La scomparsa di Maurizio Calvesi 

Attualità & Cronaca

Di

Pierfranco Bruni 

Se ne andato anche Maurizio Calvesi. Lo storico e critico d’arte nato a Roma nel 1927. Generazioni che vanno via e che lasciano, comunque, il tracciato di un’epoca e di studi che restano indelebili. Lo ri-scopritore del Futurismo e soprattutto di Balla e di Boccioni del quale ha custodito l’archivio. Il  critico rivoluzionario che tentò di legare il tempo futurista alla pop – art partendo dalla poesie e delle arti comparate del futurismo stesso. Seppe leggere Caravaggio nell’orbita anticipitratrice di Leonardo e Raffaello e diede un senso alla forma di Piero della Francesca. I suoi testi critici hanno sempre avuto quella aurea letteraria dentro l’arte pittorica. Con dentro il senso di ribellione e di rivolta che più che classicheggiante sapeva di una atmosfera camusiama. Un critico che ha saputo leggere il quadro nelle forme e nei colori con uno stile comparativo delle interpretazioni universali e divine. L’arte smentiva il concetto ovvero l’egeliana teoria e penetrava sempre il mistero. La sua critica entrava nel mistero con una tale interpretazione percettiva che aveva l’andatura della metafisica.

Il Barocco leccese è stato sempre al  centro dei suoi studi. Quel Barocco che toccherà i vari aspetti che vanno dalla pittura alle architetture e da queste alle piazze che lo condurranno a Giorgio De Chirico. Infatti su De Chirico dedicherà pagine indimenticabili dentro un Novecento metafisico la cui riflessione disperatamente contemplante trova, appunto, in Caravaggio il perno centrale di una dialettica vissuta tra esistenza e morte. I due punti di riferimento nella sua ricerca intorno alla pittura e alle arti sono scavi di memoria ancestrale il cui orizzonte non l’arte per l’arte, bensì l’arte per il Tempo. Il suo viaggio da Piero della Francesca alla pop pittura ha un passaggio inevitabile che è quello segnato da Raffaello e da Balla e Boccioni.
Soffermandosi sulla pop – art ebbe a dire: “„La Pop Art, del resto, è l’ultima manifestazione di quel processo di sconfinamento dell’arte nella vita, e di arricchimento del linguaggio aperto dell’arte a contatto con la vita, che ha principio già con l’impressionismo e con l’avventura simbolista. «Le celebrità della pittura e della poesia moderna – ha detto Rimbaud – le trovavo ridicole. Mi piacevano i dipinti idioti, soprapporte, scenari, teloni di saltimbanchi, insegne, illustrazioni popolari»”.

Ecco il tracciano soltanto da anni non lontani, ovvero dalla metà degli anni Sessanta.

Da “Le due avanguardie. Dal futurismo alla Pop Art”, Milano, Lerici Editori, 1966; Bari, Laterza, II ed. 1970 – VII ed. 2008, a “Dinamismo e simultaneità nella poetica futurista”, (vol. V de L’Arte Moderna), Milano, Fratelli Fabbri Editori, 1967.
Da “Il Futurismo”, Milano, Fabbri Editori, a “Alberto Burri, Fabbri, Milano, 1971.
Poi verranno gli anni di
“Duchamp invisibile. La costruzione del simbolo, Roma, Officina Edizioni, 1975 alla “Avanguardia di massa”. Milano, Feltrinelli, 1978.
Da “Vasco Bendini, Napoli, Edizioni Lo Spazio, 1978 a “Il sogno di Polifilo prenestino”, Roma, Officina Edizioni, 1980. Nei primi anni ottanta si entra nella metafisica con “La Metafisica schiarita, Milano, Feltrinelli, 1982”.
Il suo Caravaggio verrà esplorato bel reale con :Le realtà del Caravaggio, Torino, Einaudi, 1990″. Non poteva certamente mancare “La Melanconia di Albrecht Dürer, Torino, Einaudi, o “Piero della Francesca”, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1998. 
Ma giunge alla tematica degli aspetti attraverso la “Storia della seduzione”, Palermo, Sellerio, 2000 e
:Gli incantesimi di Bomarzo. Il Sacro Bosco tra arte e letteratura”, Milano, Bompiani, 2000 e sopratutto  a “Un’estetica del Simbolo tra arte e alchimia. Duchamp Invisibile”, San Marino, Maretti Editore, 2016.
Un linguaggio, dunque, abbastanza comparato nella coralità del pensiero direttamente estetico. L’estetica della coralità di Maurizio Calvesi è data dalla spazialità del suo linguaggio e nell’affrontare la dissolvenza di una artistica visione del sublime.

Riesce a descrivere il Marinetti radiofonico offrendo lo sguardo – silenzio di Burri e Duchamp in una straordinaria scavatura di immagini e immaginari che hanno la fantasia del reale metaforico con il suo confrontarsi con le arti di un Barocco che ha dettagliato tra gli intagli di Otranto ripristinando il senso delle due avanguardie in in classicismo sperimentale con il quale leggerà anche Picasso. Dirà che il critico diventa: ” la cavia dell’arte, il banco di prova di quell’influenza che l’arte dovrà poi, a largo raggio, esercitare sulla società”. Un inciso che resterà nel destino della critica e dell’arte. Ma proprio di Picasso parlerà con molto acume affermando: “„Del proprio mito, e di quello dell’avanguardia, Picasso era rimasto in qualche modo prigioniero: avanguardia significa giovinezza, e Picasso è vissuto in un sogno di giovinezza a oltranza, ha continuato ad esaltare anche nelle sue pagine estreme il valore, prima ancora che della vita, della vitalità, dell’energia, della presenza. Tutta la sua pittura, il suo paganissimo innesto di barbarie e di classicismo, il segno rapace, dicevano corna della vecchiaia e della morte”. Insomma ha vissuto l’arte non solo come un critico d’arte o uno storico. Lha vissuta come esistenza. Non come pare di una vita. Bensì come vita non vissuta. Ovvero come profezia. È morto a Roma il 24 luglio del 2020.

 

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