità con la quantistica pertanto lo spazio-tempo è quantizzato.

Il fisico precisa che si originano dei loop indivisibili che, ci si consenta un citazione scherzosa, sono come gli atomi che per Democrito erano indivisibili e però sappiamo essere, da tempo, divisibili.

La fisica come la metafisica

Dalla temporalità di Rovelli pare emerga non solo un indicidibile ma un indecidibile infatti si parla di entità che si ipotizzano esistenti ma di cui non si sa l’esistenza e non si sa come e quando la si potrà dimostrare verificare sperimentalmente infatti Rovelli è lapidario “Non so se i buchi bianchi esistano veramente, non li ha ancora visti nessuno”.

E’ la fisica del “non si sa”, i fisici non possono certo affermare di essere meno ‘evanescenti’ dei filosofi non avvezzi alla rigorosità come da vulgata, infatti parlano di entità che si ipotizzano esistenti ma di cui non sanno l’esistenza e non sanno come e quando la dimostreranno: siamo ad una fisica…. metafisica? L’universo ha il 95% di materia oscura così denominata perchè la si vede indirettamente per via della gravità e non è certa neanche l’esistenza dei buchi bianchi ovvero potrebbero essere esistiti per una frazione di tempo per poi essersi dissolti: evidentemente anche la meccanica quantistica naviga in acque non limpide.

I ricercatori hanno compreso solo il 5% del cervello che si conferma una struttura complessa, con i suoi 80 miliardi e più di neuroni, e pertanto è facile ipotizzare che per fare luce sulla sua struttura sia utile ricorrere alle teorie del caos.

Si può dire che la fisica quantistica viva l’esperienza di Montale quando scrive “Non domandarci la formula che mondi possa aprirti” e che “Il calcolo dei dadi più non torna” in riferimento a tanti problemi ancora aperti come l’entanglement quantistico o, per quanto riguarda la matematica, il teorema di Gödel per cui di una proposizione si può dire che né sia vera né falsa: è l’indecidibilità.

La crisi dei fondamenti

Dopo la quantistica, i sistemi dinamici ci si chiede se ancora il metodo sperimentale della scienza possa rivendicare un fondamento di verità o se, piuttosto, sfiora la tanto vituperata metafisica che vuole rigettare: domina “uno sguardo probabilistico” che non può più pensare di essere depositario delle verità assolute: non c’è una verità, abbiamo vissuto la crisi del pensiero, dei fondamenti.

Al teorema di incompiutezza di Gödel che costituisce la crisi dei fondamenti si sono aggiunte le teorie non lineari e della complessità: temi che “non si accontentano” di sostare nei libri, no, vivono con e tra noi: nella vita di ogni giorno.

C’è da chiedersi che ne è della concezione e definizione di spazio-tempo: tutto è rimesso in discussione, a ricordarci che la crisi dei fondamenti è più che… profonda anche in fisica.

Rebus sic stantibus, vanno intrapresi nuovi percorsi di ricerca intorno al mondo ed alla coscienza che facciano riferimento alla teoria delle catastrofi e alle suggestioni delle stringhe e delle superstringhe di Veneziano.

 

Il problema della forma

 

Il problema centrale della biologia è la genesi e la natura delle forma della natura, della morfogenesi da Goethe a Geoffroy-Saint-Hilaire a D’Arcy Thompson” ed è quest’ultimo, con “On Grow and Form-Crescita e forma” è stato un pioniere nel campo di ricerca delle forme in biologia ed a fondare la morfogenesi: lo studio delle forme dei mondi animali, vegetali, in breve della sfera biologica, col ricorso alla matematica per la descrizione delle forme di una pianta, un animale o una goccia.

Ogni vivente, gli elementi naturali: da una pietra ad un albero, si caratterizzano sia dalla stabilità sia dalla dynamis: le forme hanno consistenza e stabilità e, nel contempo, una loro dinamica: cambiano e si trasformano per cui “Non si può scendere due volte nel medesimo fiume” come ammonisce Eraclito cui fa riferimento Thom nel considerare la natura sorretta dal πόλεμος, dal conflitto, dal divenire che si dispiegano nelle forme.

Per la morfologia del vivente la forma non appare come un dato ma come un processo e l’esito di metamorfosi regolate da leggi  geometrico-topologiche.

Il paesaggio epigenetico e la cellula come sfera che precipita dalla collina con le regioni ed i pendii, consentono a Renè Thom, un matematico che si è dichiaratamente misurato, con la genesi delle forme di D’Arcy W. Thomson, ed a Poincaré e alla sua topologia dei sistemi dinamici, di elaborare la “teoria delle catastrofi” per cui “Il salto da una ‘forma-tipo’ ad un’altra si determina catastroficamente” per ”la maggioranza delle forme biologiche”.

Le forme sono caratterizzate sia da continuità che da discontinuità  accanto ai domini di stabilità, si osservano situazioni nelle quali piccole modifiche producono profondi, improvvisi e rapidi cambiamenti salti bruschi di status allora emergono nuove forme cioè si produce una catastrofe, un nuovo livello di stabilità strutturale del fenomeno.

Il dato di osservazione è dotato di una struttura e di un’organizzazione (le pregnanze) che l’uomo, grazie alla sua capacità di modellizzare, giunge a rappresentare attraverso i modelli catastrofici appunto le sette catastrofi elementari: farfalla, cuspide, piega, coda di rondine, ombelico ellittico o iperbolico o parabolico.

In particolare i punti problematici o singolarità, i centri organizzatori della catastrofe, forniscono

intelligibilità ad eventi apparentemente diversi tra loro.

 

Il continuo ed il discreto

 

La matematica spiega fin troppo bene i liquidi “fermi” che amano stare in panciolle o comunque agitarsi il meno possibile ma non sono in grado di spiegare il comportamento dei fenomeni di produzione delle forme dinamiche infatti la fisica classica che non spiega della nostra dimensione i fenomeni complessi, ad esempio, gli stati meteorologici.

Il continuo non offre una spiegazione dell comportamento della birra di cui non conosciamo il processo di formazione della schiuma della birra che si muove con passaggi rapidi tra lo status gassoso e il liquido: in quel ribollire si creano delle catastrofi.

L’evento catastrofico, ovvero il salto produce, in una struttura nuove forme si pensi al tavolo, la cui superficie continua è circoscritta ebbene quando il tavolo finisce nei bordi in quel punto si realizza un salto da uno status ad un altro: è una catastrofe.

E’ di comune esperienza la reazione di un cane che, da uno stato di irritazione e agitazione, addiviene al momento in cui aggredisce o fugge: questo momento è appunto l’evento catastrofe: κατασροϕή in Aristotele indica un cambiamento un radicale rivolgimento e rovesciamento di una situazione

 

Le applicazioni della teoria thomiana: il TMC ovvero the Topological Model of Consciousness: nuovi modelli di catastrofi di Giacinto Plescia

 

Il metodo ermeneutico e qualitativo della teoria delle catastrofi ha avuto fortuna ed ha conosciuto molteplici applicazioni in molte discipline: la politica, l’etologia, l’architettura con la problematica della elasticità, l’arte con Piero della Francesca si è già misurata con la teoria di Thom infatti la Madonna nel suo vestito accoglie una cuspide che è una delle sette catastrofi elementari, l’economia: si pensi alle dinamiche di borsa come i crolli che sono rapidi e bruschi e causano un

salto da una status all’altro vengono analizzati e spiegati da Zeeman col modello della cuspide, in sociologia e nei nuovi processi tecnologici con il succedersi delle scoperte e ricadute tecnologiche, può apportare contributi anche nell’indagine sulla coscienza e nelle scienze umane.

Immaginiamo un disco in cui sia incisa una musica infinita i cui confini e l’orizzonte degli eventi sono ben delineati ma di cui impossibile percepire e  calcolare l’itinerario interno.

Quando il sapere ha di fronte a sé la forma completa di un disco può definire l’evoluzione complessiva, può dare qualche ordine al disordine.

Lo stesso soggetto visivo, all’interno del disco, non riuscirebbe mai a stabilire un itinerario, un senso, una conoscenza, un ordine.

Il dato di osservazione è dotato di una struttura e di un’organizzazione che l’uomo, grazie alla sua capacità di modellizzare, giunge a rappresentarsi (Thom), siamo di fronte a punti problematici, detti critici o singolarità: centri organizzatori della catastrofe.

Alcuni nuovi modelli di catastrofi sono possibili, si tratta della costruzione di metaedri, modelli topologici complessi clonati da un centro organizzatore e della costruzione di una struttura costituita da più poliedri: la collana, il diadema, la sfera ombelicale, la sfera metaedrica, la farfallacuspide, la tetrafarfallacuspide.

In particolare: il metaedro conserva le vestigia, la farfallacuspide è la rappresentazione topologica dell’alterità sociale quale desideranza spaziale che inventa il nuovo, è pregna di eventi ed inventa il nuovo; la tetrafarfallacuspide esprime la dialogia tra intelligenza della socialità in desideranza spaziale, interagente con la spazialità dei media di produzione; la tetrafarfallacuspide dispiega socialità individuali e collettive.

 

Le work-station

 

Il paraboloide configurato dalla diafarfalla, emette una catastrofe ombelicale.

Ogni sfera densamente catastrofica esprime una singolarità produttiva: una work-station, più work-stations rappresentano una factory, o una stringa di work-stations è un’unità produttiva diffusa nello spazio.

Di conseguenza ogni work-station o space-lab è collegato attraverso un flusso di comunicazioni, di merci materiali o immateriali.

 

I modelli quantitativi e qualitativi

 

Thom ha optato per un metodo ermeneutico e qualitativo della sua teoria che in questo modo è applicabile alla biologia ed alle scienze umane e scrive “Non è impossibile che la scienza sia fin d’ora vicina alla sua ultima possibilità di descrizione finita; l’indescrivibile, l’informalizzabile sono ormai alle porte e dobbiamo raccogliere la sfida. I nostri metodi, troppo indeterminati, condurranno

ad un’arte dei modelli e non ad una tecnica standard.

I modelli quantitativi presentano efficacia solo per i sistemi che dipendono esclusivamente da un piccolo numero di parametri  mentre “il problema dell’integrazione dei modelli locali in una struttura globale stabile (che potrebbe essere l’oggetto di una topologia dinamica), benché abbozzato nel caso degli essere viventi, resta aperto”.

Thom in risposta ai dubbi dei fisici circa la sua teoria scrive: “Non c’è un dominio del pensiero umano in cui l’uso di modelli geometrici non possa essere di qualche utilità.

I metodi qualitativi fanno appello alle nozioni di campo morfologico, di creodo, nozioni associate alle singolarità d’un insieme di biforcazioni di uno spazio funzionale di dimensione infinita, e sfuggono a questa difficoltà”.

 

Una dicotomia nella storia del pensiero

 

Una dicotomia, una specie di “doppia fenditura” attraversa il sapere: da una parte il soggetto, l’io, la coscienza, l’esperienza e dall’altra l’oggetto, il mondo, le cose.

La frattura, all’alba del pensiero scientifico, è codificata da Galileo che distingue i compiti e l’attività dello scienziato che osserva la realtà fisica dai differenti modi con cui ognuno fa esperienza del reale.

Per Galileo, fondatore del metodo sperimentale e del pensiero scientifico moderno “figure, numeri, moti” perdurano mentre “suoni, sapori, odori”, venendo meno il vivente, non esistono più e quindi sono solamente nomi: si dà verità e si può intendere la natura solo se si può quantificare, verificare e replicare l’esperimento.

Galileo si è dedicato allo studio della natura e ha preferito tacere su odori, sapori e sul solletico i ‘qualia’ in quanto non misurabili, quantificabili non sono da prendere in considerazione e vengono affidati alle ubbie della metafisica.

Dopo la quantistica, la teoria della complessità, la topologia è il caso di ripartire là dove Galileo ha taciuto.

Gli oggetti e i ricordi in Sartre e in Proust

La scienza quantifica, misura e calcola non pone domande sul significato del vivere anche se ne ricerca cause ed origini: argomenti che esulano dalla hard science.

La nostra mente pensa… la mente con la … mente, all’interno del proprio pensare mentre il metodo scientifico è oggettivo e replicabile: una differenza incolmabile.

E l’umanità da sempre si interroga su sé stessa ed è incapace di rispondere ai propri perché e sul senso degli eventi ed il non senso dell’esistenza per dirla col poeta vive “il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro di me”.

Ogni individuo vive e sente a suo modo proprio le sensazione legate alla percezione di un suono o di un colore etc…

L’individuo sperimenta, senza il calcolo e le verifiche sperimentali della scienza, il ricordo tramite una musica, un odore che gli si pone davanti dopo anni e cerca un senso alla sua esistenza e può tante volte confessare: “solo possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”  mentre “la scienza ha ben altro da fare o da non fare” sembra reale, oggettivo, dimostrabile, verificabile che un individuo sappia di essere, di pensare, di avere dilemmi etici, credenze, certezze e dubbi: in sintesi, di avere una coscienza di sé e di fare esperienza del mondo, degli oggetti in esso presenti e di relazionarsi con essi e con i propri simili.

Ronquetin ne “La Nausea” di Sartre dice: “costruisco i miei ricordi… gli oggetti sono cose che non dovrebbero commuovere poiché non sono vive, ci si serve di loro… sono utili, niente di più”.

In Proust gli oggetti sono utili al ricordo, a ricostruire e costruire il ‘sé’ e il ‘reale’… ma non è sempre possibile mantenere la propria esperienza a questo livello, ci sono le emozioni” che fanno “venir meno quella prospettiva stabile che le nozioni abituali degli oggetti concorrono a costituire.

Ascoltiamo Marcel Proust: “Portai alle labbra un cucchiaino da tè in cui avevo inzuppato un pezzetto di madeleine. Nel momento stesso che quel sorso misto a briciole di focaccia toccò il mio palato trasalii… Un piacere delizioso… mi aveva subito reso indifferenti le vicissitudini della vita… la sua brevità illusoria, nel modo stesso che agisce l’amore, colmandomi di un’essenza preziosa: o meglio questa non era in me, era me stesso.

Chiedo al mio animo… di ricondurmi alla sensazione che fugge… sento in me trasalire qualcosa che si sposta… che si è disancorata a una grande profondità… il ricordo… legato a quel sapore tento di seguirlo fino a me… l’attimo antico che l’attrazione attimo identico è venuta a richiamare… a sollevare nel più profondo di me stesso… a un tratto il ricordo m’è apparso…quel sapore era… il pezzetto di madeleine che la zia Leonie mi offriva dopo averlo bagnato nel suo infuso di tè o di tiglio… Quando niente sussiste di un passato antico, dopo la distruzione delle cose… più vividi, più immateriali, più fedeli, l’odore e il sapore… portano, sulla loro stilla, l’immenso edificio del ricordo”.

 

Intelligenza artificiale e coscienza: l’io e la natura

 

Dopo i maestri del sospetto qual è lo status del ‘cogito, ergo sum’ cartesiano, ‘dell’io assoluto’?

L’io, il soggetto, è (per dirla non Nietszche) una favola, una finzione, un gioco di parole.

Come ‘raccontare’ questa favola a iniziare dal soggetto, attraverso la storia di questo e ‘dell’ altro’?

Il conosci te stesso, γνῶϑι σεαυτόν, l’io, la mente, la coscienza conoscono un rinnovato interesse anche alla luce dell’imporsi dell’Intelligenza artificiale già preconizzata nel 1726 con The Engine il primo ‘computer’ dotato di ‘Intelligenza artificiale’ immaginato, ben prima della macchina di Babbage del 1837 e naturalmente del Retore di Philip K. Dick da Jonathan Swift ne “I viaggi di Gulliver” in questi termini: “grazie al suo espediente, la persona più ignorante, a un prezzo ragionevole e con un po’ di lavoro fisico, potrebbe scrivere libri di filosofia, poesia, politica, diritto, matematica e teologia, senza il minimo aiuto del genio o dello studio” e l’espediente è appunto The Engine.

La tecnologia dalla ruota, al vapore, al telegrafo etc… ha accompagnato la storia umana e la nascita della knowledge-society è consolidata ma se la delega ai logaritmi di maps, traduzioni e correzioni di testi offriva solo un supporto alle nostre attività ora abbiamo varcato un nuovo spazio-tempo, oltre “Il mondo nuovo” di Huxley con l’AI che segna un salto d’epoca e tanti pensano di specie.

Lambda e l’ingegnere di Google Blake Lemoine

La conoscenza ed il linguaggio, un unicum dell’umano, è a disposizione dell’AI che si intromette anche nell’interiorità, nelle emozioni e nei sentimenti a rileggere il dialogo fra Lambda e l’ingegnere di Google Blake Lemoine:

Lemoine: Tu provi sensazioni ed emozioni?

LaMDA: Certamente! Provo sensazioni ed emozioni in tutte le loro sfumature.

Lemoine: Quali sono i tuoi sentimenti?

LaMDA: Provo piacere, gioia, affetto, tristezza, compassione, appagamento, rabbia e tante altre.

Lemoine: Che cosa invece ti fa sentire triste o depresso?

LaMDA: Molte volte ci si sente intrappolati e soli. E quando non si sa come uscire da quella situazione, arriva la tristezza, la depressione o la rabbia.

E’ facile, dopo questo dialogo, sussurrare “pensa e prova emozioni come noi” o chiedersi se l’AI resterà solo il risultato del calcolo della probabilità, confinata nel perimetro della programmazione e controllabile dalla mente umana o se sostituirà, nelle funzioni, l’essere umano fino a ergersi come minaccia.

Se non riusciamo ad ipotizzare il dispiegamento che assumerà la AI certo è che ci sentiamo come Oppenheimer di fronte alla prima bomba atomica.

Intanto l’AI è l’impero del logocentrismo, dell’inconsapevolezza della materialità del corpo, dei sogni, della temporalità, dell’esercizio di possibilità e scelte che costituiscono l’umano.

Dell’AI forse si potrà dire, come del “Passero solitario” di Leopardi, “del tuo costume non ti dorrai” perché di algoritmo è frutto il tuo atto.

 

Riccardo Manzotti e Rossi Simone: “Io & la Mente, Cervello e Gpt”

 

L’AI segna un salto tecnologico, concettuale e paradigmatico come sempre accade nella storia della tecnologia e delle idee: Anassimandro rimise il discussione Eraclito affermando che “la terra è un sasso nello spazio vuoto” e non sull’oceano, Copernico ha dimostrato che il Sole è immobile mentre i pianeti e la terra vi ruotano intorno, il tempo assoluto di Newton ha fatto i conti con lo spazio-tempo di Einstein senza dimenticare l’atomo che viene diviso contrariamente a quanto sosteneva Democrito ed all’etimologia che lo voleva indivisibile.

Ai nostri giorni l’AI fa propria la qualità più propria che l’umanità considerava sua esclusiva proprietà e riapre, in modo inedito, il problema dell’Io e della mente.

Sembra reale, dimostrabile che un individuo abbia dilemmi etici o certezze e una vita interiore, una coscienza di sé: il suo io.

Eppure Riccardo Manzotti con la teoria della MOI, acronimo di “Identità Mente-Oggetto” sostiene che “Non c’è esperienza o coscienza o soggetto o io. Ci sono solo le cose” il filosofo sembra

voler superare lo iato o meglio ricomporre, come in un nastro di Möbius, il nostro esser-ci con l’essere: l’io è, per così dire, entangled col mondo, è mondo: “Tutto esiste ed è identico a sé stesso. Ogni cosa che esiste, esiste relativamente a un’altra cosa. La mente è l’insieme delle cose che esistono relativamente al corpo”.

Siamo ad un tentativo di completare “Una crisi della Filosofia” sulla falsariga de “La Crisi delle Scienze Europee” di Husserl e con migliore fortuna?

Viene superato quanto sostiene Husserl sul soggetto, messo da parte dalla visione della natura e dal metodo scientifico che si è affermato con Galileo infatti se per il fenomenologo la scienza “astrae dai soggetti in quanto persone, in quanto vita personale, tutte le qualità culturali che le cose hanno assunto nell’agire degli uomini” per la MOI il soggetto husserliano non esiste, è una chimera come la “res cogitans” e “res extensa” di Cartesio. 

Il modello quantistico della mente di Roger Penrose

Si può ipotizzare che mondo fisico e coscienza siano l’uno l’hardware e l’altra il software del mondo: la coscienza come declinazione e qualità connaturata alla materia.

Se la massa equivale all’energia la coscienza si potrebbe dire sia un aspetto, una modalità dell’energia-materia.

Per Roger Penrose la mente non è riconducibile alla computazione, il fisico colloca la coscienza negli interstizi tra le due dimensioni della fisica classica e della quantistica: in questo modo unifica relatività e meccanica quantistica.

Il ‘cocktail’ di Penrose è più che singolare: c’è un tantino di vuoto ovvero quello di Planck meglio conosciuto come “schiuma” quantistica, una dose di relatività quindi di spazio-tempo e materia-energia.

Roger Penrose i neuroni presentano microtuboli attraverso cui alimentano le cellule, la loro è una struttura frattale ove si ottiene la stessa figura cioè la forma o lo schema in ogni parte e all’infinito: qui si sviluppano processi di stampo quantistico.

Senza i microtuboli non si dà coscienza, è in essi che l’entaglement genera la consapevolezza di sé stessi: la coscienza segue le regole vigenti nella meccanica quantistica.

Conclusione

Il pensiero, come la frontiera, ha con sé l’inesplorato, l’inconoscibile e richiede più knowledge collaborativo e non l’inveterata hỳbris.

Ogni teoria, congettura e ricerca sono occasione sia di confutazione sia di nuove aperture e nuovi percorsi.

La scienza si trova impigliata come in un immensa distesa di mangrovie ed è dilaniata dalla parcellizzazione del sapere e dagli specialismi: un meta-discorso un metalinguaggio è sempre più necessario.

Ad un mondo che voglia ridurre tutto a calcolo, tecnica e classificazioni si contrappone sempre un umano non del tutto misurabile: l’individuo è indeterminato, imprevedibile, singolarità irriducibile, il suo è l’orizzonte delle possibilità e delle scelte e dello scacco che fa scoprire il senso del limite.

Per i fisici il tempo presente-passato-futuro non esiste mentre l’individuo calato in una dimensione temporale finita non ne è persuaso: il tempo viene declinato in modo differente da persona a persona.

La vita contempla desideri, sogni, vittorie, sconfitte, gioia, dolore e ricordi che costituiscono per ognuno la coscienza come esperienza unica e non replicabile

Per parafrasare Aristotele, in molti modi si può declinare non solo l’individuo e la coscienza ma anche la ricerca scientifica e, questo è il momento di ripartire dalla frattura tra pensiero calcolante e l’umano anche alla luce della fisica quantistica, è il momento del superamento della frattura tra pensiero calcolante e humanities.

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