La morte del giornalismo e l’era dell’Educazione Social. Analisi critica

Interviste & Opinioni

Di

di Maya Cavarra

La società contemporanea, pur vivendo immersa nel dolore delle atrocità che si consumano quotidianamente nel mondo, sembra essersi accecata volontariamente di fronte a queste sofferenze.

Nell’era dell’iperconnessione, siamo diventati schiavi di un pensiero unico, ciechi alle sofferenze del mondo. Mentre cerchiamo disperatamente perfezione e approvazione online, le urla del terrore delle guerre rimangono inascoltate. Siamo naufraghi di una società che ci rende egoisti e indifferenti, incapaci di vedere oltre i confini del nostro ego.

Invece di reagire con empatia e azione, molti preferiscono rifugiarsi in una bolla di indifferenza, protetti dall’illusione di una realtà filtrata dai media e dai social network. Questa cecità morale non solo impedisce una risposta significativa ai mali del mondo, ma perpetua un ciclo di sofferenza e ingiustizia, dove le urla di chi è oppresso vengono soffocate dal rumore di una società che ha scelto di non vedere.

Nelle ultime ore sta girando nei social un’immagine generata dall’IA “ALL EYES ON RAFAH” riguardo la situazione critica in Palestina.

L’autore, un fotografo malese, noto online con il nickname @shahv4012, ormai con 25mila follower su instagram dopo aver generato l’immagine che è stata condivisa oltre 40 milioni di volte, ha generato un vero e proprio trend.

Ma perché solo adesso la gente ha iniziato a “muoversi” attivamente verso queste barbarie? Le atrocità vengono quindi riconosciute da tutti, solo quando passano attraverso un trend? È vero, è importante che se ne parli! E nella società odierna è possibile farlo solo così!

È certo che l’intento del – ormai famoso – fotografo era quello di far passare il messaggio alla maggior parte della gente, ormai, tristemente possibile farlo solo attraverso i social e quindi attraverso un trend!

In risultato di ciò, la gente si sta abituando a pensare solo attraverso tendenze. Tutto è moda… Quindi ciclico e passeggero!

Ma le efferatezze nel mondo restano! E sfortunatamente non passano via con la stessa velocità di una moda.

Quindi è un bene che quasi ogni persona abbia ripostato la fatidica foto?

L’immagine “ALL EYES ON RAFAH” pubblicata nelle ultime ore risulta però quasi psicologicamente deumanizzante, le maggior parte delle persone che la repostano fingono un contatto empatico verso questo

costante genocidio, senza però avere nessuna concezione di ciò che realmente stia accadendo.

È fondamentale sottolineare che la mera ripubblicazione di tali foto non è sufficiente per affrontare in modo completo la complessità della situazione. Invece, è di primaria importanza

impegnarsi nella diffusione di informazioni autentiche e di materiale visuale verificabile al fine di comprendere appieno la portata degli eventi. Le immagini generate dall’intelligenza artificiale, sebbene possano avere buone intenzioni, sono intrinsecamente limitate dalla loro natura di simulacri e non possono catturare appieno la realtà degli orrori che si stanno verificando sul campo. È importante notare che l’impiego della tecnologia Al è stato anche utilizzato per manipolare e distorcere fatti al fine di giustificare le azioni violente contro i palestinesi.

In questa prospettiva, l’utilizzo di foto generate dall’intelligenza artificiale può essere considerato superficiale e inefficace nel fornire una comprensione autentica della situazione.

Al contrario, è necessario adottare un approccio più approfondito e impegnativo, che includa la ricerca di informazioni da fonti affidabili e l’analisi critica del materiale disponibile.

Se si desidera autenticamente contribuire alla causa, è essenziale impegnarsi attivamente nella mobilitazione e nell’educazione di se stessi e degli altri. Questo richiede un impegno costante nell’approfondire la propria conoscenza della situazione e nel diffondere

consapevolezza attraverso mezzi efficaci e informativi. L’argomento non deve essere trattato come una semplice tendenza passeggera, bensì come una questione di rilevanza storica e sociale che richiede un impegno a lungo termine.

È di cruciale importanza inoltre eradicare la cultura nascente basata su una falsa informazione volta meramente verso ciò che risulta appetibile per una tendenza.

Gli occhi della popolazione social sono tutti concentrati sulla guerra in Palestina, adesso.

Perché nessuno parla della guerra in Siria iniziata nel 2010, della guerra in Afghanistan iniziata nel 2001, nel Yemen, e tante altre ancora.

Chi decide che una crudeltà è più valida rispetto ad altre?

La società, affascinata dai riflessi lucenti del virtuale, sembra aver dimenticato il vero dolore e la vera sofferenza, relegandoli al margine dell’attenzione, solo quando il sangue abbraccia la tendenza allora una storia è valida per essere raccontata!

Le tragedie delle guerre vengono annegate nel mare dell’indifferenza, mentre la compassione è ridotta a un semplice ornamento, gettato via non appena perde di interesse.

Così facendo non solo si alimenta una cultura basata sull’ignoranza ma si deraglia verso un fittizio apprendimento sui social.

Il vero problema sta proprio, nell’ormai morto, giornalismo!

Il giornalismo, un tempo pilastro della democrazia, sembra oggi in declino. La mancanza di validi canali informativi e la crescente censura soffocano la verità. Notizie distorte e superficialità prevalgono, alimentando una società disinformata e manipolabile. Senza un giornalismo rigoroso e indipendente, la conoscenza si impoverisce e la critica sociale si affievolisce, lasciandoci in balia delle mode e delle narrative dominate dai trend del momento.

Questo declino antropologicamente importante genera un’onda d’urto di alta rilevanza che spinge la popolazione a diffidare del giornalismo ed affidarsi ai social network, azione che a sua volta genera una totale confusione ed ignoranza.

L’educazione non va fatto sui social, motivo per cui, per quanto primariamente importante diffondere attivismo, è filosoficamente sbagliato alimentare una cultura di “fittizia” educazione basata sulla lettura di post o blog.

Le persone consumano notizie e dati in modo superficiale, scambiando la quantità di informazioni per qualità e comprensione. Questo fenomeno conduce a una sorta di “analfabetismo funzionale”, dove si è sommersi dalle informazioni ma privi delle competenze necessarie per interpretarle criticamente.

L’educazione, un tempo considerata un processo lento e meditativo, si trasforma in una serie di stimoli istantanei e disconnessi. La società, di conseguenza, si muove verso una condizione di iperrealtà, dove la distinzione tra il vero e il falso, tra il significativo e l’insignificante, diventa sempre più sfumata.

In questo contesto, la vera conoscenza – che richiede tempo, riflessione e confronto – viene sacrificata sull’altare della velocità e dell’accessibilità. La società vive quindi in uno stato di costante distrazione, incapace di dedicare l’attenzione necessaria per comprendere veramente le complessità del mondo che la circonda.

Al giorno d’oggi, discernere tra notizie valide e fuorvianti è un compito complesso che richiede un alto livello di alfabetizzazione mediatica, pensiero critico e competenze analitiche, che includono la capacità di analizzare criticamente le fonti, comprendere il contesto in cui vengono presentate le informazioni e riconoscere i bias e le intenzioni dietro i contenuti. Queste competenze non sono comuni e richiedono anni di formazione e pratica. La maggior parte delle persone non ha accesso a tali risorse educative o non è stata formata a sviluppare queste competenze. Questa difficoltà è amplificata nel contesto attuale, dove la sovrabbondanza di informazioni e la manipolazione dei contenuti sono all’ordine del giorno.

La qualità della scrittura può mascherare la mancanza di accuratezza, il bias, o l’intento manipolatorio dietro le informazioni.

La capacità di scrivere in modo eloquente e convincente non implica necessariamente la veridicità delle informazioni. Un testo ben scritto può essere accattivante e persuasivo, ma se i fatti presentati non sono accurati, rimane comunque fuorviante.

La continua esposizione a contenuti multipli, spesso contrastanti, in aggiunta, può generare ulteriore confusione e affaticamento cognitivo, riducendo la capacità di valutare criticamente le fonti. I metodi sofisticati utilizzati per creare e diffondere disinformazione complicano ulteriormente il discernimento. Le notizie false sono spesso presentate in modo da sembrare autentiche e autorevoli, rendendo difficile riconoscerle anche per chi ha una formazione avanzata. Inoltre, le tecniche di manipolazione, come il clickbait e la diffusione virale di contenuti, sono progettate per ingannare il pubblico e distogliere l’attenzione dai fatti reali.

Anche chi è altamente istruito non è immune dai bias cognitivi, che influenzano il modo in cui percepiamo e interpretiamo le informazioni. I bias confermativi, ad esempio, ci portano a cercare e interpretare le informazioni in modo da confermare le nostre convinzioni preesistenti. Inoltre, le bolle informative create dagli algoritmi dei social media limitano l’esposizione a punti di vista diversi, rafforzando ulteriormente i nostri bias e rendendo il discernimento ancora più difficile.

Pertanto, in un mondo in cui la disinformazione è dilagante e la manipolazione dei contenuti è sofisticata, il processo di verifica delle informazioni richiede tempo, risorse e un accesso privilegiato a fonti attendibili, che spesso non sono alla portata della gente comune. Gli esperti e i giornalisti professionisti dedicano la loro carriera a sviluppare queste competenze, ma il pubblico generale può non avere il tempo o le capacità per fare altrettanto.

È essenziale, dunque, promuovere l’alfabetizzazione mediatica, investire nell’educazione critica e sostenere il giornalismo indipendente e professionale come baluardo contro la disinformazione.

È vero che il giornalismo tradizionale è in declino, ma questo non significa che possiamo abbandonare la ricerca di informazioni affidabili e la promozione di un dibattito pubblico informato e consapevole. Fare informazione è una professione seria che richiede competenze specifiche. Pretendere di fare il lavoro di un giornalista o di uno storico senza le necessarie competenze è rischioso e può portare alla diffusione di informazioni errate o fuorvianti.

Piuttosto che arroccarsi dietro l’idea che il giornalismo è morto e di accettare passivamente il declino del giornalismo tradizionale, dobbiamo impegnarci attivamente per difendere la qualità e l’integrità dell’informazione.

È quindi di primaria importanza essere consapevoli del ruolo che i social media possono svolgere nella diffusione della disinformazione e nell’isolamento in bolle informative.

Boicottare l’informazione sui social media può essere un passo importante per ridurre l’influenza della disinformazione.

Il giornalismo è in terribile declino anche perché non esiste più la « domanda » perché le persone che mettono criticamente in discussione le cose non esistono più, poiché sempre più inglobate nella filosofia dell’educazione social, più persone decidono di “educarsi” online, meno pensiero critico verrà sviluppato, dunque meno domanda e fiducia verrà posta del vero giornalismo, è un ciclo a doppio senso che si alimenta a vicenda.

La gente è diventata sempre di più un amplificatore, che ripete le cose che sente e legge.

Mentre leggere può essere un passo importante per l’acquisizione di conoscenza, l’elevazione culturale va oltre la semplice raccolta di dati.

Leggere senza elevare il proprio livello culturale può significare consumare passivamente informazioni senza realmente comprenderle o interiorizzarle. Al contrario, l’elevazione culturale richiede un impegno attivo nell’approfondire argomenti, esplorare prospettive diverse, confrontare idee e sviluppare una comprensione più ampia e articolata del mondo che ci circonda.

Ciò significa non solo leggere, ma anche interrogarsi, discutere, mettere in discussione le proprie convinzioni e cercare di integrare nuove conoscenze nel proprio quadro di riferimento.

In sostanza, l’elevazione culturale richiede uno sforzo cosciente e continuo per espandere la propria comprensione del mondo e sviluppare una prospettiva critica e informata. È un processo che va oltre la mera raccolta di informazioni e richiede un impegno attivo nella ricerca della conoscenza e nella crescita personale.

L’atto di informarsi però va ben oltre il semplice consumo di contenuti online. Significa impegnarsi attivamente nella ricerca di conoscenza attraverso fonti affidabili e approfondite, come libri storici, filosofici, antropologici e altri testi accademici. Questo tipo di approccio permette di ampliare veramente il proprio bagaglio culturale e di sviluppare una comprensione più approfondita dei temi trattati.

Acquistare e leggere libri offre l’opportunità di approfondire la comprensione di concetti complessi e di acquisire conoscenze che possono essere utili per creare le proprie idee e opinioni in modo più informato e articolato.

L’era dell’informazione sui social media ha portato con sé un cambiamento radicale nella nostra capacità di pensare e discernere. Ci troviamo immersi in un mondo dove le opinioni vengono modellate dai trend, dove la superficialità regna sovrana e la cultura diviene un lontano ricordo. In questa nuova epoca, assistiamo all’emergere di una generazione di individui che consumano informazioni senza alcuna riflessione critica, diventando, metaforicamente parlando, delle “amebe” intellettuali.

La mancanza di una solida base culturale ci priva della capacità di analizzare e comprendere il mondo che ci circonda in modo profondo e significativo. Invece di essere guidati dalla conoscenza e dalla riflessione, ci troviamo a galleggiare alla deriva nell’oceano tumultuoso delle opinioni di massa, senza uno strumento per distinguere tra ciò che è vero e ciò che è distorto, tra ciò che è rilevante e ciò che è insignificante.

Questo nuovo periodo, se così possiamo chiamarlo, ci sfida a riconsiderare il nostro rapporto con l’informazione e la cultura. È un momento in cui dobbiamo lottare per il ritorno del giornalismo vero, basato su principi etici e professionalità, che ci guidi attraverso il labirinto della complessità umana e sociale con rigore e obiettività.

Dobbiamo abbracciare l’idea che l’informazione non sia solo un insieme di dati superficiali, ma piuttosto un’opportunità per espandere le nostre menti e arricchire le nostre vite.

Dobbiamo rifiutare l’apatia intellettuale e impegnarci attivamente nel perseguire la conoscenza e la verità, anche se questo significa mettere in discussione le nostre convinzioni preconcette e confrontarci con idee diverse e talvolta scomode.

Solo attraverso un ritorno al giornalismo vero e un impegno costante per ampliare il nostro bagaglio culturale possiamo sperare di invertire questa tendenza pericolosa e riportare la società su un sentiero di consapevolezza e comprensione più profonde.

Maya Cavarra

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