Relazione o Matrimonio?

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100 Domande sulla sessualità rubrica ideata e curata dal dottor Umberto Palazzo e dalla giornalista Daniela Piesco

Le relazioni interpersonali fondate sul Matrimonio, subiscono l’usura del tempo.
Nell’Antica Grecia il matrimonio era un dovere del cittadino e con una cerimonia nuziale dai forti contenuti simbolici e rituali, si mangiavano dolci di sesamo e miele, poi un corteo accompagnava gli sposi nella nuova casa dove l’unione carnale non poteva avvenire se la sposa non addentava prima una mela cotogna, frutto consacrato ad Afrodite e contente il potere dell’eros. La regola generale è: accetta il marito che i tuoi genitori hanno scelto. La donna rimane sempre sottomessa passando dall’autorità del padre a quella del marito e in loro mancanza di un tutore o di un parente prossimo ma comunque sempre un uomo. Per i Romani il matrimonio poteva essere di tre tipi, la confarreatio, ossia l’offerta di una torta di farro a Giove Farreo, la coemptio vendita fittizia in cui il padre plebeo emancipava la figlia al marito e l’usus che si realizzava dopo la coabitazione di un anno. Nella cerimonia gli sposi utilizzavano un anello simbolo dei futuri impegni, consistente in un cerchio di ferro rivestito d’oro o un cerchio d’oro simile alle nostre fedi. La fidanzata lo infilava seduta stante al fidanzato, al dito anularius con una giustificazione che ci viene da Aulo Gallio “quando si apre il corpo umano, come fanno gli egiziani, si trova un nervo molto sottile che parte dal dito anulare e arriva sino al cuore”.
II Cristianesimo con il matrimonio riesce a togliere la sessualità dalla sfera naturale e a inserirla in quella culturale, consentendo i rapporti sessuali solo al suo interno, cioè come secondo indicazioni dell’apostolo Paolo che nella Prima lettera ai Corinzi scrive:
«Se non sanno vivere in continenza è meglio che si sposino, meglio sposarsi che ardere…ciascuno abbia la propria moglie e ogni donna il proprio marito, Il marito compia il dovere verso la moglie, ugualmente la moglie verso il marito…».
In quanto alla cultura araba, in epoca preislamica (giahiliya) definita anche “età dell’ignoranza”, la relazione uomo- donna era completamente diversa da quella che poi nascerà con la proclamazione dell’Islam da parte del profeta Muhàmmad (italianizzato in Maometto). In questo periodo storico le donne potevano mostrarsi senza problemi, indossando anche abiti trasparenti e i rapporti tra i due sessi erano abbastanza liberi tanto che durante le feste importanti, gli uomini si scambiavano figlie e sorelle e le donne in una specie di poliandria riuscivano ad avere rapporti con più uomini contemporaneamente, essendo in grado di ripudiare i mariti facilmente usando anche formule del matrimonio a tempo (mut’ah). La vittoriosa campagna di Maometto apre invece alla venerazione di un solo e unico dio maschio: Allah (al –ilah, letteralmente: il dio) e da allora la separazione dei sessi diventa obbligatoria e la sessualità della donna sottoposta a una vigilanza rigorosa e confinata esclusivamente nel matrimonio. Situazione ben sottolineata dal detto popolare: “Quando un uomo e una donna sono soli, in loro compagnia c’è il diavolo”. Tutto viene consentito all’interno del matrimonio con la raccomandazione di sposare più donne, ma secondo il dettato coranico di non averne mai più di quattro contemporaneamente. L’islam distingue le relazioni lecite solo nel matrimonio nikah, mentre quelle al di fuori dette zina, sono condannate. Numerosi sono i divieti al matrimonio per parentela di sangue e di latte. Il rapporto sessuale è un pilastro del matrimonio e prevede l’obbligo di soddisfare il partner o come dice Maometto: «Ciascun coniuge deve aver assaggiato il piccolo miele del congiunto». Il marito può allontanarsi dal letto coniugale al massimo per 120 giorni, dopodiché è definitivamente separato. La moglie può essere ripudiata al massimo tre volte, il terzo ripudio è definitivo a meno che la stessa moglie non si sia frattanto risposata e ripudiata da terza persona. Non esiste una definizione valida per tutte le Culture ma una particolarmente nota è quella degli antropologi Barnard e Good nel 1951:
“Il Matrimonio è l’unione tra un uomo e una donna in cui i bambini partoriti dalla donna sono riconosciuti come figli legittimi di entrambi i genitori”

Definizione oggi superata dal fatto che indica un matrimonio tra coniugi che siano di genere diverso e implica che i figli nati al di fuori del matrimonio siano illegittimi. Molte realtà culturali contraddicono la definizione e i matrimoni omosessuali sono sempre più riconosciuti nel mondo a cominciare dai primi paesi in cui sono stati resi legali, Danimarca, Norvegia e Olanda.

Il commento giornalistico

Denis de Rougemont nel suo trattato, L’amore e l’Occidente, così descrive il matrimonio:

Una vita che mi è alleata per tutta la vita: ecco il miracolo del matrimonio. Una vita che vuole il mio bene quanto il suo, perché si confonde col suo: e se non fosse per tutta la vita sarebbe ancora una minaccia, quella minaccia che sempre è latente nei piaceri che ci procura una “relazione amorosa”. Ma quanti uomini conoscono la differenza tra un’ossessione che si subisce e un destino che si sceglie?

Mi piace partire con la riflessione del matrimonio fatta dalla domanda che Rougemont ci pone: quanti conoscono la differenza tra subire e scegliere?

In passato, sposarsi era fondamentalmente un obbligo e un passo avanti nella vita. Ad oggi, non è più così. Sposarsi è diventata una scelta, è una decisione che prendono le coppie mature alle quali non importa cosa dica il mondo. Uno dei principali obiettivi, infatti, è avere accanto a sé un compagno che comprenda che l’amore è libertà. Ma anche costruire giorno dopo giorno, e con impegno, un rapporto appagante.

Oggi si parla di una “strategia adattativa”, come paura dei legami “eterni” a vantaggio di legami precari, mobili, negoziabili. Non si tratta tanto di un rifiuto motivato e deciso del matrimonio, ma di una sfiducia nella possibilità di realizzare pienamente nel matrimonio le aspettative che l’amore suscita. Il matrimonio resta un traguardo possibile, ma solo dopo che si è sottoposto a verifica il rapporto di coppia, in un confronto continuo che dovrà confermare o smentire la scelta.

Le giovani coppie giungono a queste conclusioni circondati come sono, nella realtà e nei media, da numerosi fallimenti matrimoniali e sofferenze della vita coniugale.

In sintesi non posso che sposare l’idea di Umberto Galimberti, filosofo e psicanalista, che afferma come forse non bisognerebbe tanto facilitare i divorzi, quanto invece rendere meno accessibili i matrimoni.

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